LA PROGRAMMAZIONE DIMENTICATA
di Fulvio Papi
La rubrica della Rai “Storia” è, fra tutte,
assieme a “Report”, la trasmissione più intelligente, dove per intelligenza si
intende il far comprendere fatti importanti senza esibizioni narcisistiche. Il
conduttore interpreta molto bene la sua parte (tuttavia troppi “ma” o “però”
svolazzano nel suo lessico), i documenti, nel limite del possibile, sono sempre
pertinenti e curati bene, i professori che intervengono, come si conviene, sono
sempre magistrali, le loro conoscenze professionali di prima mano, la loro
capacità interpretativa sempre equilibrata, e, nella prudenza intellettuale, i
loro giudizi storici più che obiettivi (che nella storia è solo un modo di
dire) sono pedagogici e istruttivi. È con questo spirito che desidero
aggiungere qualche nota alla trasmissione dedicata al generale De Lorenzo,
allargando possibilmente la contingenza storica. Intorno alla figura del
comandante dell’Arma nel ’62-’64 non credo di sapere niente di più di quanto è
stato detto nella trasmissione o quanto ha circolato anni dopo attraverso la
famosa inchiesta de l’Espresso e il suo
seguito giudiziario. Tuttavia storicamente mi pare che il problema, che poi ha
costituito definitivamente un elemento importante nella vita del nostro paese,
sia stato solo sfiorato, nel senso che è stata questa congiuntura che ha messo
in primo piano il generale De Lorenzo. Tra il 1962 e il 1964 di fronte
all’espansione di quello che allora si chiamava “neocapitalismo”, alla
sinistra, non comunista, vi fu la risposta economico-sociale della
programmazione economica. La nazionalizzazione dell’energia elettrica, fu
un’iniziativa che è comprensibile in questa prospettiva. Anche se non ignoro le
critiche di coloro che sottolinearono i notevoli rimborsi da parte dello Stato,
a completo vantaggio dei facoltosi rimborsati. La programmazione economica
(molto facile come astratto modello intellettuale) è al contrario un’operazione
molto complessa tecnicamente che avrebbe dovuto armonizzare l’economia pubblica
e quella privata con reciproci vantaggi economici e sociali, senza soffocare
per nulla le risorse del mercato. Era un progetto di sviluppo economico e
sociale che richiedeva equilibrio, capacità analitica e razionale di sviluppo,
rinnovamento spesso degli obsoleti mezzi di produzione, equa distribuzione
della ricchezza nazionale tenendo d’occhio, ovviamente, il bilancio dello Stato
e sottintendendo l’onestà pubblica. L’impresa, sebbene espressa bene nelle sue
finalità, mancava di uno studio sufficientemente approfondito, che si sia
posto, senza debiti intellettuali a una tradizione storica, il problema
dell’industrializzazione del Sud tenendo conto degli effettivi riflessi sociali
e ambientali e, forse anche, delle immanenti possibilità di sviluppo. Col senno
di poi però, tutto è più facile. Va invece ricordato che l’idea di una
programmazione era obiettivamente facilitata dal fatto che da anni l’IRI
comprendeva un insieme di centralità produttive e il 90% delle banche erano
irizzate. Chi si trovava a dedicare una parte non indifferente della propria
giovinezza proprio a questa prospettiva, se pure in un rango minore, ricorda
certamente l’infinita polemica tra Lombardi e La Malfa, entrambi favorevoli
alla programmazione, ma il leader socialista sosteneva che il salario doveva
essere una variabile indipendente (ribadendo in quel contesto la tradizionale
autonomia storica della classe operaia), mentre La Malfa faceva prevalere una
razionalizzazione che doveva riguardare ogni fenomeno sociale. È inutile, a
distanza di mezzo secolo, distribuire ragioni e torti. La “irrazionalità”
storica (che era ben chiara negli anni Venti) aveva fatto giustizia di queste
posizioni. Restava tuttavia il ricordo di uomini politici di dimensioni
incomparabili rispetto alla bassissima qualità (quando c’è) degli attuali
attori politici. Contro la programmazione si mobilitarono tutte le forze che
vedevano e facevano vedere in questo progetto una specie di prospettiva
sovietica che avrebbe azzerato ogni forma di proprietà privata (del resto garantita
dalla Costituzione). Gli storici farebbero bene a fare un’antologia di questa
reazione propagandistica che avrebbe mostrato il livello intellettuale del
capitalismo italiano (nel quale l’aura di Olivetti sfumava nel nulla, e così
quella di Mattei). Qui ricordo solo il titolo a nove colonne di un giornale
