EXPOLIAZIONE
In questi appunti per
una discussione pubblica, redatti in preparazione del Convegno Internazionale
che si terrà a Milano nelle giornate di venerdì 27 e sabato 28 giugno 2015, Emilio
Molinari mette a fuoco una serie di ragioni ineludibili e che sono mille miglia
distanti da quanto il rutilante e fantasmagorico circo dell’Esposizione
Universale ci ha proposto. Queste riflessioni indicano la nervatura indispensabile
per una Carta dei popoli autentica, che metta al centro i bisogni dell’umanità,
del suo sostentamento, della cura dell’habitat di cui è parte integrante e
delle sue risorse nobili: cibo, acqua, aria, suolo. Il modo di riconsiderare
queste risorse e la loro distribuzione egualitaria, non hanno nulla in comune
con le linee politiche disegnate dalla cosiddetta Carta di Milano. Questi
appunti sono un ottimo punto di partenza per un dibattito serio e
propositivo.
La Food policy milanese.
Un’altra carta che Expo regala ai posteri.
di Emilio Molinari
La locandina del Convegno Internazionale |
Expo
sforna un'altra carta oltre quella di Barilla/Renzi. È la carta per fare di Milano la città del cibo
lanciata questa volta dal Comune di Milano e dalla Fondazione Cariplo e scritta
e “ragionata” da un comitato di esperti dell'associazionismo di sinistra. 24
pagine impegnative corredate da tanto di grafici consegnate Sabato 9 Maggio
alla consultazione pubblica delle zone di Milano dopo di che sparita dalla
circolazione.
Uno dei tanti espedienti per
dare una cosmesi all'inutilità di Expo. Molte parole specialistiche prese a
prestito dal linguaggio degli esperti di sinistra e delle associazioni e alcuni
concetti corretti e cose condivisibili.
Ma l'insieme è un qualcosa
che nulla a che vedere con una vera Carta che seccamente definisca impegni
concreti e soprattutto alternativi alle scelte che hanno determinato, e
determinano tuttora, lo sviluppo di questa città, il suo rapporto con il suo
territorio circostante, la campagna, l'acqua, la grande distribuzione ecc. Il
documento è solo una “cosa” difficile per una consultazione che non sarà mai ne
pubblica ne partecipata.
Intanto Expo diventa ogni
giorno di più una fiera e una rassegna
gastronomica, una festa, che alimenta nei cittadini l'indifferenza per
le cause del disastro alimentare, sociale, ambientale che le multinazionali in
vetrina in Expo hanno determinato e che loro per primi subiscono chiusi e
indifferenti (in senso gramsciano, al grido della Terra e dei poveri di cui
parla l'enciclica di Papa Francesco e a ciò che avviene alla stazione centrale).
Dentro a queste 24 pagine si
perde il filo del disegno di quale città vogliamo e gli intenti di una politica
del diritto al cibo nella città metropolitana.
Nelle 10 domande poste:
Governance -
Milano dialoga con la città
Educazione -
Milano educa al cibo
Sprechi -
Milano riduce e trasforma
Accesso - al
cibo Milano nutre tutti
Ambiente -
Milano riduce gli impatti
Agroecosistema
- Milano cura della sue terra e la sua acqua
Produzione -
Milano genera qualità
Finanza -
Milano investe sul cibo
Commercio -
Milano alimenta le relazioni
Non c'è una riflessione su
come dare una sterzata al modello di sviluppo della città che ha avuto ricadute
drammatiche sull'agricoltura e sulla salubrità del territorio, sull'acqua, sul
piccolo commercio e soprattutto non si fa i conti con quanto ha espresso ed
esprime ancora la politica la quale va nel senso della continuità con il passato.
Non si sente che Milano è al centro di un bacino (Lambro Seveso Olona)
dichiarato dalla UE area di disastro ambientale. Che è al centro di una delle
aree mondiali con le più alte emissioni di inquinanti e gas serra del mondo.
Che le prime falde sono state abbandonate perché irrimediabilmente inquinate. Che
è un’ area in Europa tra le più alte nella cementificazione che ha divorato
campagne, fontanili, rogge e canali e che Expo ha aggiunto a questa realtà 1
milione di mq e che in prossimità di questi ad Arese, si vuole fare
il Centro Commerciale più grande di Europa.
Che è la città in Europa con
meno verde.
Che la distribuzione del cibo
e delle merci è affidato quasi totalmente alla grande distribuzione, e ai
centri commerciali.
Nella Carta non si sente
questa consapevolezza e quindi non si sente la volontà del cambiamento.
Si resta nel minimalismo e
vengono inseriti degli abbellimenti.
1.l'educazione
del popolo a mangiare sano, (come se fosse solo un problema di ignoranza e non
di reddito e di pubblicità consumistica).
