UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

mercoledì 1 novembre 2017

Le radici, il pensiero, i percorsi di una leadership
Ricordo di Giovanni Bianchi
di Renzo Salvi

Intervento al 50° Incontro Nazionale di Studio delle Acli
(Napoli, 15 settembre 2017)

Giovanni Bianchi con Prodi

1.Statu nascenti…
Radici. Percorsi. Prospettive. Tre tempi narrativi sono stati immaginati per la sequenza di parole pensate, e da proporre, riandando alla persona e alla storia di Giovanni: una scansione secondo tre tempi narrativi che devono essere necessariamente di interpretazione. E sia pure di prima interpretazione, per ora. Perché, ad ogni modo, il solo giocar sui ricordi non basta, né il far memoria, ché altrimenti tutto “si fissa” nel tempo della sua cronologia, con la valutazione che, in quel tempo, l’accompagnava; ricordare secondo discernimenti e intelligenza dei fatti è invece porre le basi per dirne in sede storica: di questo argomento e di qualunque altro.
Saranno tre tempi e quasi tre atti, dunque, a compartire il flusso di parole, che ora vengono scritte dopo essere state dette, sommariamente. E per aprire ciascun atto ci si propone di collocare un'immagine, pur di sola memoria, una scena, di vita vissuta, uno scatto fotografico, reale, di un momento di svolta.

1.1 Il professore inatteso
La cronologia richiede una sorta di flashback per iniziare.
Si pensi un liceo, scientifico, con colonne sulla facciata e un timpano triangolare; con un pronao, poi, e un ingresso, un grande salone circolare con le aule ad affacciarsi su due piani: a terra e su una balconata, ad anello circolare, per il piano superiore. L'architettura pubblica, quell’architettura da Novecento umbertino ancora diceva, quasi ad un cinquantennio dalla sua edificazione, di un orizzonte sociologico: i figli di un ceto non borghese, non benestante, noi: i “non”, si era una minoranza estrema in quell'ambiente. Per venire al tema: l’anno scolastico era il 1968-69, in una Como quieta, ancora quieta; per poco ancora, ché  a muoverla, a breve, saremmo stati noi.
All’inizio di quell’ottobre nell’aula della classe più “rognosa” del liceo, la V C, collocata nell’angolo del primo piano, allo sbocco delle scale, entra un insegnante nuovo di Filosofia e Storia. Sostituisce quello due anni precedenti: tosto, uno col quale si sgobbava ma che aveva trovato, con noi (e noi con lui) un equilibrio positivo.
Il nuovo insegnante si fa passare il manuale di storia da chi stava al primo banco, non io: sempre ancorato al centrocampo nei tempi di liceo, e comincia la lezione. “Spiega”, come si diceva in gergo. Spiega e in aula si instaura il silenzio. La classe zittisce, in  ascolto.
Perché questo insegnante spiega in un modo diverso. Non per paragrafi o avvenimenti o spezzoni di evento poi commentati o ampliati (o sintetizzati) al di là del testo. No. Questo trasvola, amplia in narrazione interpretativa e “naturaliter”, così sembra davvero, aggrega conoscenze di sociologia e filosofia, di antropologia ed economia, pur muovendosi tutto dentro quegli eventi, ché appunto si parla di storia, fatti scorrere lungo il tempo. Passa una frase, tra i banchi: è dei nostri. Forse non sapendo bene chi siamo per indicarci con quel “noi”; ma quelli sono momenti in cui una generazione, la nostra, sta ricevendo tutta la formazione, per così dire “canonica” classica e scientifica dei licei e, intanto però, in parallelo, contemporaneamente, dentro e fuori la scuola, ha tra le mani e “consuma” testi in precedenza o troppo costosi, e difficili da trovare anche nelle biblioteche pubbliche, oppure decisamente “sconsigliati” sino ad allora. È il tempo dei primi tascabili, dei paperback di Rizzoli, della collana economica di Feltrinelli che inizia con Pasternak,  poi della Mondadori, poi di Einaudi... A poco prezzo, un po’ a casaccio (con poche guide alla lettura) ci si era tuffati in Russell, Galbraith, per la narrativa in Šolochov e in seguito Solgenitsin, ma soprattutto in Marcuse. L'anno precedente, dalla Lef, era stata pubblicata Lettera a una professoressa. Lui, quel professore nuovo, conosce quegli autori e quei titoli, li cita: tra molti altri... È dei nostri! È un professore che scrive e pubblica. In quell’anno da Queriniana esce L’Italia del dissenso[1], il primo dei libri a firma Giovanni Bianchi. Del “dissenso”! È dei nostri.
Indro Montanelli, vecchio reazionario bastardo, diciamo noi allora, lo attacca sulle colonne del Corriere della Sera. Se la prende con una metafora usata da Giovanni a proposito di ruoli e funzioni del sindacato e dei rapporti tra capitale, proletariato e Terzo mondo: il sindacato è come San Giorgio che difende la Vergine (i lavoratori) contro il Drago del capitale, secondo l’immagine evocata. Ma, chiosa il libro, è almeno da temere l’alleanza di sindacato e capitale, che così si fanno Strega, con l’intento, pur a motivazione diversa, di sfruttare i Paesi  del Terzo Mondo: la nuova Vergine. La metafora nel testo è espressa meglio. Ci si ragiona intorno perché quel libro si va a comprarlo. E poi passa di mano. Questo è dei nostri.
Anche perché L'Italia del dissenso interpreta in modo più profondo e originale di quanto si faccia in quel momento, ma anche di quanto sia avvenuto poi, il Paese che si rimescola. Anche perché,  nuova scoperta di noi, allora studenti, di quel rimescolio Giovanni è parte: col Centro culturale “Ricerca” di Sesto San Giovanni, dove è uno degli organizzatori di eventi e fa il presidente sin da giovane, quando arriva in quella classe ha “ben” 29 anni, e i Centri culturali sono strumento dell’aggiornamento della cultura nella Chiesa nel post-Concilio. Alle spalle del Centro culturale di Sesto c’è la scuola formativa di don Teresio Ferraroni, poi vescovo a Como e prima assistente delle Acli a Como, Lecco e (vice) al nazionale e c'è la presenza, lucida e infaticabile, di don Franco Fusetti, successore di Ferraroni nella parrocchia sestese, prete giornalista, commentatore radiofonico e televisivo, amico di David Maria Turoldo, ironico costruttore di ondate giovanili conciliari. In nome di un simile universo quel professore giovane sa guardare da prospettive inconsuete e oltre gli schemi. Indro Montanelli, da gran conservatore intelligente, lo ha capito: di qui  viene l'attacco. Un cristiano anomalo, un cattolico fuori dagli schemi preconfezionati da amici e nemici è da temere. Soprattutto da parte di conservatori secolarizzati che fanno della laicità la loro (impropria) bandiera. Giovanni conosce l'Africa per studio già in quegli anni: dalla Tesi, in Storia e istituzioni dei Paesi afroasiatici, che ha sviscerato la realtà singolare dei Fokonolona, le unità di base territoriali, i villaggi comunità del Madagascar; che poi ne ha scritto su L'Italia, quotidiano cattolico, su Relazioni sociali, su Il Mulino... Parla di sottosviluppo, non di Paesi prossimi a svilupparsi. Accade così, senza star tanto a chiedersi o dirsi un perché che questo insegnante diventi un interlocutore. Perché ti porta anche libri in più da leggere e poi si scorda di richiederteli ma viene a chiacchierare su quei temi nell’intervallo o mentre ci si cambia per palestra per venire, unico “prof.” a giocarsi, play-maker, ovviamente, la partitella di basket. Perché con qualcuno devi pur confrontarti per scegliere una facoltà: “Lasci perdere, rigoroso il lei, architettura e più ancora fisica nucleare; le sue scienze son quelle del comportamento. Ho letto anche i suoi temi di italiano” (questo il discorso che mi riguardò; il motivo di quelle letture dei miei temi si lascia  per un altro passaggio)… Diventa un interlocutore perché, passata la maturità, mentre si rientra dall’aver fatto benzina svizzera sulla sua Cinquecento azzurrina, ti capita di invitarlo al tuo paese, in parrocchia, a parlare di dissenso ecclesiale e quella sera vai a Sesto a fargli da sherpa sulla strada in ere di gran pezza anteriori ai navigatori digitali. È l’affaccio, personale, a Sesto San Giovanni, in piazza Petazzi, l’incontro con Silvia, “Se usi il tu con lui non vorrai dare il lei a me…”, e con Sara che, nata nel ’68, ci era nota per la tendenza, da neonata, a scambiare talvolta il giorno per la notte determinando qualche sbadiglio dell’insegnante durante le interrogazioni di filosofia.

