UNA
FAMIGLIA ETERNA NELL’UMANITÀ
di Chiara Pasetti
La copertina del libro |
Alcune riflessioni
concepite e scaturite dall’incontro su Carlo Cassola alla Casa della cultura di
Milano del 19 ottobre 2017, per la presentazione del carteggio curato da Angelo
Gaccione e Federico Migliorati Cassola e
il disarmo. La letteratura non basta, Lettere 1977-1984. Con chi scrive
erano presenti il curatore Angelo Gaccione, Giuseppe Oreste Pozzi,
psicanalista, e Giuseppe Natale, presidente “Anpi” Crescenzago.
Prima di parlare del testo Cassola
e il disarmo vorrei spendere due parole sul suo curatore e destinatario
delle lettere, ossia Angelo Gaccione,
senza il quale non avremmo potuto recuperare questo importantissimo carteggio. Di
Angelo Gaccione, che conosco ormai da qualche anno e con cui collaboro non solo
per le pagine da lui dirette di Odissea, ho immediatamente ammirato non solo la
gentilezza, la libertà di spirito e l’enorme disponibilità nel dare consigli e
concedere il proprio tempo a chiunque lo interpelli su questioni importanti, ma
anche e soprattutto il grandissimo impegno civile, che da anni porta avanti con
Odissea e con tutti i mezzi e nelle
sedi in cui ne ha la possibilità, affiancato da un gruppo di intellettuali che
stimo molto e che collaborano da sempre con lui. Tra i tanti nomino soltanto i
professori Fulvio Papi e Gabriele Scaramuzza; a quest’ultimo in particolare
sono legata anche da profondo affetto poiché è stato il mio correlatore di tesi
di laurea in Filosofia presso l’Università Statale di Milano. Di Angelo
Gaccione ho ammirato anche l’entusiasmo, raro in una persona che ha combattuto
tante battaglie e ha visto l’impoverimento progressivo della cultura nella
propria nazione... Battaglie, valori, combats
che sono oggi non più rimandabili; il messaggio che emerge dal libro e dal carteggio
fra Gaccione e Cassola è appassionato e lucidissimo, e di estrema non solo
importanza bensì urgenza.
Prima di entrare nel vivo del testo, ancora
due parole sul suo curatore per sottolineare che ogni volta in cui mi sono
rivolta a lui presa dallo sconforto che una professione come la nostra spesso
porta con sé, sconforto dovuto al fatto di confrontarsi con editori,
collaboratori, redattori spesso distratti, e di ricevere compensi a dir poco esigui
se paragonati all’impegno, al tempo e alla fatica che richiedono scrivere un
saggio, una recensione, un libro, preparare conferenze e altro, lui mi ha
sempre sostenuta e incoraggiata a «non mollare!».
Per me è un
punto di riferimento importante; quasi tre anni fa, quando ho presentato in
conferenza stampa l’Associazione culturale di cui sono presidente, Le Rêve et la vie (www.lereveetlavie.it), Angelo Gaccione è venuto a
Novara per l’inaugurazione ufficiale e ha speso parole di grande affetto e
stima nei miei confronti e nei confronti questa avventura in cui ho fortemente
creduto e che lui ha appoggiato dall’inizio, essendo a sua volta un sognatore, per riprendere il nome che ho
scelto per l’Associazione, il sogno e la
vita.
Casa della Cultura: Chiara Pasetti accanto a Giuseppe O. Pozzi |
Da subito mi
è stato chiaro di avere a che fare con una persona simile a me: le anime simili
si ri-conoscono… E quella che Pardini, giustamente, nell’introduzione al libro
su Cassola chiama «missione dello scrittore», e mette tra parentesi «non
lavoro, tale bisogna definirla, missione»,
ho capito immediatamente che era ed è anche quella di Angelo Gaccione, così
come molto più umilmente è la mia. Quando mi chiedono “che lavoro fai?”, ho
sempre difficoltà a rispondere… Giornalista, critica letteraria, filosofa,
scrittrice… Non lo so, perché anche per me, come era per Carlo Cassola, per lui
con risultati mirabili di cui è superfluo parlare perché sono sotto gli occhi
di tutti, e per Angelo Gaccione, non si tratta di fare il lavoro dello
scrittore, si tratta di essere
scrittore. Per questo tante volte ci sentiamo dire, da chi scioccamente e
superficialmente svilisce una delle più nobili attività umane, la letteratura, la scrittura, che non è
un lavoro ma “un hobby”… No, è una vocazione,
che diventa una missione, nel caso di
Cassola e nel caso di Gaccione, quando accanto agli scritti intimi, creativi,
ai romanzi, ai testi di finzione, ai testi per il teatro, che comunque nel caso
di entrambi sono sempre fortemente ancorati alla realtà che si sono trovati e
si trovano a vivere, alla realtà politica in senso lato, culturale, sociale, si
affianca un impegno continuo, instancabile, spesso solitario e osteggiato, per
difendere ideali e valori senza i quali la società stessa diventerebbe una barbarie, per citare il titolo del
volume Disarmo o Barbarie degli stessi Cassola e Gaccione del 1984.