2.lo spreco
e il risparmio (come se fosse responsabilità delle famiglie, senza prendere
atto che si produce di più di quanto siamo in grado di consumare le ragioni
dell'economia spingono a produrre e consumare sempre di più).
3.La carità,
gli avanzi recuperati per i poveri.
4.La qualità
del cibo ovvero il made in Italy nel quale occorre investire perché produce
ripresa e commercio.
Nella sostanza la Food Policy
milanese parla alla città che sta bene, ai suoi consumi, parla di buone
pratiche non disegna la città del cibo e dell'acqua come si vorrebbe far
credere.
La cartina di tornasole di
ciò è che:
Nella Carta l'acqua è quasi
completamente ignorata. Si accenna solo alle casette dell'acqua che si perdono
di fronte a Nestlè e allo statuto della città metropolitana che su richiesta
del movimento, dichiara che l'acqua è un diritto umano. Ma appunto cose
minimali e petizioni di un principio.
Si ignora che: L'acqua è
l'alimento principale e l'acquedotto
è la struttura centrale della vita di una città cui va riservato il massimo
dell'attenzione e della cura.
L'acqua potabile,
diversamente dal cibo, dipende istituzionalmente e totalmente dai comuni e
dalle città metropolitane.
Non che il cibo non abbia a
che fare con i compiti dei comuni, ma riguarda prevalentemente le refezioni
scolastiche.
L'ortomercato, il macello e
il mercato del pesce sono ormai marginali o inesistenti. Una volta c'erano i
mercati comunali in ogni quartiere, c'era la centrale del latte ecc. Veri e
propri strumenti del comune, piattaforme per i coltivatori e gli allevatori
dell'area milanese. Sono stati liquidati brutalmente dalla furia privatistica.
In ogni azienda c'erano gli
spacci aziendali anche questi liquidati.
Oggi tutto ciò dovrebbe
essere oggetto di riflessione ed entrare nella food policy.
Ma torniamo all'acqua.
È incomprensibile la mancanza di impegni del comune e
l'indifferenza di tante associazioni che hanno dato vita ad Expo dei Popoli,
nel dare concretizzazione al diritto alla buona e sana acqua in una città come
Milano dalla quale è partito il movimento dell'acqua in Italia e la grande
partecipazione dei cittadini ad un referendum.
Fare di Milano la città
dell'acqua e del cibo è cosa ben diversa.
Vuol dire destinare un’ area
di Expo per farne la sede dove i movimenti contadini, le municipalità del
mondo, i governi dei paesi in via di sviluppo le aziende pubbliche dei servizi
idrici possono incontrarsi dar vita ad iniziative, progettare il futuro ecc.
Non vogliamo solo fare
critiche ma fare proposte
Una Water policy delle
città, deve voler dire,
un
patto tra sindaci e cittadini per una rivoluzione dell'acquedotto per:
-Definire l'acqua potabile il cibo base, che va garantito dal
Comune a tutti sano e nella quantità per una vita decente.
-Mettere in sicurezza l'acqua da
ogni possibilità di privatizzazione del servizio idrico. Anche a Milano finché
gestita da una SPA in house non è esente da simili pericoli. Inoltre le
politiche governative vanno tutte in questa direzione.
-Promuovere una politica che dia la priorità alla fiscalità
generale per riparare e migliorare gli acquedotti (l'esercito e gli F35, la Tav
e Expo stessa, sono pagati dalla fiscalità generale) Perché non gli acquedotti,
le reti idriche e fognarie i depuratori?
-Potenziare i controlli e rendere pubblico i dati sugli
inquinanti in particolare quelli di nuova generazione e quelli dipendenti da
pesticidi e diserbanti.
-Rendere partecipi cittadini e lavoratori di MM e CAP alla
gestione degli impianti cessando la continua esternalizzazione dei lavori.
-Progettare le aree metropolitane in rapporto con l'acqua di
falda e di superficie. E unificare gli ambiti territoriali della metropoli e le
aziende che gestiscono il servizio idrico.
*introdurre i 50 litri per persona garantiti come diritto
inalienabile
*Garantire questo minimo vitale e non chiudere i
rubinetti a nessuno.
*Costituire
un Fondo per la cooperazione internazionale
*impegnare
le conoscenze delle aziende pubbliche in progetti di solidarietà altrettanto
pubblici nel sud del mondo in rapporto con le ONG
*Creare
la cultura dell'acqua nella città e pubblicizzare tra i cittadini con campagne
pubblicitarie, l'acqua dell'acquedotto
*Garantire
l'unicità della gestione in un unico ambito e in una unica azienda.
Vorrei chiudere ricordando che nel 1888 il sindaco Gaetano Negri
della destra storica con una delibera istituì l'acquedotto pubblico milanese nella
quale si diceva: l'acqua potabile è un elemento talmente importante per la vita
e la salute dei cittadini che non può essere gestita da privati.