Giovanni Bianchi il primo a destra

1.2 Verso lo scrivere “insieme”
Lo scrivere insieme e, dopo, lo scrivere per le Acli sorgono nell’orizzonte di un’amicizia nascente e in quella localizzazione col balconcino affacciato su una piazza, allora parcheggio scombinato, di Sesto. In quel terzo piano dove, di domenica, ogni tanto, si compariva in gruppetti di ex studenti a ragionare sulla storia e sul mondo, sulla politica italiana e sulle pubblicazioni lette di recente: gruppetti e compagnie casuali, appena passati all’università, tutti rigorosamente maschiotti – ché lo Scientifico allora era ancora un po’ così – ma qua e là con l’affiorare di qualche “morosa” (lombardismo per filarino, fidanzata… L’uso dei termini dice solo il cronos lessicale trascorso).
Una sera, era anzi notte, tornati con Giovanni da Brescia dopo un incontro del MPL, dove eravamo finiti indipendentemente l’uno dall’altro, arrivò la proposta di scrivere insieme, nei termini del “ho pensato che potremmo…”: durante una cena allo stato brado, in buona sostanza, organizzata aprendo il frigorifero, sottovoce – ché Silvia dormiva e anche Sara, fortunatamente – il discorso andò anche sul perché i miei temi di quinta liceo venissero letti dal docente di filosofia: chi insegnava materie letterarie li passava per un consulto dicendo: “Di quello che scrive questo qui io non ci capisco…”.
Cominciammo a guardare i testi di sociologia del comportamento giovanile, insoddisfatti di quello che si trovava da leggere e studiare a fronte della complessità del movimento generazionale di quegli anni. Ormai era il 1971. Cominciammo ad incrociare le letture disciplinari, a guardare i trend dell’economia, a cercare radici di fondamento nelle culture filosofiche che andavano intrecciandosi.
I titoli di quei tempi sono caratterizzati dai “tra” e dagli accostamenti: “Giovani tra classe e generazione”, “Tra cultura alternativa e cultura parallela”, “Giovani, fede, impegno politico”… E poi i temi della partecipazione, della scuola e del mercato del lavoro, dei gruppi giovanili, dell’animazione sociale. Il tutto firmando insieme testi che, davvero!, qualcuno era interessato a pubblicare. Si andava di gran lena per manoscritti su fogli di riciclo: a dattiloscrivere Silvia e poi soprattutto Pina, sua sorella. E intanto erano arrivate altre penne, da altri fili di frequentazione di Giovanni: sestesi alcune, di formazione “fusettiana” altre (ché don Franco era intanto passato a Legnano), o tratte da altre generazioni scolastiche. Di fatto quel che si venne a costituire, nell’arco di tre/cinque anni, fu una redazione trasversale rispetto alle testate di destinazione degli scritti: Animazione sociale, Rocca, Testimonianze, Il Tetto, Note di Pastorale giovanile, Terzo Mondo, La Piccola Città, Rivista di teologia morale, Rinascita, Mondo Operaio…  E altre ancora.
E il gruppo (che non ebbe mai un nome), il tandem d’esordio, Giovanni muovevano insieme in ricerca: attraverso le discipline e dentro i fatti; spesso cumulando i dati prima di iniziare le indagini sui perché. Questo era l’approccio e la metodica, questo il tentativo di arrivare all’intelligenza degli eventi. Anni dopo approdammo al termine di “discernimento” di configurazione martiniana. Quel che si delineava on era comunque un pensiero soltanto di frontiera. Era un pensare, Giovanni in testa, sulle frontiere: disciplinari, culturali o politiche che fossero.
Così narrando …

1.3 Una leadership, detta in breve
Se si fosse scelta una chiave espositiva diversa per l’occasione di questo intervento e per queste righe, una chiave che non fosse non narrativa e per contenuti, non di ricognizione a comportamenti e valori intrecciati, ma, ad esempio, più di concettualizzazione astratta, si sarebbe approdati  a trattare di lontananze tra le generazioni per far rilevare, invece, rapporti intergenerazionali e capacità di coinvolgimento: si sarebbe certamente parlato di ascolto, da parte di un docente inatteso e al tempo stesso di sue non consuete capacità comunicative; non arrivando ad attribuire a quell’insegnante, nel lessico dell’epoca, la forma dell’hombre nuevo probabilmente, ma certamente, per riprendere don Milani che cita parole di un bambino cubano, dicendo che si trattava di un professore buen autoritario, capace di essere su più culture o forme espressive e di trasmetterle, credibile, con una “naturale” autorevolezza che non era l’autoritarismo tanto e giustamente vilipeso: allora. Il carattere e i caratteri personali, le competenze e le qualità dell’intelligenza, in quel quasi trentenne, sono segni tutti e già da tempo dispiegati. Quest’ultima annotazione è di apparente ovvietà. Serve però per rimarcare che, certamente, “uno vale uno” nell’ambito dei principi etici e dei diritti di base, fondamentali, di radice vetero e neo-testamentaria e in quelli successivamente secolarizzati nella Dichiarazione relativa al citoyen, ma che le differenze poi esistono. Le qualità sono appunto personali e si fondano, nella loro particolarità,  su quelle medesime radici scritturali,  talché ciascuno è unico e irripetibile, e di portato culturale e ideologico. Vale, insomma, il riferimento manzoniano, pur scritto con altra destinazione: in qualcuno, da parte di Qualcun altro, s’è pur voluto “più vasta orma stampar”. La leadership appartiene a quest’ambito. È nel primo romanzo di Giovanni, L’apprendistato, la battuta “Tutti vogliono ordini. Ma io non sono un Cadorna. Dico: “Va bene”. Sono un amico. So che tutti sanno quello che devono fare. Ormai siamo cresciuti…”[2]. La narratività, chiave invece di queste righe, cerca di dar conto dell’insieme senza gravare lo scrivere (e prima il dire) di eccessivi pesi teorici (o presunti tali). Semmai qui si tenta di innestare nello correre della memoria le annotazioni che mostrano il carisma, l’intelligenza, la capacità di “scoprire per interpretazione”: i segni, appunto, che sono propri delle persone, per noi Giovanni, di cui si sta dicendo. In questa chiave, il discorso può riprendere narrativamente, per il secondo tempo cronologico e tematico. Ancora iniziando, come da copione, da una scena tra il fotografico e il teatrale.

