SANREMEIDE
di Francesco Di Garbo
Il
concorso canoro di Sanremo è da sempre stato considerato per tanti aspetti, più
o meno appropriati, lo specchio fedele della realtà sociale italiana. A ragion
veduta nella settimana in cui si tiene il Festival tutta l’Italia, o quantomeno
la metà e passa di essa, è con la testa a Sanremo. L’altra metà, volente o
nolente, se ne deve sorbire il brusio.
Negli anni 50 furono tutte rose e
fiori, morigeratezza imperante.
Nei 60 i pettegolezzi pudicamente
si bisbigliavano.
Negli anni 70 i cantautori
venivano censurati, e preferivano il premio Tenco.
Negli anni 80 si trasmodava ma
non se ne parlava, mentre le canzonette impazzavano.
Nei 90 tutto si sdoganava e le
volgarità avanzavano, e chi più grossa l’ostentava si premiava.
Negli anni zero le polemiche
divampavano e tutti le sparavano per rinfocolare a dismisura l’egocentrismo.
Negli anni a seguire il trash
divenne normalità come elemento portante per fare share.
Il trash invade tutta la Tivù e
dunque anche Sanremo, che essendo manifestazione canora per cuori leggeri
abbonda di frivolezze in cui sguazzano i pettegolezzi. In un sistema di mercato
dove contano solo i dati auditel sembra che la vera gara sia: quanto più
triviale la si spara tanto più l’audience sale. La scusa è quella buona: lo
vuole il pubblico. Il pubblico che guarda Sanremo ama le cose piccanti, tanto
ormai la società italiana s’è disinibita e non si scandalizza più. È finito il
tempo dei moralisti e dei villeggianti. Adesso anche i più retrivi non ci fanno
caso: il costume s’è sbottonato con mise trasparenti provocanti.
I
guardiani della tradizione sono scomparsi. Gli pseudo conservatori, pure quelli
di destra, che vi erano legati con le catene, se ne sono liberati e del trash
se ne son fatti una buona ragione. Hanno scoperto che essere scurrili fa pendant
elettorale. Come dire: a caval donato non si guarda in bocca, a voi il
trash, a noi il potere. Pur di conservare il potere hanno smesso d’essere
conformisti. In buona sostanza Sanremo è diventato una carnevalata tout
court. Il dio denaro ha fatto breccia sul bon ton e l’ha sconfitto.
Cose che capitano, anche in una Nazione cattolicissima come l’Italia. I
conservatori-conformisti hanno abbassato la cresta e non gridano più “al lupo,
al lupo”. Ma se Sanremo è lo specchio della società e la società vi si
riflette, allora è la società ad essersi trasformata in pecorame individualista
ed egoista, che ama la litigiosità stravagante e la caciara continua. Ma
Sanremo non ne ha colpa, è stato il cambiamento della società ad indurre
Sanremo ad uniformarsi altrimenti rischiava di non essere seguito e dover
chiudere i battenti. La mutazione antropologica in senso volgare degli italiani
è avvenuta a partire dagli anni Ottanta con l’avvento dei privati, e la caduta
repentina dei valori politici, morali e di costume portati avanti dai movimenti
giovanili a cavallo degli anni 60/70: cioè la cultura alternativa underground.
L’affermazione dell’idea della competizione sfrenata tra gli individui ha
causato la deflagrazione d’ogni decenza, compresa l’autocommiserazione
piagnucolosa. Mettere a nudo il privato pudore intimo pur di affermare il
proprio ego in pubblico e monetizzarlo. Così Sanremo si è dovuto adeguare allo
sguaiato modo d’agire degli italiani e ha contribuito ad avallarne l’uso
pubblico, anzi rincarando la dose.