una riflessione del Teatro Greco di Siracusa
di Mila Fiorentini
Donne e guerra è il tema
scelto per la stagione 2019 dell’Inda, l’Istituto Nazionale del Dramma Antico
di Siracusa, attraverso i testi delle tragedie di Euripide poco rappresentate, Elena e Troiane, testo quest’ultimo di grande bellezza insieme alla
commedia di Aristofane Lisistrata, un
manifesto del femminismo nel senso più nobile del termine ante litteram. Correva infatti l’anno 411 a.C. ma la sua modernità
anche nel linguaggio e purtroppo nell’attualità delle situazioni è
impressionante. Pertanto, al di là degli spettacoli messi in scena, è
interessante la scelta dei testi e la riflessione sulla condizione psicologica
e sociale della donna in situazioni di conflitto. Non è un caso infatti che le
donne come le rose in vigneto siano rivelatrici delle anomalie del terreno, nel
caso specifico della fillossera, afide che devasta la vite. In condizioni di
precariato nel mondo del lavoro le donne sono le prime ad essere espulse così
come nelle guerre anche se di solito non combattono in prima linea con le armi,
sono spesso le più danneggiate e le meno riconosciute come parti attive.
Eppure, anche se silenziose, spesso non autrici della scelta del conflitto come
soluzione di una realtà ingovernabile altrimenti, sono parti in causa
essenziali. Basti pensare alla situazione dei migranti che fuggono da guerre,
siano esse armate o di altro genere: dittature, carestie. Le donne subiscono
più degli uomini e non è un caso che negli spettacoli il riferimento ai
migranti, ai porti chiusi, soprattutto in relazione alle donne è stato più
volte citato. È importante sapere tra l’altro che in alcuni testi greci il tema
dell’accoglienza e dell’inclusività sociale del migrante era già presente e le
donne da sempre sono gli elementi che più hanno appoggiato questo processo
nella loro capacità di fare rete e di trovare punti comuni tra persone diverse.
Quando si formano gruppi spontanei, fatta eccezione per lo sport, gli uomini
tendono a unirsi a persone dello stesso genere, ambiente sociale e livello,
nonché età, mentre le donne trovano argomenti e interessi comuni anche se sono
molto diverse tra di loro. Viene in mente a tal proposito il proverbio tunisino
“Le donne al mercato e in sala parto sono tutte uguali”, soprattutto in sala
parto. In tal senso il testo della Lisistrata
è emblematico e di grande attualità in una società multiculturale in
perenne conflitto come la nostra. La vicenda è nota ma vale la pena ricordarla:
siamo durante l’estenuante guerra del Peloponneso e le donne sono stremate,
sole, spesso vedove, perdono anche i loro figli, finché Lisistrata si inventa
uno stratagemma dall’aria burlesca che però si rivela efficace e denuncia così
la debolezza dei maschi che spesso peccano di presunzione e arroganza. Sembrano
forti, coraggiosi in battaglia ma fragili nella vita. La protagonista
dell’opera omonima chiama a raccolta le donne, non solo le Ateniesi, ma anche
le Spartane ad esempio: rivali ma complici e alleate per un valore superiore,
quello della pace che come tutti i sentimenti è quanto rende l’uomo umano ma
non è un traguardo, conquistato una volta per sempre: è un trampolino di
lancio, un risultato sul quale lavorare e coltivare nel tempo. L’astinenza
dall’amore imposta ai mariti in cambio della pace avrà successo ma durerà poco.
La regia di Tullio Solenghi ha il merito di sottolineare l’universalità del
testo inserendo costumi colorati non georeferenziati, che diventano simbolo del
Mediterraneo dai mille colori, suoni e lingue, che infatti si intrecciano,
siano dialetti o lingue nazionali a sottolineare l’importanza del fare rete
delle donne, la ricchezza della differenza e la forza della comunanza sul
conflitto che porta a tutti giovamento.
Capolavoro di ironia, il testo
evidenzia anche la capacità di una donna pratica nella gestione, ad esempio
dell’economia domestica rispetto alla gestione pubblica, che è certo più
importante in termini di proporzione soprattutto, ma proprio perché pubblica
spesso finisce per non essere di nessuno. La responsabilità domestica è invece
una sorta di democrazia diretta alla quale occorre rendere conto senza
possibilità di sottrarsi al proprio compito. Quello che le donne rivendicano è
il loro contributo alla vita quotidiana degli stessi soldati, subendo spesso
scelte non loro, senza ricevere onori, senza essere considerate, eppure
dimostrandosi una voce essenziale, quella del nutrimento con il cibo e con il
proprio corpo. Un messaggio che racconta una forza nascosta eppure deflagrante,
una grande consapevolezza e un potere nascosto ma forte. Naturalmente le figure
femminili nel tempo e nella stessa tragedia sono state anche oggetto di
critiche se si pensa alla figura emblematica, Elena di Troia, per altro
protagonista di due opere che, rispettivamente, la citano nel titolo e la
sottintendono nelle Troiane. Affidare il nome di donne a un titolo non era per
altro scontato a quei tempi e la scelta letteraria mostra una grande modernità
di Euripide.
