LA CASA COME LUOGO DELLA VISIONE
Lo storico dell’arte
e poeta Arturo Schwarz, in questa conversazione
con Angelo Gaccione, racconta la sua casa-museo.
Più che una casa, una visione magica.
con Angelo Gaccione, racconta la sua casa-museo.
Più che una casa, una visione magica.
Arturo Schwarz nella sua casa di Milano con la scacchiera di Man Ray |
Gaccione: La tua
non è, quel che comunemente si intende, una semplice casa: è una vera e propria
casa-museo, cioè un museo vivo dentro una casa viva e abitata. Tuttavia
casa-museo privata, molto personale. Per alcuni aspetti mi ricorda la casa
dell’esteta e studioso Mario Praz a Roma. Come definiresti tu la tua casa e quali
sono state le motivazioni profonde (e le visioni) che ti hanno spinto a
concepirla con un tale criterio?
Schwarz: Non vi è
stato nessun criterio prestabilito: l’unica cosa che differenzia la mia casa da
altre è la presenza di molte biblioteche; nel corso dei miei 80 anni di vita
adulta ho accumulato molti libri che hanno necessitato biblioteche e quindi
spazi.
Gaccione: La tua
casa è ricchissima di sculture, dipinti, grafiche, disegni e oggetti d’arte di
ogni genere. Immagino che tutto questo non sia avvenuto per semplice accumulo.
Quasi tutti questi manufatti raccontano una storia: vuoi raccontarmene
qualcuna?
Schwarz: Sbagli,
i libri e le opere d’arte sono il frutto dei miei interessi culturali di una
lunga vita (91 anni). Nessuna storia particolare.
Gaccione: A quale
di essi sei affezionato in modo particolare e perché?
Schwarz: A
nessuna cosa: mi affeziono alle persone non alle cose.
Gaccione: Opere e
suoi realizzatori: in queste stanze si concentra una parte considerevole della
storia della creatività di varie epoche e luoghi.
Schwarz: È il
caso ed il frutto di una lunga vita nel corso della quale si sono accumulati,
piano piano, i frutti dei miei interessi.
Gaccione: La
disposizione di opere e oggetti è di per sé una scelta estetica, perché implica
una preferenza e un gusto allo stesso tempo. Sei d’accordo?
Schwarz: No: è
solamente casuale, nulla di premeditato.
Gaccione: Ogni
angolo e spazio di questa casa è affollato di cose, camera da letto compresa:
manifesti, ritagli di giornali, oggettistica, frasi celebri, slogan,
fotografie… Non solo le pareti ne sono piene, ma anche le porte e le
retroporte, senza soluzione di continuità.
Schwarz: È il
frutto, ripeto, puramente casuale, di una lunga vita (91 anni).
Gaccione: La
scacchiera di Man Ray è uno dei pezzi forti della tua casa-museo, e tu hai
giocato a scacchi con lui.
Schwarz: La
scacchiera è di Man Ray con il quale, effettivamente ho giocato spesso a
scacchi; voglio precisarti che da giovane ho seguito un corso di scacchistica
perché in questo “gioco” il caso o la fortuna non ha nessun ruolo.
Gaccione: La tua
biblioteca merita un discorso a parte, nella casa-museo; intanto per come è
disposta. Una posizione che non ho incontrato in nessun’altra casa di
intellettuale di mia conoscenza. Perché questa singolare disposizione? Chi è
stato il suo ideatore?
Schwarz: Niente
di particolare, solamente la logica che mi permette di ritrovare un libro
subito, quindi i libri sono ordinati in classe tematiche ed entro queste, in
ordine alfabetico d’autore. Le librerie le ho disegnate io e sono state
realizzate nel tempo da artigiani diversi di cui non ricordo più il nome.
Gaccione: Parlami
in dettaglio del tuo patrimonio librario e cartaceo. So che molto è stato
donato, ma qui c’è ancora una varietà notevole di autori e titoli. Molti anche
i testi ebraici, a cominciare dalla Toràh.
Schwarz: Ho solo
libri di saggistica nei rami del sapere che m’interessano, in particolare
filosofia, psicologia e storia che comprende anche un settore dedicato alla
storia e alla filosofia dell’ebraismo.
Gaccione: Cicerone
ha scritto un pensiero bellissimo: “Se
accanto alla biblioteca ci sarà un giardino, nulla ci mancherà”. Tu hai un
piccolo giardino esterno, contrariamente alle case nobiliari milanesi che il
giardino spesso ce l’hanno all’interno. Piccolo, ma può vantare tre dediche ad
altrettanti personaggi straordinari: una all’anarchico Errico Malatesta, una al
filosofo Baruch Spinoza, l’altra ad André Breton. Si direbbe che tu lo abbia
voluto per rendere omaggio a queste tre grandi figure che ti hanno guidato e di
cui tuttora ti nutri. Un giardino con una funzione testimoniale, più che
esornativa o per l’ozio e il riposo. È così?