Mi ha fatto
molto riflettere questa parola, barbarie, e mi ha fatto venire in
mente una frase di uno scrittore francese in Italia molto poco conosciuto e
letto, Romain Rolland. Egli, un anno
prima della nascita di Cassola, nel 1916 ricevette il premio Nobel per la
Letteratura, premio Nobel che colpevolmente non venne invece proposto, per la Pace,
per Cassola. In un suo scritto del 1914 intitolato Al di sopra della mischia,
in cui si rivolgeva «agli intellettuali dei Paesi belligeranti che usavano la
loro penna e la loro parola per giustificare e propagandare la politica del
loro Paese», uno scritto che andrebbe letto da tutti perché testimonia il suo
grande impegno etico, politico, culturale, il suo senso della fratellanza e
l’indipendenza da dogmatismi e ideologie, Rolland si rivolge agli intellettuali
di ogni paese e religione, e scrive:
«In ogni Stato la ragione, la fede, la poesia, la scienza sono mobilitate
e sono al servizio degli eserciti. Ma tutti noi, artisti e scrittori, preti e
filosofi di ogni patria abbiamo un altro compito: anche nel corso di una guerra
è un delitto per un’élite compromettere l’integrità del proprio pensiero. È
vergognoso vedere un’élite al servizio di una puerile e mostruosa politica
razziale. L’umanità è una sinfonia di grandi anime collettive, chi non è in
grado di comprenderla e di amarla se non distruggendo una parte dei suoi
elementi, dimostra di essere un barbaro».
A queste parole fa eco una luminosa affermazione
di Gaccione nell’intervista condotta da Migliorati all’inizio del libro: «un
vero artista celebra la vita e non può sopportarne la sua umiliazione o peggio
la sua scomparsa».
Ritorna quindi anche nel pensiero di Rolland
il termine e il richiamo alla barbarie. E mi piace moltissimo questa
idea di Rolland dell’umanità come una sinfonia di anime collettive.
Tra Gaccione, Cassola, e gli intellettuali, giornalisti, scrittori, filosofi,
psicanalisti (c’era anche Cesare Musatti), artisti che aderirono alla Lega per
il Disarmo dell’Italia, per il Disarmo Unilaterale, come Cassola voleva venisse
chiamata la Lega, si formò davvero una sinfonia di anime collettive, che
noi tutti abbiamo il compito e il dovere di portare avanti, di non fermare.
Casa della Cultura. In piedi accanto a Gaccione da sinistra Piscitello e Nobile, a destra Natale |
Venendo al
carteggio, tra le tante emozioni che mi ha suscitato la lettura di questo
splendido libro, necessario, mi ha
fatto molta tenerezza, e al contempo rabbia, constatare che anche uno scrittore
del calibro di Cassola spesso si trovava alle prese con i miei stessi problemi.
In una lettera del 30 agosto 1978 in cui
comunica ad Angelo di inviare la sua quota volontaria per la Lega per il
disarmo, Carlo Cassola scrive di essere in difficoltà economiche a causa del
fisco (la lettera si trova a pag. 86 del testo). Non è cambiato nulla, per gli
scrittori, per gli artisti; è ancora, tristemente, come scrisse Cassola in
quelle righe.
