Renzismi
di Giovanni
Bianchi
La scena e la diagnosi
La
società continua ad essere evidentemente liquida, resa tale dai poteri che la
dominano da sopra e da fuori. Anzi, più probabilmente siamo assoggettati al
potere finanziario, un continuum, che
ha eliminato gli altri poteri disseminati e li ha riassunti concentrandoli.
È
questa struttura che ha creato e determina la società liquida. Sulle onde e sui
marosi di questa liquidità viaggiano i populismi politici, mentre sono andati
progressivamente sparendo i soggetti e i conflitti, ridotti, secondo il parere
di Carlo Galli, a "manifestazioni di rabbia transitoria".
Ciò
spiega la rapidità con la quale gli occupay qualcosa si sono presentati e poi
via via eclissati. In un quadro siffatto la politica appare come lo sforzo di
creare ordine dal nulla, meglio, questa dovrebbe essere e continuare ad essere
la vocazione tradizionale della politica e soprattutto dalla grande politica. Evidentemente
le cose non stanno svolgendosi in questo modo e le leadership hanno bisogno del
nichilismo e del disordine per legittimare il carattere personale dei
rispettivi poteri. Meglio, provano a presentarsi come instauratrici di un
ordine nuovo. In effetti la loro frenesia rappresentativa, l'inseguimento del
consenso tra i cittadini non più cittadini e sempre più consumatori, propone
nuove rappresentazioni a ritmo frenetico, passando da una scena all’altra, e
tralasciando di rottamare sul serio.
Che
fine hanno fatto le Province in Italia? Dovevano rappresentare un dimagrimento razionalizzatore. Sono ancora lì: inerti, con
le ferite aperte e l'inutilità della putredine.
Così
pure da sempre il partito, non soltanto in Italia, appariva come l’instauratore
classico di un ordine nuovo. L'attuale partito "gassoso" galleggia
invece come un hovercraft sul nuovo disordine. Senza sarcasmo viene fatto di
pensare che si sia finalmente realizzata la profezia del Sessantotto parigino:
l'immaginazione al potere.
La
verità è che all'ansia di governare si è sostituito il bisogno e addirittura la
volontà di potenza di apparire governanti. Il consumo più diffuso sulle steppe
di un'antica politica è quello di una gloria effimera. Lo scettro per un'ora, anzi il microfono, non
si nega a nessuno, tanto meno alla casalinga di Voghera, all'inventore da
strapazzo, al bullo di periferia che ha bisogno di una comparsata su qualche
canale televisivo, ai troppi che aspirano ad essere qualcuno e per questo sono
disponibili a danzare non una sola estate, ma una mezz'oretta magari non tutta
felice in cerca di talento e non tutta ben riuscita. La globalizzazione mette
in scena lo strapaese. L'inglese maccheronico si sposa benissimo con i dialetti
regionali. Le presentatrici con dizione da pescivendola (non si sono date il
disturbo di un breve corso di dizione) cercano di parlare più con gli arti
inferiori, lasciati abbondantemente scoperti, che con le labbra. Gli antichi
soggetti che aspiravano alla potenza sono stati sostituiti da uno sgangherato
teatro dei pupi che aspira soltanto alla rappresentazione se non al lazzo. L'autonarrazione
di un sistema ha sostituito il sogno di una cosa. Prenderne atto è d'obbligo,
come pure provare a mettere in campo qualche marchingegno per la sortita.
Altrimenti si ricadrebbe nella maledizione di quello che papa Francesco ha
definito l'eccesso diagnostico: una
diagnosi perfetta che, senza intervenire neppure con un'aspirina, definisce
perfettamente il cadavere.
Il nichilismo ottimistico
La
cosa più curiosa è che su una scena ingombra di non poche macerie vanno in onda
diversi nichilismi ottimistici in contesa tra di loro. Una strana
rappresentazione colta con acume da Massimo Cacciari nell'ultima intervista a
"Repubblica", con la voglia che ti prende di fermarti alla diagnosi e
alla prima osteria dicendo che non c'è alternativa a tanto nichilismo.
In
effetti siamo sempre nel congedo rimosso dal Novecento. Potrebbe anche dirsi,
con uno scialo di antiche categorie, che si tratta di una condizione
generalizzata "di destra" che ha eliminato anzitutto tutti i centri
moderati, che le erano più prossimi, e sta enfaticamente divorando anche la
sinistra. Nella piattezza uniforme non ci sono variazioni né speranze?
Torniamo
alla cara immagine paterna di papa Francesco. Lui cerca un ordine pacifico e
per questo, essendo semplicemente evangelico, può apparire di sinistra... Torna
in campo prepotentemente il rapporto tra Chiesa e Illuminismo. Il riferimento a
Rousseau pare d'obbligo, ma intanto a dilagare -oramai da decenni- è il superomismo di massa, che è ancora la
definizione di Umberto eco di tanti anni fa. È lui che ha vinto nella società
liquida che scorre sotto il cielo perennemente "sereno" dei consumi.