della sera che diceva: “Vi portano via la casa”). Forse capita oggi con una
tassazione iniqua che fa crollare tutto il mercato immobiliare. Anche oggi mi
capita di pensare che una programmazione economica elastica ed equilibrata
avrebbe potuto garantire per il paese il suo equilibrio e il suo sviluppo fuori
da un capitalismo assistito (o autoassistito) e una demagogia intesa come
rendita elettorale e come schegge dogmaticamente grossolane di altri tempi. Se
poi da un filosofo si vuole sapere qualcosa di più proprio per quanto riguarda
la filosofia, è facile mostrare che era il tempo dell’affermazione della
filosofia scientifica opposta allo storicismo. La violenta, proprio violenta,
reazione alla programmazione che pareva (dico pareva poiché, nonostante
Giolitti all’economia, le cose stavano così) il motivo centrale del primo
centro-sinistra, scatenò una violenta campagna contro il governo. Sollecitato
in direzione dalle riforme dei socialisti di sinistra, e navigante in una
prassi quotidiana di un’amministrazione ovvia che secondo i “governativi”
doveva essere lodata senza riserve dai nostri giornali, Nenni, vice-presidente
del Consiglio, amava dire che il suo giorno migliore era il lunedì quando non veniva
pubblicato l’Avanti! Diretto da Riccardo Lombardi impegnato per le riforme
senza troppe cerimonie. A distanza di mezzo secolo penso che queste polemiche,
non prive di importanza e di senso, fossero tuttavia marginali. Immagino invece
l’offensiva conservatrice che riuscì a trovare tutti i canali e tutti i mezzi
per influire sulla DC contro il suo stesso governo mostrandolo come preludio di
un’età bolscevica. Ovviamente non conosco gli argomenti interni al partito di
maggioranza e tanto meno quelli tra i massimi dirigenti, Moro e Nenni, che per
linee interne dovevano risentire non poco dell’opposizione al centro-sinistra.
Induttivamente sono certo che, dopo la banale caduta del primo centro-sinistra,
la DC, per rifare un’identica formula di governo, propose ai socialisti di
mettere in soffitta i progetti delle riforme e varare “le più spirabil aure”
della “governabilità”. Questa era certamente la situazione nella quale il
presidente della Repubblica, esponente della più radicale destra DC, fece
valere tutta la sua autorità per varare un altro governo per chiudere
d’autorità la prospettiva del centro-sinistra. Anche dall’Arma vi fu la
garanzia che, in caso di una rivolta sociale nei confronti di questa linea
politica, era in grado di controllare l’ “ordine pubblico”. Anche in questi
termini mi pare che si possa parlare di un possibile colpo di stato. I suoi
effetti politici si fecero ovviamente sentire nelle trattative Moro-Nenni per
il secondo centro-sinistra. La “governabilità” fu l’ideologia trionfante di
quella complessa congiuntura. Recentemente Pieraccini, che ricordo come
mediocre direttore dell’Avanti!, ha scritto in un libro di ricordi che la
minoranza di un partito -il Psi- che aveva il 14 per cento dei voti voleva
imporre alla DC il socialismo in Italia. Può essere che questo fosse il
percorso onirico di qualche giovane inesperto, ma la programmazione economica
era la razionalizzazione del mondo economico, la ottimizzazione sociale del
mercato, il controllo della spesa pubblica. L’applicazione della cultura
politica alla realtà sociale ed economica: esattamente quanto si è rovesciato
negli anni successivi. È stata una breve parentesi dimenticata poi dal
progressivo diluvio neoliberista proveniente dall’area anglo-americana.
Tuttavia va ricordato con assoluta chiarezza che l’industria di stato andava
male non perché “di stato”, ma perché di un partito, la DC, che aveva occupato
lo Stato, e per la demagogia del più forte partito della sinistra. Il risultato
erano quelle ricapitalizzazioni che hanno disastrato, (oltre a diverse
iniziative “mafiose” o corporative), il bilancio dello Stato. Il presidente
della Banca d’Italia, Visco, ha detto molto giustamente che il bilancio dello
Stato andava curato anni fa, mentre adesso richiede misure discutibili. E ho
sentito anche un celebre commentatore (non certo della tradizione di sinistra)
dire che la privatizzazione dell’IRI probabilmente è stato un errore. Può darsi
che la necessaria durezza del quadro storico dica che, infine, ho parlato di un
sogno politico dato la situazione reale del paese e la potenza delle sue forze
avverse. Ma questi giudizi non miei, sono veri, e mi danno, indirettamente, un
cenno di verità.