E ci sono
anche molte lettere in cui parla della sua decisione di non voler più scrivere
per alcuni giornali con cui collaborava per le difficoltà che incontrava nel veder
pubblicati i suoi articoli nel momento in cui aveva reso chiaro ed esplicito il
suo pensiero anarchico e antimilitarista. Ci aveva «messo la faccia», come
scrive Gaccione, e la cosa non gli veniva perdonata da certi intellettuali
pavidi e opportunisti di cui era circondato (e di cui siamo tutti, ancora,
circondati).
Ho trovato di grandissimo interesse queste
lettere, per tanti motivi. Innanzitutto perché io conoscevo il Cassola
scrittore de La ragazza di Bube, il partigiano, non certo il Cassola engagé
e umanissimo che emerge dalle sue lettere. Personalmente, tra l’altro, adoro
gli epistolari; il mio scrittore da sempre, colui a cui ho dedicato tutti i
miei studi e le mie pubblicazioni, non a caso molto amato e citato nel
carteggio fra Cassola e Gaccione, Gustave Flaubert, ha scritto più di 2600
lettere, che ho letto tutte in lingua francese, e ho capito che nelle lettere si
trova l’uomo. André Gide definisce l’epistolario di Flaubert «il suo
vero capolavoro», e in un certo senso, senza nulla togliere ai testi che amo, Madame
Bovary sopra a tutti ma anche Salammbô, i Trois contes, o L’Éducation
sentimentale, citata da Cassola in una lettera ad Angelo, Gide ha ragione.
Perché per dirla con Baudelaire, nelle lettere di uno scrittore, come di
qualsiasi essere umano, si vede e si sente il suo cuore messo a nudo. Il
cuore di Cassola, la sua anima, esce con forza, tenerezza, coraggio in questo
carteggio meraviglioso. Mi ha interessato moltissimo anche la prima parte del
libro, l’intervista condotta da Federico Migliorati, in cui Gaccione racconta l’amico
scrittore parlando della sua grande generosità, della sua ritrosia e
riservatezza, dell’umiltà di chi, nonostante il successo e la fama ottenute
soprattutto con La ragazza di Bube e il film che ne seguì con Claudia
Cardinale, non si è mai atteggiato «a divo e ad artista, […], mai si è
sottoposto, su rotocalchi e televisioni, al gioco effimero della vanità o a
mettere in piazza il suo privato, in anni in cui tutti facevano a gara a
confessare ogni più intimo risvolto; egli lo ha difeso con un rigore assoluto e
anche in questo si distingueva dagli ambienti letterari culturali e dello
spettacolo nel suo complesso» (a pag. 23 del testo). E le caratteristiche di
umanità che possedeva hanno fatto di lui un vero artista e un vero
intellettuale, che è tale non per mostrarlo o mostrarsi ma per quella missione
di cui si parlava prima, che non aveva e non ha bisogno di lusinghe o
riconoscimenti, che comunque inevitabilmente e meritatamente arrivarono, ma
solo di lavoro, fatica, perseveranza e fiducia nel valore delle proprie idee e
del proprio compito. Compito che non è mai stato facile, per Cassola, nemmeno
all’interno di ambienti culturali che avrebbero dovuto appoggiarlo e invece,
per timore di esporsi, opportunismi di sorta, giochi di potere, non lo
aiutarono, fatta eccezione per pochi tra cui naturalmente Gaccione.
In una lettera del 1977 Cassola ribadisce la
sua assoluta volontà di parlare, di agire. E lo fa con garbo ma fermezza, usando
un’immagine che mi è parsa molto efficace, quella del «motorino di avviamento».
Casa della Cultura, da sinistra: Piscitello, Pasetti, Nobile, Gaccione, Natale, Denti, Pozzi |
Scrive infatti a pagina 40 del testo: «Io
intendo fare solo da motorino di avviamento: mettere in moto qualcosa di molto
più vasto, che poi dovrebbe organizzarsi per conto suo. Ma fare da motorino di
avviamento permanente, perché non mi stancherei mai di predicare il disarmo
unilaterale dell’Italia».
Molto forte questa espressione, «motorino di
avviamento permanente», qualcosa che non si spegne e non si spegnerà
mai.