Di fiera in fiera, di sconto in sconto, da cassa a cassa. Il messaggio è: "Siate avidi, perché l'avidità è
buona". Competition is
competition. La competizione non solo è necessaria ma è anche gratificante.
Ma
fanno capolino un problema e una constatazione: a vincere possono essere
"pochi". Vincono oggi e dilagano (si fa per dire) i superuomini
dell'immagine, che invano tentano di far dimenticare di essere i
"piazzisti" di Hannah Arendt.
E
alle masse cosa spetta e cosa resta?
Ti
puoi sempre identificare con il leader. Come ti identifichi con il calciatore
che vince il campionato nazionale o il Pallone d'Oro. Sempre più il calcio è magister vitae: anche negli oratori
ambrosiani, dove oramai ci sono più mister e mistresse che preti educatori.
Tutti
stiamo cessando di essere cittadini (quel poco che ci era concesso di essere)
per diventare tifosi. Anche nelle chiese. Pensate ai cori per papa Wojtyla,
alle sette protestanti enfatiche, a Scientology. Sono tornati gli stregoni e
hanno sostituito i ministri del culto. I pellegrinaggi (in sé buoni e
indubbiamente popolari) rimpiazzano la santa messa. Il miracolo sostituisce
l'ascesi e l'amore per il prossimo. Il prete riuscito non fa più il direttore
spirituale, ma il santone e il guru. Anche i migliori si sono dimenticati di
don Lorenzo Milani, che aveva abolito i biliardini, e si circondano di
ragazzini in carriera calcistica, rivestiti di tutto punto consumistico. I
benefattori si sono a loro volta trasformati in sponsor. Il paganesimo ci ha
invasi e metamorfosati, e noi viviamo nelle parrocchie "alla
corinzia", reinventandone ascesi e percorsi pedagogici. Così i nostri leaders possono inventare gli 80
euro di successo elettorale, non ristrutturare il welfare come ci consiglia
Stiglitz. Matteo viene da Firenze, la Firenze di don Milani e di La Pira, ma il
suo modello è Della Valle, uno che si occupa dei piedi della gente foderandoli
di scarpe alla moda. La dimensione emozionale nulla ha da spartire con la
ruminazione della scelta e con la saggezza del politico (antico) che prima
medita e poi decide ed interviene. I pensionati sestesi ex Pci, che nella
piazza sotto casa disquisiscono ogni mattina della filosofia del pallone, si
scagliano giustamente contro gli emolumenti dei politici, ma si augurano ad
alta voce che il padrone della
squadra del cuore la spunti con cifre da capogiro acquistando alla borsa
calcistica quel calciatore, magari "di colore", sottratto dal tifo
mondiale globalizzato alla pastorizia in savana. Come a codificare, anche di
fronte alla coscienza nebbiosa di chi ha fatto le lotte, che nell'ambito del consumismo
competitivo c'è posto per tutti, anche per i poveracci, purché stiano alle
regole del gioco e non mettano in discussione la logica del narcisismo
acquisitivo. La ripetizione seriale, ed anche africana e subsahariana, del mito
statunitense, per il quale qualsiasi americano può diventare presidente della
Repubblica, purché ovviamente dia garanzie di muoversi nell'american way of life.
Detto
alla plebea e senza malizia, plaudono al turbocapitalismo che sta facendo a
pezzi lo Stato e lo Stato Sociale. Mettono tra parentesi che i nuovi circenses fanno parte del gioco e
dell'ideologia che il gioco legittima insieme alle sue fonti. Potrebbe anche
funzionare, ma ponendo mente a una qualche sostituzione...
In chiave europea
Nell'Europa
ordoliberista gli Stati non potendo svalutare l'euro, svalutano di lavoro.
Il
lavoro che a mio giudizio è nel cuore ineliminabile del cattolicesimo
democratico, della dottrina sociale della Chiesa, del magistero di papa
Francesco. E dovrebbe far riflettere la circostanza che un papa sudamericano,
dichiaratamente impolitico (fu estraneo o addirittura si oppose alla teologia
della liberazione), un uomo di Dio, esclusivamente fondato sul Vangelo, riesca
a proporre quotidianamente politica nell'orizzonte di una politica
autocelebrativa, immemore della storia, della radice dei problemi e soprattutto
dei poteri, spensierata al punto da non rendersi conto di camminare e sbandare
continuamente sul confine che la separa dall'antipolitica. Io non sono sicuro
che il cattolicesimo democratico esista ancora, ma sono certo che è meglio e
perfino "più resistente" di questi
partiti politici.
Il
lavoro, per la nostra Costituzione, è in
sé politico, e se diminuisce il lavoro deperisce la politica. Dove la
diminuzione del lavoro non considera soltanto la sua quantità, ma anche il
livello di garanzie sociali e la qualità umana.