2. Un pensiero che si fa linea e organizzazione
Le Acli arrivano in un primo tempo come una frequentazione importante, ma tra molte altre, e poi come realtà associata che trova orientamenti in quello sviluppo di pensiero. Detto a mo’ di testimonianza diretta e come parte in causa, per chi scrive le Acli compaiono nel 1972 con la proposta di mettere in forma di saggio l’intervento, annotato sui consueti foglietti da un quarto di A4 riciclati, svolto da Giovanni al Congresso Nazionale di Cagliari, prima della debacle elettorale del MPL (eravamo stati tra i contrari all’idea di presentarci subito alle elezioni: 119.779 voti contati alla fine della giornata di scrutinio, infatti …) che avrebbe fatto da preludio a  rivolgimenti interni al Movimento. “Qui lavori per il re di Prussia”, mi disse, perché quell’intervento avrebbe dovuto avere solo la sua firma: ma quello non era e non sarebbe stato mai un problema. Il testo è negli Atti e pubblicato anche in “Animazione sociale”.
“Dai che diamo la linea a tutte le Acli” fu il commiato di quel giorno, all’ascensore, con gli appunti e le annotazioni in mazzi di foglietti tenuti con l’elastico già nelle borse di plastica da supermercato, insieme al consueto peso di libri e riviste in andirivieni, previsto da quel modo di lavorare in scrittura.
Nell’estate del medesimo anno in Valformazza con le Acli milanesi per un corso di formazione, ma in realtà per lavorare alle dispense di storia del movimento operario destinate alle Acli stesse e al Centro Operaio della Fim milanese, Giovanni era direttore responsabile dei Quaderni, avrei osservato una resa dei conti tra militanti aclisti e presidenza di quella provincia, rea di essersi prestata al riallineamento democristiano del Movimento. In autunno Giovanni fu eletto Presidente regionale delle Acli lombarde da un Comitato che era rimasto in stallo per parecchi mesi (dalla primavera). Collaborai anche per la prima relazione di quella presidenza …
Da qui, e si esce allora dalla mera testimonialità, si osserva il dipanarsi di un pensiero che si fa anche organizzazione.
Per ora, dal momento che ricognizione dei testi è appena agli inizi, non è semplice distinguere tra la fase della presidenza regionale nelle Acli lombarde e il tempo della Vice-presidenza a della Presidenza soprattutto in ambito nazionale: peso oggettivo e spinta propulsiva, qualitativa del mondo aclista lombardo fecero da massa critica in quegli anni. Neppure facile, per ora e probabilmente anche nei tempi a venire, è il distinguere tra un pensare finalizzato alle Acli e un pensiero destinato alla presenza complessiva, cristiano/sociale e cattolico/democratica attiva nel Paese.
Le righe che seguono immediatamente sono più un sommario di ricerche da svolgere che una tesi compiuta: una traccia provvisoria e uno “strumento di lavoro”, come si legge con frequenza nei testi di quegli anni e soprattutto nei titoli che tanto piacevano ad Aldo Ellena, sacerdote salesiano, sociologo, educatore e fondatore di Animazione sociale a Milano, che fu amico, spalla, costruttore di occasioni, suscitatore di iniziative e di eventi. La prima parte più dettagliata, la seconda assolutamente scarna.


2.1. Corsi, percorsi, una rivista e (tre) convegni
Mentre si compongono alcuni grandi filoni interdisciplinari e prendono corpo, si può pur dire,  blocchi di pensiero teorico, Giovanni, Giovanni soprattutto, annota ad anticipa intuizioni e squarci di nuove letture con la rubrica “Diario sociologico”, in Animazione sociale, e nel fraseggio poetico. In termini editoriali la prima pubblicazione di poesia ha come titolo È così stupido vivere di carta, ma neppure mancò, nel novero delle testate frequentate in gruppo, la rivista Pianura (con Accattino, Vassallo …). Di poesia, per altro, un po’ si scriveva ma moltissimo si leggeva: Turoldo, Luzi, Baudelaire, Rebora, Pasolini… E dalla chiave non giornalistica (ma poetica, appunto) di Ettore Masina si trovò persino modo di citare un verso in un saggio destinato a Testimonianze: “Nessuna mi turba / accusa di ismo. / Quel che mi tormenta nella notte / è  il Sant’Uffizio / del mio moralismo”. Da Pellegrinaggio laico. Stupì persino Ernesto Balducci: lessico e modo dello scrivere si andavano reinventando.
Da questo punto cronologico le tematiche d’un pensiero si innestarono, mutandolo, nel flusso del divenire aclista. Il tema roncalliano dei laici christifideles e della laicità come questione da riprendere, attraverso Lazzati ma intuendo vie oltre lo stesso Lazzati, aprì un filone di riflessione con titoli, saggi e poi articoli, che si alternavano tra testate acliste e testate di riviste di area conciliare. Per le Acli questo significa uscire dalla trappola del secolarismo e, meglio, della secolarizzazione confusi con la laicità, quasi il problema fosse di iscriversi a corsi accelerati, per ceti sociali e vie di pensiero in ritardo, in modo da raggiungere chi già si era liberato di lacci e laccioli confessionali.
In realtà si cominciò a puntualizzare che cosi come non mancavano, giusto il Mao Tse Tung pensiero, “le contraddizioni in seno al popolo”, anche con la visione (mitizzata) della classe operaia era necessario misurarsi con un atteggiamento un po’ disincantato: anche il soggetto sociale collettivo e la sua storia erano percorsi da ambivalenze; il presente operaio e il tema della sua cultura, così come la cultura popolare, era da guardare in profondità cogliendone caratteri e differenze: Giovani e cultura popolare, Fatti nuovi e tradizione nella protesta operaia, analisi sulle Esperienze di organizzazione operaia dal basso, La nebulosa del movimento operaio, Il rapporto con la fabbrica come base di alternative per la scuola italiana, La vita associativa dei giovani lavoratori nell’area milanese, sono titoli[3] (alcuni soltanto) di un percorso che mira a discernere nei processi (allora) in atto. Da questa angolazione viene sviluppato il tema del rapporto tra la presenza cristiana nella storia e il movimento operaio con le sue ideologie e le sue organizzazioni sociali, sindacali e politiche: il maggiore tra tutti i soggetti collettivi del Novecento.
Inedito e forse perso è invece il testo con un puntiglioso riandare ai temi e alle tempistiche delle reazioni “in armi” al dirompere delle manifestazioni di massa: il titolo previsto era La tensione tra tattica e strategia. Ancora un “tra”.
I laici nel mondo, la laicità come via della Chiesa e dell’essere Chiesa dei lavoratori cristiani coglie nel reale, “mai dare torto i fatti”, una tendenza reale che marca il passaggio dal mondo cattolico configurato nei modi del dopoguerra al suo frantumarsi, prima, e poi ad un suo diverso dislocarsi in una più variegata area cattolica presente nel sociale. L’ispirazione cristiana è qui il transito proposto, e fatto proprio sino in fondo, dalle Acli della metà degli anni Settanta. Le Acli lombarde ed il loro presidente iniziano ad osare anche in pubblico senza farsi ingabbiare dalle diatribe post-vallombrosiane sulla scelta/ipotesi “socialista” e sulle reprimende ecclesiali. In verità persino Aldo Moro aveva formulato un pensiero su una “società socialista alla quale potremmo in prospettiva essere chiamati a collaborare” e nessuno aveva obiettato: ma li aveva fatto premio il consueto modo sfumatissimo.
Le Acli e quel filone che ora inizia a orientarle non scelgono le sfumature e neppure il linguaggio della moderazione curiale; sanno però evitare anche il tunnel degli ideologismi.
Tre convegni sono significativi, disposti lungo un quinquennio, in questo percorso e portano in campo aperto davvero. Una prima occasione, che ancora si ricorda come epica per lo sforzo organizzativo, con scarse energie, risorse e tempi operativi, e per gli esiti di affluenza, ha come titolo Cristiani e internazionalismo. Correvano i primi mesi del 1973. Produce un insieme di eventi, il 16, 17 e 18 febbraio, e una pubblicazione[4], come Quaderno n. 4 del Centro Operaio di Milano, per le edizioni Coines (che significava, in acronimo coperto, comaschi in esilio: a Roma erano Emilio Gabaglio, Geo Brenna… Di un altro comasco, altrettanto in incognito e aclista, ma non romano, fu anche il reading finale di tutti testi per la pubblicazione). Indiscussa “Star” di serata, per dire proprio del non moderatismo di impianto politico del tutto, nel Palalido milanese stracolmo, fu Bernadette Devlin, deputata e bandiera del movimento indipendentista irlandese.