La gentilezza, unita alla fermezza, di Cassola
di cui parla Gaccione nell’intervista che apre il libro e che emerge dalle
lettere mi ha richiamato alla mente un’altra grandissima figura sempre
francese, Germaine Tillion, nata nel 1907, dieci anni prima di Carlo
Cassola, e morta a 101 anni nel 2008. Germaine Tillion venne internata nel
campo di concentramento femminile di Ravensbrück nel 1943 accusata di attività
di resistenza, insieme alla madre che morirà nelle camere a gas. Lei, Germaine,
verrà invece fortunatamente liberata nel 1945 dalla Croce Rossa sovietica e da
quel momento fino alla fine della sua vita si impegnerà alla ricerca del «vero
e del giusto», come recita il titolo di un suo testo scritto con
Tzvetan Todorov nel 2001, per la conservazione della memoria dei crimini del
Nazismo e dello Stalinismo e della guerra in Algeria, e per combattere a favore
dei diritti delle donne. Dopo la liberazione dal campo di concentramento, insieme
al dolore Germaine scoprirà anche un altro sentimento che non la abbandonerà
più, la pietà, perfino nei confronti dei «boia» nazisti, ed esprime così
il suo pensiero a riguardo: «dalla conoscenza nasce la compassione e
dalla compassione la conoscenza», scriverà, «non potevo impedirmi, pur
odiando i miei boia, di provare pietà per loro». Grande e universale lezione,
una fra le tante che ci ha lasciato in eredità, che sono certa Cassola avrebbe
amato e condiviso. Tillion lotterà anche per denunciare l’uso della tortura in
Irak e per chiedere agli Stati Uniti e al mondo intero di riflettere sul terrorismo,
che a suo avviso non andava combattuto con operazioni militari ma «con
il dialogo universale, con la gentilezza, esaminando le aree più
deboli del pianeta per localizzare la sofferenza, alleviarla e infine
sradicarla». Credo che in questa sede in cui stiamo parlando sì di Cassola, ma più
in generale di pace, il pensiero e la figura di Germaine Tillion vadano onorate
e ricordate.
Tornando al carteggio, in una lettera sempre
del 1977 Cassola indica già Angelo Gaccione, a Milano, come punto di
riferimento del nascente comitato, movimento o come poi si chiamerà, Lega
antimilitarista o Lega per il Disarmo. Cassola credeva profondamente in questa
azione, che voleva restasse «anarchica o per lo meno libertaria», come afferma,
ed era consapevole che avrebbe incontrato molte difficoltà. Ma quanto è carica di
forza, convinzione, speranza questa sua frase: « bisogna persuaderci che è una
lotta che ha con sé l’avvenire. Se da principio saremo pochi, a partire da un
certo momento crescere a valanga» (pag. 45 del testo).
Seguono poi tante lettere a Gaccione con
indirizzi e nominativi di persone che avrebbero potuto aderire alla Lega per il
disarmo, e tra queste figura anche Padre David Maria Turoldo, frate e poeta,
nonché filosofo e teologo, che fu molto legato a Gaccione. Lettere in cui si
capisce che la Lega si stava allargando di città in città. E questo grazie alla
fama di Cassola, ma anche, è giusto dirlo e riconoscerlo, al lavoro continuo di
Gaccione e delle persone a lui vicine che da Milano tenevano le fila del
movimento. Cassola in quegli anni, verso il 1978-79, cominciava ad avere dei
problemi di salute e si spostava di rado, erano gli amici e i collaboratori a
muoversi per lui, a cercare sostenitori, a parlare della Lega per il disarmo ovunque
ne fosse data loro la possibilità.
Naturalmente, da persona che scrive e da studiosa,
vorrei dire “allieva”, di Flaubert, ho
amato molto, nel testo, anche le lettere in cui si parla di letteratura, di
narrativa, che Cassola definisce a pag. 97 del libro in una lettera del 1978 «il
supremo genere letterario».
