PAVESE E
VACCANEO
Un destino incrociato
di Angelo Gaccione
“L’uomo mortale, non ha che questo d’immortale.
Il ricordo che porta e il ricordo che lascia”
Cesare Pavese
Franco Vaccaneo a destra con Gaccione a Santo Stefano Belbo |
L’invidia
è un sentimento che mi è estraneo: che senso ha invidiare ad altri qualità che
non si possiedono? Quanto alla ricchezza ed agli “averi”, so da dove nascono e
come nascono, e quanto dolore hanno causato lungo la loro strada, perciò mi
tengo stretta la mia dignitosa povertà. Dietro ogni grande fortuna c’è il
delitto, non l’ho scritto io, lo ha scritto Balzac. E tuttavia mi è
capitato, raramente ma mi è capitato, di provare una gioiosa commovente
invidia, davanti alla devozione, all’attaccamento, alla preziosa custodia della
memoria e della loro opera da parte di alcuni uomini verso altri uomini. Credo
non si possa desiderare niente di meglio dal destino. Per uno scrittore, poi,
una tale fortuna ha del miracoloso. Questa lunga digressione per raccontarvi di
un legame di fedeltà potente e totale che da oltre quarant’anni Franco Vaccaneo,
bibliotecario, saggista e intellettuale di Santo Stefano Belbo, ha intrecciato
con il suo più illustre concittadino: lo scrittore e poeta Cesare Pavese. Praticamente
da quando era poco più che un ragazzo. In tutto questo ampio arco di tempo,
Vaccaneo è diventato il più tenace messaggero del poeta: ha portato Pavese in
mezzo mondo con convegni, mostre, scambi culturali di ogni sorta; ha
contribuito in mondo risolutivo alla costituzione del Centro Studi prima e
della Fondazione pavesiana dopo; ha istituito festival, giornate di studi, corsi
universitari estivi, ha preso contatti con pittori, scultori, letterati, registi,
attori, teatranti, fotografi, critici, studiosi; ha riordinato la nuova
Biblioteca nel centro storico dopo la rovinosa alluvione del Belbo nel 1994; ha
tenuto costanti rapporti con i familiari del poeta, soprattutto con la sorella
Maria, riuscendo ad ottenerne foto, oggetti, documenti, libri appartenuti allo
scrittore, fra cui la copia personale dei Dialoghi con Leucò sul cui
frontespizio Pavese scrisse il famoso messaggio finale “Perdono tutti e a tutti chiedo perdono…”, prima di togliersi la vita a solo 42 anni, in una giornata di fine
agosto del 1950 in una stanza dell’Albergo Roma di Torino.
Ha cercato gli amici
di Pavese e a loro si è legato di amicizia: in particolare con il costruttore
di bigonce Pinolo Scaglione che il narratore ha immortalato nel personaggio di
Nuto ne La luna e i falò, con il conte Carlo Grillo (il personaggio
di Poli descritto ne Il diavolo
sulle colline) ricevendo da tutti
loro consigli, confidenze, materiali preziosi. Ha introdotto o scritto libri (a
parte questo recentissimo, ricco e documentatissimo dal titolo Cesare Pavese e gli altri, Priuli & Verlucca Editori, voglio ricordare il
più volte ristampato Cesare
Pavese. La vita, le opere, i luoghi,
Gribaudo Editore, che è un prezioso volume stracolmo di foto), ma soprattutto
si deve a lui, a Franco Vaccaneo, se il 7 settembre del 2002 i resti del poeta
dal cimitero di Torino, dove erano rimasti per oltre mezzo secolo, sono stati
trasferiti in quello minuscolo di Santo Stefano Belbo, ritornando nel luogo di
nascita, a quei “quattro tetti” che Pavese aveva sempre amato, e da cui aveva
attinto la materia viva della sua creatività. Tornava dove era nato, Pavese,
nel luogo della sua spensierata adolescenza, dove in piazza della Confraternita
ci sono la chiesa dei santi Giacomo e Cristoforo dove fu battezzato, la
Biblioteca e la sede della Fondazione dove ho dormito in compagnia dei suoi libri,
della sua pipa, della sua stilografica. Dove più in là del cimitero c’è la casa
paterna, ora visitabile grazie all’amore che gli portano due meravigliose
volontarie: Rosetta Molinaris e Maria Vola tanto disponibili e gentili con me,
e tanto legate alla sua memoria e alla loro comune terra.
Tornava dove Franco
Vaccaneo ha voluto che tornasse, ai piedi delle loro dolci colline, del loro
Belbo, dei loro vigneti, dell’Albergo dell’Angelo sede dei suoi soggiorni santostefanesi:
in verità si chiamava Albergo delle Poste, ed oggi è divenuto più prosaicamente
un banale Bar Sport. Tornava dove i loro destini si sono incontrati tanti anni
fa e si sono fusi. E davvero mi chiedo che ne sarebbe stato di Vaccaneo, di
Pavese, di Santo Stefano Belbo, se questo incontro fatato non fosse avvenuto.
Se Franco non avesse deciso di restare qui, nella terra degli avi e dei
familiari che riposano proprio di fronte alla tomba di Pavese.
La lapide sulla casa natale |
Mi chiedo quale
e quanta straordinaria ricchezza avremmo irrimediabilmente perduto, quanta
umanità, quanto patrimonio intellettuale. E allora doppiamente grazie, caro
Franco, grazie per quanto hai fatto per Pavese, grazie per quanto hai fatto per
tutti noi e per quelli che verranno.