Una lettura de La
Rivoluzione Disarmista
di Carlo Cassola di cui
ricorre il centenario della nascita
di Gianmarco Pisa
La copertina del libro |
L’ormai “storico” volumetto, o
pamphlet che dir si voglia, di Carlo Cassola, La Rivoluzione Disarmista,
pubblicato a Milano nel 1983, continua, nonostante i quasi trentacinque anni di
distanza dalla sua pubblicazione, a parlarci di una vicenda attuale e a
chiamarci ad un impegno, si potrebbe dire una responsabilità, davvero
pressante. È forse questo tempo di “ricomparsa guerra permanente” e di
“rinnovata minaccia nucleare” a consegnarci una attualità imprevista della
riflessione di Cassola; fatto sta che, dalla speranza nei presunti «dividendi
della pace», all’indomani della fine della Guerra Fredda, della
contrapposizione bipolare e della deterrenza nucleare, siamo ripiombati oggi in
una stagione nella quale il nucleare continua a segnare il nostro tempo, la
minaccia e la deterrenza nucleare tornano purtroppo di attualità, lo spettro
della guerra resta aggressivo e minaccioso come in tanti altri momenti nel
Novecento.
E così
ridiventa utile leggere questo contributo di Cassola che, situandosi a metà
strada, per l’andamento della sua stesura ed il carattere della sua
argomentazione, tra il diario delle riflessioni personali e il saggio della
ricerca analitica, assume davvero l’aspetto e il tono di un volumetto politico,
insieme dotato di vigore letterario e di spessore polemico. Vale appena la pena
di ricordare, detto in premessa, che, nel momento in cui ci riferiamo
all’autore, stiamo parlando di uno dei più noti scrittori del Novecento
Letterario italiano, autore di racconti e romanzi del calibro di “Fausto e
Anna”, “I vecchi compagni” e soprattutto l’opera sua più famosa, “La ragazza di
Bube”, che gli valse il Premio Strega nel 1960. Un autore sempre
contraddistinto dallo sguardo penetrante e attento alle pieghe del vivere e
alle sfumature dell’esistenza e dalla prosa piana e lineare, forse perfino
semplice, lontana dall’avanguardia. Della sua letteratura, Salvatore
Guglielmino, ad esempio, ha detto che «mira a cogliere, in una vicenda o in un
gesto, il suo aspetto più autentico, l’elemento sia pur modesto e quotidiano
che ci svela il senso di un’esistenza, il tono di un sentimento».
Sincero
democratico (partigiano nelle brigate garibaldine, iscritto al Partito
d’Azione, consigliere socialista) ed autentico antimilitarista (fondatore della
«lega per il disarmo», promotore di un celebre «appello degli uomini di cultura
per il disarmo unilaterale dell’Italia», ispiratore di una vera e propria
«rivoluzione disarmista»), è proprio all’idea (all’utopia?) di una «rivoluzione
disarmista» che Cassola dedica il suo pamphlet. Il tema cruciale è quello della
“rivoluzione” che occupa, infatti, un posto di primo piano nell’articolazione
del volume, al punto che il capitolo introduttivo si intitola, ambiziosamente,
“La Rivoluzione che non c’è stata”: «I due flagelli biblici della peste e della
fame sono stati domati in epoca moderna (quello della fame, solo in Europa):
con sollievo generale. Il flagello biblico della guerra continua ad esistere,
con sopportazione generale. È ad esso che si devono i milioni di morti di fame
ogni anno in quattro continenti. È ad esso che si dovrà, a brevissima scadenza,
la fine del mondo, cioè il più gran crimine che l’uomo possa commettere ai
danni di sé stesso» (p. 7). È forse appena il caso di osservare, con Cassola,
che questa “rivoluzione”, prima ancora che “disarmista”, è senza dubbio
“umanista”, almeno nel senso del carattere fondativo, quasi neo-illuminista,
che la ragione umana deve avere nel suo sviluppo: «fuor di metafora dirò che
l’intelligenza è progressista, anzi, rivoluzionaria; il pregiudizio è, per
contro, conservatore e reazionario» (p. 9). Un bel messaggio, pertinente e
sfidante, anche alla luce dei tempi che corrono: «il nuovo è la rivoluzione. Ed
è facile capire perché: l’intelligenza non fa mai le cose a mezzo» (p. 13).
Proprio per
questo, la rivoluzione auspicata da Cassola non può che essere, al tempo
stesso, e qui si giunge al nucleo della sua riflessione, “disarmista” ed
“antimilitarista” in senso complessivo: vale a dire, non solo nell’accezione
negativa del superamento del complesso militare e delle articolazioni (e
condizionamenti) di potere che ne derivano, ma anche nell’accezione positiva
della trasformazione del modello di sviluppo in un senso che metta fuori gioco
il primato o la centralità dello stesso complesso militare. Cassola non ha
dubbi nell’individuare il principale problema del giorno d’oggi: «evitare ad
ogni costo una terza guerra mondiale, che significherebbe la fine della vita
sul pianeta terra» (p. 57). E si mostra lucidissimo anche nell’indicare la
forma di questo problema: «non si risolve la questione sociale se non si
elimina il peggiore ostacolo alla sua soluzione, vale a dire il militarismo»
(p. 122). In questo modo, individua con precisione la connessione tra modello
di sviluppo (capitalista) e logica della guerra (militarista) ed indica la
direzione di marcia di una lotta conseguente contro la guerra e per la pace,
vale a dire, al tempo stesso, contro il capitalismo e il militarismo e contro
il primato del militare e la logica della sopraffazione nelle relazioni tra i
popoli.
[Per
richieste copie: Alessandra Bianca L’Abate]
Tel. 345-4548730