La copertina del libro

Una rilettura, di recupero, delle scelte compiute dal Movimento aclista negli anni precedenti e di indicazione di un nuovo sforzo di fondazione e radicamento della riflessione teorica e teologica che guardi a tutta la nuova condizione dell’area cattolica è contenuto, in due parti, nel numero speciale di “Relazioni sociali”[5], rivista di punta dell’area cattolica progressista, che reca come titolo “Le Acli tra interclassismo e scelta di classe”. Il terzo capitolo: L’autonomia alla prova: 1972/1973 [6] si sviluppa secondo logiche di cronologia e di interpretazione per accostamento di dati: interni alle Acli, alcuni, e di processo sociale e politico del Paese (con Giovanni sono altre due le firme, di consueta collaborazione) mentre il testo che fa immediatamente seguito nell’impaginato viene configurato, con una sola firma, come il primo dei contributi “di protagonisti”, sviluppa in sequenza la parte storico-analitica e si trasforma man mano nell’indicazione di una linea politico/organizzativa a venire. La stesura alle origini era unica e soltanto una scelta di opportunità politica ed editoriale ne determinò la suddivisione (poco più che formale, appunto, essendo posta come “colonna di piombo” a scorrere). Rilevante, in termini culturali, è l’inizio e, in logica di politica ad intra al Movimento, il sottofinale. In apertura si afferma : “Il cammino percorso dalle Acli si presenta come contestuale e parallelo al movimento di tutto un “insieme” sociale, politico e organizzativo (o semi) che era interno, un tempo, al “quadrilatero” cattolico (DC, Cisl, Acli, Coldiretti) ed ha acquistato progressivamente, tra gli anni ’50 e i ’60,  una propria autonomia d’azione. Compongono questo “insieme” la Fim (…) alcune riviste di ispirazione cristiana, le comunità cristiane di base; non vi sono estranei alcuni “influssi individuali”: le personalità e i tentativi di Rodano, Dorigo, La Valle; è il clima è dato dal “dialogo” – fortemente intellettualizzato in quel momento – tra cristiani e marxisti: le prime elaborazioni di Giulio Girardi”[7].
Almeno da notare è come il ri-percorso muova davvero a monte, e per gran tempo, rispetto alle scelte acliste degli anni Sessanta, giungendo al recupero dei tentativi di pluralismo culturale e politico dei cattolici italiani del dopoguerra più recente, rappresentato, con qualche coraggio, dal movimento dei cattolici/comunisti di Franco Rodano, poi divenuto ascoltato consigliere di Enrico Berlinguer. Nelle ultime colonne di quel testo si legge invece, in chiave più interna: “… non un arretramento di linea ma, considerate le forze disponibili, la scelta di alcuni obiettivi che appaiono importanti nella strategia complessiva del movimento operaio e su cui le Acli possono battersi, a conferma, tra l’altro, della capacità del movimento operaio di colpire unito anche quando marcia diviso nelle sue diverse organizzazioni”.
Dopo aver condotto il tema dell’ispirazione cristiana sulle questioni internazionali e individuato un modo per porre un pensiero ormai in progressione a servizio di un movimento e di un’area, si affronta la questione della politica per i credenti con un respiro più generale. Ispirazione cristiana, cultura cattolica, azione politica è il titolo di un convegno, tenutosi a Bergamo nel Seminario intitolato a papa Giovanni, nel 1975, con la presenza, tra i partecipanti, di alcune figure capaci,  buffo dirlo dall’oggi, di rendere inquiete le gerarchie ecclesiali italiane: Pietro Ingrao, Raniero La Valle, Gianni Baget Bozzo, il socialista Giorgio Lauzi … Come singolare scoperta, molti anni dopo, incontrando per motivi professionali, di programmazione Rai, padre Sorge, si seppe che gli ostacoli frapposti da spezzoni di gerarchia ecclesiastica erano stati tolti di mezzo direttamente da papa Paolo, raggiunto appena prima di coricarsi dal segretario particolare che riferiva contrarietà e opposizioni gerarchiche per quelle commistioni di cattolici e comunisti. Il “Ma si: lasciateli fare”, sembra: de relato, liberò la partecipazione dello stesso padre Sorge e del vescovo ausiliare di Roma Clemente Riva, rosminiano, insieme a quelle (non in dubbio in realtà) di Giorgio Traniello e Gilberto Bonalumi che si affiancarono a teologi di Friburgo, preti operai belgi, a Bruno Manghi, Domenico Rosati… Il convegno sarebbe iniziato la sera di venerdì 14 novembre; quella telefonata arrivò dopo la mezzanotte di martedì 11 mentre l’altro telefono delle Acli lombarde era occupato da una conversazione/consulenza richiesta nella notte a don Bruno Maggioni, biblista, centrata sulla correttezza dell’uso di un passo veterotestamentario in chiave di azione e non solo di testimonianza per una riga della relazione introduttiva). Col titolo di Cultura cattolica e egemonia operaia, e con la medesima redazione dietro le quinte, i testi furono editi ancora da Coines[8].
Cristiani e libertà è del giugno di due anni dopo. Un altro appuntamento di studio e di comunicazione, un convegno, organizzato dalle Acli regionali lombarde a Milano nel teatrino del complesso salesiano di via Copernico/via Gioia: la tesi che viene fissata in questa occasione era stata tracciata nel corso degli anni e già era stata accennata e poi delineata nelle relazioni di Cristiani e internazionalismo e di Ispirazione cristiana, cultura cattolica, azione politica: contro l’integrismo dirompente di quegli anni, soprattutto di Comunione e Liberazione, e contro i tentativi anticonciliari di riedizioni difensive e offensive del “partito cattolico” (o dei cattolici), le Acli e quel loro presidente regionale in Lombardia  oppongono una visione in cui non c’è spazio per gli arroccamenti (anche di potere), non per le riedizioni del mondo cattolico (in quel momento fatto anche di molta arroganza) e neppure per una visione da pactum sceleris che baratti le libertà democratiche con la libertà religiosa, sempre minacciata, nel parere “interessato” di integristi e integralisti, da modernità, secolarismi, laicismi di maniera, consumismo e, ad un tempo, da … visioni comuniste; e ciò anche in Italia.
È Marie Dominique Chenu, domenicano francese, esponente della scuola di Le Saulchoir, a tuonare in quella sala, da gran vecchio già perito teologico al Concilio e voce della teologia del lavoro e della storia: “ Defunta la cristianità!” e a tracciare le rotte di un necessaria capacità di scovare, scoprire, indagare “i segni dei tempi” negli eventi della storia. E ad operare per rapporto a questi.
Si stabilisce, per altro, in quel momento un rapporto diretto, caldo, cordiale, quasi filiale, tra Giovanni e padre Chenu: fatto di incontri e di scambi di pensieri, di riconoscimenti, quasi di investiture di successioni sulle tematiche della teologia del lavoro; un rapporto proseguito sino agli ultimi giorni di vita di Chenu, nel 1990.
Singolarmente di questo convegno risulta pubblicatissima la relazione di Chenu, Animazione sociale, Relazioni sociali, Il Lavoratore lombardi (delle Acli regionali), ma non trovano sbocco editoriale gli atti, pure preparati: la scomparsa di Coines dal panorama editoriale e il ritirarsi di altre editrici confinano quei materiali in un faldone consegnato all’attuale Istituto per la Storia dell’Era Contemporanea a Sesto San Giovanni. Due contributi invece, in doppia firma, sono parte de I cattolici e la sinistra con cui la Pro Civitate Christiana di Assisi fa il punto, con la sua Cittadella Editrice, sul dibattito relativo al modo d’essere dei cattolici nella sinistra, ché il pluralismo è conclamato ormai, ancorché non ancora accettato e tanto meno apprezzato da molta parte della Chiesa italiana, e della Chiesa nei suoi rapporti con la sinistra[9].
A Giovanni Bianchi come figura di riferimento culturale della presenza sociale ed associativa cattolica  viene affidata nello stesso anno, per la pubblicazione del 1978, la cura di un volume su fede e politica in Italia: la Queriniana, editrice di salda radice nella teologia conciliare propone un tema e ragiona su un titolo. “Qualcosa come God in Public… un po’ all’americana” è l’intuizione di Rosino Gibellini, direttore di Queriniana e cultore di teologie e filosofie tedesche, cultore e amico di Karl Rahner; in esatta traduzione Dio in pubblico sarà l’approdo conclusivo, con Giovanni a raccordare sul tema le voi della (ormai) galassia di culture e associazioni cristiane del Paese e di intellettuali di altra ascendenza culturale[10].