Casa della Cultura. Natale e Pozzi con la signora |
Interessantissimi
gli scambi di pareri tra Gaccione e Cassola a proposito dei testi di Gaccione
che Cassola, con grande dolcezza, generosità e intelligenza, commentava. E
quando tratta di letteratura, compare sempre Flaubert; questo naturalmente non
può non avermi colpito ed entusiasmato perché per me Flaubert è il maestro
assoluto in campo letterario. Acutissimo per esempio il riferimento a Flaubert
e all’Educazione sentimentale nella lettera del 20 novembre del
1978 dove Cassola, parlando della legittimità, per uno scrittore, di compiere
salti in avanti o indietro nel tempo, come fa appunto Flaubert in quel romanzo
in cui, come scrive Cassola, «in poche righe fa passare dieci anni», egli aggiunge:
«ma l’accelerazione va giustificata letterariamente. In altre parole ci
vuole arte». Arte che, come giustamente gli risponde Angelo, lusingato dai
complimenti per il suo romanzo Abitare il cielo, quello che Cassola
commentava citando Flaubert, «si impara col tempo e affinando il mestiere». Questo
è sempre stato anche il pensiero di Flaubert. Si nasce scrittori, ma ci vuole
tempo, pazienza, «lavoro di lima e di scalpello», «mestiere». Immaginare questi
due grandi, Cassola già affermato, riconosciuto e stimato e un giovane uomo ma
non per questo di poco talento, Angelo Gaccione, che si scambiano commenti e
pareri, è molto istruttivo e anche emozionante: sembra davvero di entrare
nell’officina di lavoro, di creazione, dell’uno e dell’altro.
E vorrei concludere con una lettera, la stessa
che ho scelto per l’anticipazione del libro che ho potuto scrivere per Il
Fatto quotidiano a marzo di quest’anno.
È una lettera che Carlo Cassola ha inviato a
Gaccione l’otto marzo 1979, in cui parla di questioni teoriche legate alla
letteratura che, dice, «in questo momento mi interessano di più». E si domanda,
e domanda a Gaccione:
«La concezione letteraria e artistica propria
del Novecento è giusta o sbagliata? […]. Forse nel Novecento siamo stati troppo
sbrigativi quando abbiamo separato il “génie” dalla “bêtise”, cioè la poesia
dalla retorica: forse sono inseparabili, e chi ha rifiutato la seconda si è
condannato alla sterilità. Come Baudelaire e Flaubert, noi sentiamo d’istinto
la grandezza di un Victor Hugo, di un Dickens, di un Pascoli: ma non è
un’impresa disperata cercar di separare il grano dal loglio, vale a dire la
poesia dalla retorica?» (pag. 152 e pag. 154).
Casa della Cultura. Il momento degli autografi. In primo piano Nobile e Piscitello |
Ha ragione Cassola? Dal punto di vista strettamente
letterario, è un’impresa impossibile «separare il grano dal loglio»,
ossia «la poesia dalla retorica»? E mi chiedo ancora, siamo ora in un’altra
epoca, in cui forse, e lo dico con provocazione, non esistono più né l’uno né
l’altro, né poesia né retorica? E se è così, come possiamo, noi che scriviamo,
tornare a riunirle?
C’è una splendida frase di Flaubert tratta dal
suo epistolario, che spesso mi è capitato, tra le tante che ha scritto, di citare.
«Penso spesso, con profonda
tenerezza, ai tanti esseri sconosciuti, che ancora devono nascere, stranieri,
che si commuovono o si commuoveranno per le stesse cose che commuovono me. Un libro, è questo ciò che crea una
famiglia eterna nell’umanità. Tutti coloro che vivranno del nostro pensiero sono come tanti bambini seduti
alla nostra tavola. Per questo ho così tanta riconoscenza, io, nei confronti di
quei poveri vecchi prodi di cui ci
si rimpinza fino a scoppiarne, che sembra di aver conosciuto e ai quali si
pensa come fossero amici defunti!»
Casa della Cultura. Il violinista Raffaele Nobile mentre dedica a Cassola una ballata contro la guerra. |
Io penso ora a Carlo Cassola come Flaubert pensava
ai «vecchi prodi» che «sembra di aver conosciuto», e posso farlo grazie
al libro curato da Angelo Gaccione e Federico Migliorati, che ringrazio per
avermi permesso di conoscere un aspetto fondamentale di Cassola e di aver pubblicato
un testo che, come scrive Flaubert, se ben ascoltato e diffuso può
davvero creare una famiglia eterna nell’umanità. Una famiglia di spiriti
liberi, coraggiosi, contro la guerra e la barbarie in ogni loro atroce manifestazione
ed espressione.
Cassola
e il disarmo.
La letteratura non basta. Lettere a Gaccione 1977-1984,
a cura di Federico Migliorati e Angelo Gaccione,
TralerigheLibri, Lucca, pagg.
272, euro 18.