L’iniziativa del Processo a Elena del teatro - una formula di spettacolo
sempre più diffusa anche a Milano, quella del processo alla storia - offre
spunti curiosi e interessanti per una valutazione lucida, in questo caso
mettendo insieme sfaccettature diverse e contrastanti sulla responsabilità
soggettiva e oggettiva, il concorso degli eventi e le attenuanti che nel caso
di Elena sono evocati come la volontà degli dei anzi delle dee - Afrodite, Era
e Athena - e del destino, che restano variabili tuttora in voga, pur cambiando
i termini. I testi ci regalano una sfilata di vittime da Ecuba che nasce regina
e muore schiava contornata da una serie di disgrazie familiari, come la morte
di Ettore, l’eroe senza macchia e la costrizione della moglie Andromaca che
porta nel nome una sua virilità, letteralmente “l’uomo che combatte”, con la
capacità tipica dei greci di far parlare i nomi - come Lisistrata è colei che
scioglie gli eserciti - e che assume, a quanto pare l’eredità del marito, senza
poter sottrarre dalla morte il figlio Astianatte. Sono donne forti ma
impotenti, vittime combattive e spesso complici loro malgrado della propria
sciagura. Cassandra, la profetessa di sventure destinata a non essere creduta:
in questo caso perché Apollo che non riuscì a possederla le concede sì di
restare vergine e consacrarsi alla profezia ma punendola con il discredito; e
poi non impedendo delle nozze forzate una volta prigioniera. Al di là del mito
è interessante come queste figure siano archetipi del femminile, universali e
di un’attualità sconcertante. Quante Andromaca esistono che una volta che
perdono il loro status e un uomo che possa difenderle perdono anche i propri
figli, per la sorveglianza sociale, perché vengono venduti come schiavi o per
altri mille motivi, tutti diversi e tutti uguali?
Elena è la figura più controversa, anche perché secondo una versione del
mito a Sparta alle nozze con Menelao, fu inviato solo il suo fantasma e la sua
bellezza funge ora da aggravante ora da attenuante: è responsabile dell’uso
della bellezza con la quale ha sedotto Paride o invece è vittima della sua
bellezza che da altri è stata sfruttata? Fino a che punto ognuno anche con la
genuinità dei sentimenti può sottrarsi alla propria responsabilità? Sulla
questione della bellezza e della sua manipolazione non vale neppure la pena
soffermarsi, tanto di casi ne sono piene le cronache e l’establishment sociale ma interessante è la riflessione che il mito
propone proprio nel suo archetipo, intramontabile, più attuale ancora delle
fiabe. In fondo la guerra tra Sparta e Troia nasce da un pretesto ma forse ci
sarebbe stata lo stesso però vero è che la vita è un concatenarsi di situazioni
a volte fortuite. L’etica personale a volte non spiega la storia ma una donna,
sembra questa la conclusione del processo ad Elena, non può sottrarsi mai alla
propria coscienza anche se come ogni essere umano ha diritto alla clemenza non
solo di una corte e alle attenuanti del caso.
L’obiettivo dell’Inda, come ha sottolineato il Sovrintendente Antonio
Calbi, è rappresentare l’antico, anche con il coordinamento di altri teatri di
pietra, greco-romani, con un linguaggio contemporaneo. In tal senso il tema del
teatro greco è la sottolineatura del classico come intramontabile. Il
sottotitolo ribadisce tale scelta con la dicitura “Un presente antichissimo” e
il tema dell’anno si inserisce nel filone dell’attualità, della storia che
insegna senza che l’uomo impari. Il 2019 sottolinea la resilienza al femminile
che intreccia estetica (rappresentazione teatrale e arte) con l’etica (il
valore della vita e della lotta per i diritti) con un inno alla speranza dopo
la distruzione, che oggi è ad esempio la distruzione ambientale, un altro tipo
di guerra, spesso all’origine di guerre armate. Nelle Troiane ad esempio l’architetto Stefano Boeri, autore delle
scenografie, mette in piedi 400 tronchi arrivati dalla Carnia, abbattuti dal
maltempo, e trasportati fino a Siracusa che come le donne di Troia sono stati
vinti dalla violenza e sbattuti al suolo, ma possono rialzarsi. L’iniziativa
non a caso è affidata alla donna nutrice della vita intesa anche come cura
della natura, considerando che nelle campagne per l’ambiente la
sensibilizzazione della donna è un anello molto importante per innescare una
catena virtuosa. E alla fine della stagione estiva a Siracusa sarà piantato un
bosco.