La copertina del libro

Ad affiancare la presidenza regionale di Giovanni Bianchi, intanto riconfermata dal I Congresso Regionale delle Acli svoltosi a Como, nel 1975, sono soprattutto alcune Acli territoriali (provinciali) che scelgono di camminare insieme al Regionale, così  rinnovato, del Movimento: Milano, Bergamo, Pavia sono un supporto operativo, organizzativo e politico. Como, la sola provincia che già allora aveva dato due Presidenti nazionali e un Vice-presidente (ora due anche in quest’ultima carica), sceglie di affiancare e sostenere la linea aclista lombarda anche con iniziative culturali autonome – alle quali Giovanni è sempre presente e spesso contribuisce in termini di contenuto.
I Corsi teologici “inventati” a Como in quegli anni sono proiezione diretta dell’elaborazione del gruppo di giovani penne, in crescita per numero ed età, che lavorano con Giovanni. Già nel primo, del 1977/78, si tratta di Fede e religioneComunità nella Tradizione ecclesiale, Autonomia della politica e unità della fede, “Statuto storico” della fede oggi, Teologia morale e mutamento dei costumi, Novità della riflessione cristiana sul lavoro, Conoscere le fonti della fede. Sono relatori, Armido Rizzi, Mario Rena, Luigi Sartori, Gianni Baget Bozzo, Dalmazio Mongillo, Enrico Chiavacci, Bruno Maggioni[11].
A concludere il ciclo, l’11 febbraio 1978, è il cardinale Michele Pellegrino, arcivescovo emerito di Torino con la relazione Cristianesimo e culture nella storia: si tratta del primo ritorno di una figura di questo prestigio e ruolo ad una manifestazione aclista dopo il “ritiro del consenso” (e degli assistenti ecclesiastici) alle Acli, con la “deplorazione” di Paolo VI il 19 giugno 1971.
La portata dell’evento è rilevantissima nella storia generale del Movimento dei lavoratori cristiani. Aprendo l’incontro il presidente provinciale delle Acli comasche, Camillo Monti, può affermare, non a caso citando il padre Chenu: “Egli suggerisce di non chiedersi cosa la Chiesa deve fare per i mondo del lavoro, ma cosa la Chiesa deve leggere in ciò che avviene in questa realtà. Riconoscendo nel movimento operaio il luogo più significativo della liberazione e anche un “luogo teologico”…”.