Carlo
Galli, in un interessantissimo articolo su "Appunti
di cultura politica" (n. 2, 2015), riprende il concetto di Bildung, indubbiamente centrale nella
filosofia tedesca.
Parola
chiave in Kant, Humboldt e Hegel. E mi pare possa bastare.
Bildung significa grosso modo
"formazione". E quindi ci si forma attraverso il lavoro, in esso si
acquisisce dignità e consapevolezza, "relazionalità, concretezza, diritti:
mentre c'è chi pensa che l'essere umano sia una variabile proprio in quella
dimensione che dovrebbe, invece, essere centrale per la sua formazione; c'è chi
pensa, insomma, di potere dare la democrazia fuori dalla fabbrica, ma non in
fabbrica". Sottoscrivo.
Anzi
ho sottoscritto e forse anticipato da tempo. Non è una fisima o un'arretratezza
della dottrina sociale della Chiesa pensare che il lavoro sia per l’uomo e non
viceversa, che l'economia sia per l'uomo e non viceversa, che la politica sia
per l'uomo e non viceversa. L'idolatria quotidiana nasce dalla dimenticanza e
dallo svisamento di questo principio.
E
anche l'ateo credo abbia capito da gran tempo che l'idolo uccide. Probabilmente
per questo – e cioè considerando le
religioni positive idolatriche – l'ateo "ha ragione" di dichiararsi
tale. Non a caso sostengo con qualche amico filosofo che vi è tra gli atei una
lucidissima e simpatica genia degli Scajola del credere: e cioè dei veri
credenti a loro insaputa. (Ovviamente
lascio aperto e spalancato, anche per me, il problema su che cosa voglia dire
credere oggi.)
Dunque,
formazione in senso profondo e
"totale" della persona. Contro
la globalizzazione – e colonizzazione dei soggetti – distrutti e ricompattati a
modo suo dal capitale. Che ne è infatti delle moltitudini di Toni Negri? Dunque papa Francesco non fa solo il
sinistro e il sociologo quando dice che senza lavoro non c'è dignità. Non c'è
dignità per l'uomo intero. E c'è pure da riflettere su questa capacità abrasiva
e di vuoto (autentico vuoto spinto) del consumismo di erodere dignità,
lasciandoti un guscio vuoto e, se va bene, se ce la fa in qualche modo, fregato
e contento.
Ripeto:
non c'è dignità per un uomo intero; che è l'uomo in carne ed ossa, credente o
non credente, piacente o non piacente, intelligente o un poco inconsapevolmente
down, eterosessuale o tra i molti che pensano che oramai i sessi principali
siano due, che continua a credersi di destra o di sinistra, che studia o non
studia, in ricerca o seduto sul ciglio della strada, in attesa di un buon
samaritano che nel frattempo ha cambiato a sua volta religione e atteggiamento
verso il prossimo e staziona nella hall dell'aeroporto...
E
allora, che facciamo? Perché il problema, non solo per il vescovo di Roma, è
non morire di eccesso diagnostico. Non qual è la diagnosi, ma anche qual è la
terapia. Il potere in carica -il cui continuum
ci sfugge e ha l'astuzia di presentarsi ad intermittenza, dopo essersi
assestate le parrucche- minaccia e si appresta nei casi critici a spegnere il
desiderio che ha ovunque suscitato e la sua illusoria disponibilità seriale:
questa è la crescita; e la crescita è a rischio.
È
toccato ai greci (che sognavano un sogno diverso da quello cullato nei miti
intramontabili dai loro antenati troppi secoli fa), poi toccherà ad altri
essere prima colpevolizzati e poi privati del sogno.
Forse
Christine Madeleine Odette Lagarde ha già stilato la lista di proscrizione. E
forse l'ha firmata dal parrucchiere parigino, tra uno shampoo e una messa in
piega. E per favore non dite in giro sorridendo che i gufi stanno tornando.
Spiace,
ma il nostro poeta maggiore non è il Giusti, ma quel Giacomo Leopardi
notoriamente pessimista ed ipocondriaco (forse perfino saturnino), ed è sua
l'espressione, evocata da Carlo Galli, che dice: "l'arido vero".
Arriva
il momento in cui bisogna scegliere tra verità (quel che resta) ed emozioni.
Quanto lontani dagli uomini veri della Lotta di Liberazione che abbiamo ricommemorato
dopo settant'anni. Quanto lontani dai "cittadini". Oramai non
sappiamo che consumare, anche se il nulla è da tempo il nostro pane quotidiano.
(E l'Expo? Per ora lasciamo perdere.)
Per
questo la democrazia dei cittadini è un culto senza fedeli e le sue cerimonie -voto platealmente incluso- sono sempre meno frequentate.
Non
è un caso che non si riesca più a tenere una riunione di un ex partito in contemporanea
con la partita di Champions. Se Dio è morto, l'idolo merita le danze,
l’incenso, i canti, il tifo e il guadagno. E chi si contenta gode.