G. Bianchi a sinistra nella foto

2.2 Corrispondenze e rimandi a specchio: oltre gli anni Settanta
“Nostalgia / nostalgia canaglia”. Non si può negarlo: sin qui non ci si è sottratti – in parole per voce e “file” digitati – neppure a quest’onda. Dar conto invece dell’intero perimetro dell’influenza sviluppatasi dall’elaborazione di Giovanni Bianchi, e del gruppo che con lui ha elaborato e scritto in quegli anni, nei mondi aclisti e nelle aree del cristianesimo sociale e del cattolicesimo democratico è compito che supera le possibilità di questa occasione e l’esito di queste righe. Serviranno, per altro, studi di lungo periodo.
Possibile però, in traccia essenziale e tutta da sottoporre a verifica, è uno scorrimento di temi sviluppati e proposte socio/politiche delle Acli che evidenziano parallelismi e intrecci.
Detto del laicato e delle sue argomentate declinazioni ed evocata la figura di padre Chenu, la teologia del lavoro si definisce come uno dei settori di riflessione che intrecciano ed orientano la linea delle Acli e si configurano come una costante delle presidenze, regionali e nazionali, di Giovanni Bianchi. Testi e contributi sono sovente in riviste, compaiono sistematicamente da questo periodo le testate acliste nazionali: da Azione sociale ai Quaderni di Azione sociale ai Sussidi per la Formazione nazionale, che così affiancano Il Lavoratore Lombardo, e i suoi Quaderni, o Realtà sociale – ma la nuova linea di teologia del lavoro si presenta in testi collettivi (a caso si cita Per una teologia del lavoro, edita dalle Dehoniane, in cui Giovanni firma Le teologie “laiche” del lavoro nel movimento operaio italiano) e soprattutto Dalla parte di Marta. Per una teologia del lavoro, edito da Morcelliana nel 1986, in cui il pensiero di Giovanni Bianchi e alcune penne affiancate si misurano con il passato della riflessione teorica di area cristiana, con la visione del marxismo ed i suoi mutamenti, con le riflessioni (anomale, dal punto di vista dei filoni culturali) di Simone Weil, con la Laborem exercens di Giovanni Paolo II, con la necessità (dichiarata) di visioni interpretative nuove e “forti”[12].
Le indicazioni di comportamento relative al mondo di “essere in pubblico”, di configurazione politico/sociale si vanno a definire in una sorta di volume successivo, in qualche modo “gemello” anche come fonte editrice. Da Morcelliana viene proposto, nel 1987 Le ali della politica, scandito in tre grandi partizioni, ciascuna di due capitoli, I processi e le metafore, I problemi e le fondazioni, Le trasformazioni e i valori, e mirato a rispondere (pre)operativamente al tema dell’interpretazione forte e dell’agire.
Tale è l’intreccio con lo sviluppo del divenire aclista che non pochi passi della conclusione, inserita “facendo riaprire il piombo” di tipografia, sono presenti nella replica del Presidente che chiude il Congresso nazionale delle Acli di Milano del !988.
Lo studio e la riproposizione di Simone Weil, secondo una logica concettuale di tematiche d’origine riprese e collocate in reinterpretazione negli eventi dell’oggi, corre nella seconda metà degli anni Ottanta: Simone Weil e la condizione operaia è presentato da Editori Riuniti con le firme di Aris Accornero, Giovanni Bianchi, Adriano Marchetti; ma, appunto dicendo a stralcio per ora, in attesa di studi che collochino con dettaglio questo riferimento nel pensiero di Giovanni Bianchi, la figura della Weil affiora tra altre in Maestri possibili del 1997, per Ancora Editrice, e ancora in Testimoni e maestri nel 2005 per le edizioni di Scriptorium.
L’arco teso del “ragionare” muove dal confronto con Mario Tronti sull’operaismo (anche cattolico) sino all’argomentare del laburismo cristiano. Ed il pensiero aclista, ché ormai di questo si parla, aggrega una fucina romana e quella sestese: Bepi Tomai, a cavallo delle Acli e dell’Enaip lombardo e di quello nazionale, Pino Trotta, padre Pio Parisi, Camillo Monti, su fronti più organizzativi, sono figure e firme attive sui filoni del rinascente e ripensato popolarismo, e sul transito ulteriore di visione che conduce anche le Acli dall’ispirazione alla vita cristiana.
Vita cristiana e temi della quotidianità fanno da duplice binario a forme di impegno del Movimento aclista aperto verso l’affermazione di una nuova politica fatta nascere dalla società civile: senza mitizzarne i caratteri, ché questo filone di pensiero non si allinea alla presunzione di contrapporre un civile privo di rughe ad una politica segnata da ogni macchia: i tempi sono quelli i Tangentopoli spazzata (parve) dall’onda di Mani Pulite, e invece trovando, nel giorno per giorno, vie per far rinascere comportamenti politici segnati da valori. E di qui un appassionamento per la politica.
Lo schierarsi delle Acli di Giovanni Bianchi nelle iniziative referendarie proposte da Mario Segni in vista di una riforma della politica per via di innovazione istituzionale, e poi la proposta autonoma della raccolta di firme per una Legge di iniziativa popolare mirata all’elezione diretta dei sindaci, al premierato, ad una nuova etica della (comune9 responsabilità tra società civile e istituzioni.

Bianchi al centro della foto

2.3 L’agire “in pubblico”: fondamenti e indicazioni
Se la vita cristiana definisce il nome nuovo, di antichissima ascendenza, di una spiritualità aclista che innerva il divenire dell’azione pubblica, in questi stessi  tempi e su questi testi si radica, dunque, una visione che dà alle Acli il fondamento e l’indicazione politica della società civile come campo dell’agire non pre-politico ma politico a tutto tondo; per le Acli si passa così attraverso il tempo delle “Convenzioni” come chiave teorico/pratica di posizionamento dei diritti in una società che cambia, perché la persona ed il sociale, si afferma, sono il fondamento dei diritti: anche di quelli civili ed istituzionali. Per pura testimonialità e petizione professionale chi scrive ricorda qui la Convenzione per il diritto a comunicare che ricolloca la libertà di espressione negli orizzonti contemporanei del flusso massmediologico e personal-media. Ma sono numerosi e nuovi, anche per il campo dell’associazionismo, gli strumenti “immaginari” e proposti con i nomi di convenzione, appunto, ma anche di alleanza, di diplomazia popolare, di lobby democratica.
Misurando sull’antico, e secondo altre discipline, siamo con questo al giusnaturalismo proiettato nella politica in chiave di diritto positivo e misurato sui segni dei tempi: dentro il manifestarsi degli événements. Le riprese del pensiero e delle figure di Giorgio La Pira e di Giuseppe Dossetti sono il supporto a scritture e indicazioni. Per quest’ultimo possono far testo, per ora, una prima traccia di attenzione nel 1997, Giuseppe Dossetti, un volumetto a più voci presso Cens, e l’ultimo Il Dossetti rimosso, del 2016, con firma di Giovanni e, postuma, di Pino Trotta, presso Jaca Book.
Dal punto di vista dell’elaborazione teoretica e teologica, di radice e fondamento sono questi i tempi, rispetto i quali chi qui annota ha avuto meno partecipazione e perciò ha ora meno capacità di sguardo dall’interno, di elaborazioni, iniziative delle Acli nazionali, uscite editoriali legate a riviste come Container e soprattutto Baillamme, libri con editori di antica ma anche nuova frequentazione; volendo citare con titoli cronologicamente estremi di periodo: Al Dio feriale. Teologia minima e Nell’attesa. Saggi sulla quotidianità, rispettivamente presso Morcelliana (1990) e con Marietti 1820, la cifra è nel nome dell’editore, nel 2000.
Come piano di studio e di comunicazione è questo il filone nel quale si radicano i “Circoli Dossetti” fondati nel 1998 da Giovanni e, come puntualizza l’autopresentazione in rete,da un nucleo di operatori sociali, culturali e politici provenienti da esperienze associative dell’area del cattolicesimo democratico e sociale milanese che ha incominciato a coltivare […] la pratica sistematica dell’incontro e del confronto intorno alle questioni dell’attualità politica, economica e sociale”: corsi, incontri, pubblicazioni, presenza in rete, e.book sono i canali che mescolano vecchie e nuove forme del comunicare e del fare opinione. Sino all’oggi.
A mo’ di ulteriore flashback narrativo invece, ma gli scorrimenti sono paralleli e gli sviluppi contemporanei ed intrecciati, il nodo del popolarismo in quanto tale, come studio e scrittura, rimonta agli inizi del 1983, con un anno di eventi a Como per il centenario della nascita di Achille Grandi, con le ricerche di Roberto Nic Albanese su La Monza di Achille Grandi, il volumetto antologico Achille Grandi e l’antifascismo delle Leghe bianche (Quaderni di Realtà Sociale), che avevano a monte La formazione del pensiero politico-sociale di Achille Grandi di Giuseppe Gini (Quaderni del Lavoratore Lombardo) e a valle, commissionato per quell’anno, Achille Grandi a Como. Cristianesimo sociale e movimento sindacale nel primo Novecento[13].
Una nuova messa a fuoco di attenzione sulle questioni del popolarismo come approccio al tema della presenza “in politica” e “nelle istituzioni” dei credenti ha un preludio nel 1985, con il testo a più voci Luigi Sturzo e la tradizione cattolico-popolare e una ripresa di studi, quasi un filone, dal 1989: Dopo Moro: Sturzo (Morcelliana) e successivamente Popolarismo, L’ostinazione dei popolari, La maledizione del Centro, tutti presso Cens, che seguono i tempi in cui la linea aclista e del suo Presidente convergono verso il tentativo di mutare i modi e le chiavi di comportamento rispetto a quello che (secondo modi proprio e opportuni tutti da vedere) era stato il partito dei cattolici, o cattolico che si volesse leggere, nelle forme della Democrazia Cristiana.
I successivi Nel Paese degli atei devoti e, prima, I mulini degli dei appartengono al tempo dell’Ulivo e, prima, alla breve esperienza del nuovo Partito Popolare Italiano, con Mino Martinazzoli. Né si può qui tacere la testimonianza di Romano Prodi che ha recentemente affermato di essere stato “costretto” a fare L’Ulivo da tre persone che, citate in ordine alfabetico di cognome, sono Nino Andreatta, Giovanni Bianchi e Sergio Mattarella.
Ma rispetto al tutto anche L’Ulivo, con la sua importanza e le dimensioni di speranza incarnate nella storia italiana, e poi il Partito Democratico, non sono che frangenti della storia. E le Acli seguitano ad essere in campo, una delle poche forme associative nate nel dopoguerra socio-politico, perché rigenerate da un pensiero nuovo che Giovanni ha costruito (con molti: era un suo leit motiv) e ha saputo far diventare organizzazione: lungo decenni.
Si vuol ribadire il termine: un pensiero. Che questo primissimo tentativo di traccia ha cercato di dire espungendo la poesia e la scrittura per romanzi, altro impegno immane di lettura che ci impegnerà e lasciando ad una mera citazione, ora, alcuni testi remoti e più recenti. Sui temi di una rifondazione, della politica ci si limita all’inenarrabile Lectio Mundi. Un itinerario molteplice alla ricerca dei segni dei tempi in cui si fanno centone e intreccio poesia, narrativa saggistica, dialogicità, teologia e memoria, del 2005; poi la diade editoriale, presso le edizioni San Paolo, Martini “politico” e la laicità dei cristiani e, successivo di due anni,  Solo la sinistra va in paradiso, e infine L’Europa che verrà, Non addomesticate Mammona, Politica o antipolitica?, rispettivamente presso Monti editore (2009), Marietti 1820 (2011) e Cittadella Editrice (2013).


3. Dai tempi ultimi al tempo che verrà
È tempo di un terza immagine di cui esiste, per altro, la documentazione fotografica. Il 23 aprile del 2017, nell’ultimo pomeriggio di apertura di Tempo di libri, a Milano, la presentazione di Resistenza senza fucile vede sul palco Antonio Pizzinato, Giovanni e chi ora propone queste parole.
Nei temi generali che vengono sviluppati, dalla dimensione quotidiana del comportamento resistenziale al raccordo tra azioni di sabotaggio e fabbrica, dal ruolo delle donne ai raccordi tra centri urbano/industriali e territori di periferia, emerge in modo nitido ed puntuale la modalità di “interrogare” la storia a cui approda l’elaborazione di Giovanni e la questione, posta in maniera sempre più esplicita, della definizione di “un punto di vista”, capace di includere le interpretazioni che gli studi remoti  e recenti hanno progressivamente aggregato sul movimento resistenziale e, al tempo stesso, capace di ampliarne la portata oltre ed attraverso le ideologie e facendo tesoro delle ideologie stesse: senza dichiararle né inadeguate, né superate ma giungendo a definire una visione generale più ampia e superiore. Ciò che è problema evidentemente arduo ma che si deve ormai porre come problema non eludibile in una fase storica come quella dei primi vent’anni successivi al Duemila in cui non si è più in presenza di soggetti sociali “forti”, di soggetti collettivi che si pongano come obiettivo il farsi della storia.
Si tratta di un approccio che vale per i due ultimo volumi editi poco prima dell’estate 2017, mentre Giovanni era in vita: appunto Resistenza senza fucile e Il lieto annunzio del Bocco, firmato da Giovanni insieme a Sara, la figlia amatissima che da quattro anni lo ha preceduto nell’Oltre. Vale e varrà per il prossimo romanzo di cui sono le bozze sono ormai prossime - - vale per il testo (a quattro mani) sul quale si stava lavorando, costruito con percorsi di analisi all’interno del pensiero di Carlo Maria Martini e di Jorge Mario Bergoglio. Un testo che mi troverò a concludere da solo e di cui già esiste, deciso, il titolo: I due gesuiti. Un testo che inizia con le parole, che ci siamo divertiti a pensare insieme : “Carlo Maria Martini è il papa che non ci siamo meritati. Francesco è il papa che lo Spirito Santo ha deciso di darci comunque, perché se avesse aspettato i nostri meriti …”. Ed il punto di vista, definito ed in costruzione ad un tempo, di questi testi e di quelli rimasti in annotazione di Giovanni, non è soltanto per un Movimento come le Acli ma, una volta ancora, per una tendenza, per un modo di testimoniare la fede, per una presenza di vita cristiana (cercata, almeno…): per un’area, come si dichiarava con minor precisione in anni lontani, un “insieme” di realtà associate e quotidiane. Per chi cammini, mai da solo, nei giorni della storia con lo spirito della Lettera a Diogneto.
Si tratta, una volta ancora, di spezzoni di pensiero volti a misurasi con la società nella sua concretezza attuale, ché sempre vale il principio di non dar torto ai fatti, e perciò con una situazione in cui pare essere diventato orizzonte comune il situazionismo, profetato, da Guy Debord in un testo, preclaro, anteriore al Sessantotto francese, ispiratore, in positivo, di tanta creatività movimentista dell’epoca, mirato a descrivere l’alienazione come generata del comunicare e dl comunicarsi. Ciò che oggi si può ben osservare in tanta parte dell’autorappresentazione pubblica del nulla presente nei mondi “social” della rete. Sono cambiati, insomma, anche gli idoli che affollano i deserti del sociale su cui Giovanni ‘era soffermato anni addietro. E questo serve per dire che il problema, adesso, è continuare; che si tratta – drammaticamente più poveri, certamente più soli – di non interrompere uno stile di approccio e un filo di pensiero. Continuare è il dovere dell’ora: continuare in una elaborazione, anche, penso un po’ alle Acli, riprendendosi da momenti di pensiero incerto e di linea culturale un po’ “dispersa”. Si tratta di darsi strumenti senza costruire orpelli o macchine improprie: aspettiamoci e prepariamoci  a combattere tentativi di appropriazione o di riduzione di Giovanni a immagine di comodo.
Esistono i Circoli Dossetti: devono essere il primo strumento. Un piccolo gruppo, degli “allora giovani” che hanno scritto a lungo con Giovanni, si sta ricollegando in termini un po’ organizzati: sempre come “gruppo di lavoro”, sempre senza nome e intitolazioni: solo su whatsapp ha come auto/identificazione ironica il nome de “i ragazzi di piazza Petazzi”. In quella piazza, a Sesto, Giovanni ha sempre avuta casa e famiglia; li ci vedeva, ospitava, nutriva. Li si scriveva, annotava, tornava. Nessuno ce lo ha chiesto: lo stiamo vivendo come una chiamata.

Come conclusione: “Te racumandi…”
L’orizzonte, anche questo orizzonte di un compito da proseguire ci viene, ancora, da Giovanni. E affido il senso di questa conclusione ad un’immagine, un episodio, di molti anni fa, che rimanda ancora più indietro nel tempo per riportarci all’oggi. Così si riprende anche la narratività che è intenzione generale di questo contributo. Una domenica siamo a pranzo a casa mia, a Cucciago, Giovanni, Silvia, Rachele, mia moglie, e Greta, la mia (allora) piccola. Da poco Giovanni ha assunto la presidenza nazionale del Movimento.
Quasi di passaggio ricorda, a un certo punto, di come suo padre, morendo, giovane, dopo una vita agli altoforni, in Falk, l’abbia chiamato per dirgli, in dialetto sestese: “Giovanni, te racumandi i asuciaziun!” (Giovanni, ti raccomando le associazioni).
Rachele commenta: “Chissà come è contento tuo papà in questo momento”.
E Giovanni, dopo un momento come di incertezza, movendo appena il capo e quasi stringendosi nelle spalle, conclude: “Beh... Credo di sì”.
Noi ne siamo sicuri. Mai un lascito fu tanto rispettato. A noi non tocca di meno.


Note
1.Giovanni Bianchi, L’Italia del dissenso, Queriniana, Brescia 1968
2.Giovanni Bianchi, L’apprendistato (romanzo), Coines, Roma 1975, p. 106
3. I testi citati sono tutti in numeri successivi di  “Animazione sociale”
del periodo gennaio 1972-marzo 1973.
4. Jean Cardonnel, Angelo Gennari, Bernadette Devlin, Nguien Le Träng,
Sandro Antoniazzi, Giovanni Bianchi, Cristiani e internazionalismo,
Quaderni del Centro Operaio, Coines, Roma 1974
5.AA. VV. Le Acli tra interclassismo e scelta di classe, in “Relazioni Sociali”,
n. 5/6, settembre/dicembre 1973.
6.Giovanni Bianchi, Alberto Cadioli, Renzo Salvi, L’autonomia alla prova (1972-1973),
in  AA.VV. Le Acli tra interclassismo e scelta di classe, cit., pp. 58-68.
7.Giovanni Bianchi, Intervento per la sezione Le Acli oggi.
I problemi e le scelte politiche, culturali e religiose nel dibattito culturale, pp. 69-71
8.G. Bianchi, C .Riva, P. Ingrao, B .Sorge, R. La Valle, G. Baget Bozzo, D. Rosati,
G. Bonalumi, G. Lauzi, B. Manghi, F. Traniello, D. Mieth, M. Menant,
Cultura cattolica e egemonia operaia, Coines, Roma 1976
9.Gozzini, Menapace, Orfei, Santini, Drago, Lanfranceschina,
Brezzi, Della Valle, Boato. Fabris, Mongillo, Spallacci, Gentiloni,
 Bianchi, Salvi, Dall’Olio, Manghi, I cattolici e la sinistra,
Cittadella, Pergola, Santoro, Iannaccone, Alimenti, La Assisi 1977.
10.Giovanni Bianchi (a cura di), Dio in pubblico, interventi di E. Balducci,
C. Riva, B. Sorge. L. Lombardo Radice, G. Baget Bozzo,
R. Orfei, P. Bassetti, R. Buttiglione, G. Gherardi, G. Girardi, M. Cuminetti,
P. Bruzzichelli, B. Manghi, R. La Valle, (saggio bibliografico di R. Salvi),
Queriniana, Brescia 1978.
11.Armido Rizzi, Mario Rena, Luigi Sartori, Gianni Baget Bozzo,
Dalmazio Mongillo, Enrico Chiavacci, Bruno Maggioni, Michele Pellegrino,
La fede nella storia, nota introduttiva di Camillo Monti,
a cura dell’Ufficio Studi, Acli Como 1977/78.
Per i cicli degli anni successivi: Antonio Riboldi, Ernesto Balducci, Adriana Zarri,
Armido Rizzi, Gianni Baget Bozzo, I cristiani nel mondo. Nota introduttiva di Renzo Salvi,
a cura dell’Ufficio Studi, Acli Como 1979/80; e Arturo Paoli, Pia Bruzzichelli,
Giovanni Bianchi, Renzo Salvi, Severino Dianich, Giannino Piana,
Chino Biscontin, Luigi Bettazzi, Parlare di Dio in tanta complessità,
a cura dell’Ufficio Studi, Acli Como 1980/1981
12.Giovanni Bianchi (collaborazione Carlo Penati, Paolo Montesperelli, Pino Trotta),
Dalla parte di Marta. Per una teologia del lavoro, Morcellina, Brescia 1986
13.Giuseppe Gini, La formazione del pensiero politico-sociale di Achille Grandi,
prefazione e cura di G. Cavalleri, “Il Lavoratore Lombardo”,
Quaderno 5, Como, s.i.d.;
Achille Grandi e l’Antifascismo delle Leghe Bianche, a cura di Giuseppe Longhi,
con introduzione di Giovanni Bianchi, Quaderni di Realtà Sociale, Milano 1981;
Giuseppe Longhi, Achille Grandi a Como. Cristianesimo sociale
e movimento sindacale nel primo Novecento,
a cura dell’Ufficio Studi delle Acli comasche, Como 1984.
Il percorso di recupero di testi e contesti relativi ad Achille Grandi
si prolunga, ad oggi, sino alla ricognizione sistematica contenuta in Giorgio Cavalleri,
Reno Salvi (cura di), Chiara Milani (collaborazione),
Parole nella storia, nel ricordo di Achille Grandi.
Repertorio bibliografico, cine/televisivo e fotografico 196/2013,
Acli Como, Biblioteca Comunale Como, Cisl Como 2013.











  


   



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