L’inganno degli ideali,
l’inganno della lingua
di Giuseppe Oreste Pozzi
Questo è l’elaborazione dell’intervento
che lo psicanalista
Giuseppe Oreste Pozzi ha tenuto alla Casa della Cultura di Milano
il 19 ottobre scorso, in occasione di un incontro sul tema della guerra.
Giuseppe Oreste Pozzi ha tenuto alla Casa della Cultura di Milano
il 19 ottobre scorso, in occasione di un incontro sul tema della guerra.
[Ringrazio
Angelo Gaccione per questo invito alla presentazione del suo libro Cassola e il disarmo. La letteratura non
basta]
Quando ci siamo sentiti ho pensato
che poteva essere un buon momento storico per rilanciare le idee sulla Lega per
il disarmo di Cassola e rendere anche omaggio al lavoro intenso di Franco
Fornari con cui ho avuto la fortuna di lavorare per molti anni prima della sua
morte avvenuta nel 1985. Forse si pensa che gli psicoanalisti, in realtà, si
siano occupati dei conflitti e della guerra più che delle armi. Fornari, con il
suo ideale di Buona Famiglia Interna, aveva la velleità di aiutare le
istituzioni a elaborare i conflitti e la paranoia primaria per trovare una
pacificazione costruttiva fin dalla famiglia come prima istituzione umana.
Rimane il fatto che la pacificazione non sembra essere così appetibile per
l’essere parlante. Di fatto Franco Fornari compare nel carteggio di Cassola
riorganizzato da A. Gaccione ed il suo ideale psicoanalitico prende spunto
proprio dalla devastazione procurata dalla Bomba Atomica, il tragico e mitico
Baby, come era nominato. Fornari, quindi, prende le mosse dal bambino/bomba
pantoclastica, per articolare la sua proposta di disarmo nucleare. Era in
contatto, per esempio, con il Governo della Repubblica del Costarica, paese che
ha abolito l’esercito nel 1949, a seguito di una rovinosa guerra civile,
abolendo il programma degli armamenti a favore di un programma di welfare per
la propria popolazione. Evidentemente è avvenuto qualche cosa per cui i nuovi
governanti hanno deciso e saputo come elaborare il grave lutto di tale guerra a
favore di una ri-costruzione delle persone e del Paese.
Va aggiunto,
inoltre, che la psicoanalisi [1] si
è da sempre occupata di armi, anzi nasce proprio per occuparsene. Basti pensare
al detto “Ne uccide più la parola parlata
e scritta della spada”. La fondatezza di tale punto di vista è evidente già
solo soffermandoci sulle piccole-grandi questioni della psicopatologia della
vita quotidiana. Una fondatezza che apre il discorso ad una speranza concreta
anche se percorribile in piccoli e difficili sentieri e non su autostrade
grandi e scorrevoli. La parola, il significante, come primo sintomo/arma
distruttivo può essere elaborato ed assurto a sintomo/strumento costruttivo per
l’essere parlante. L’insegnamento che ci viene dalla clinica per la cura e la
riabilitazione dei pazienti molto gravi potrebbe portare con sé qualche
speranza e qualche incoraggiamento in più.
Premessa
Il titolo che mi ha orientato nel
prepararmi all’incontro è “L’inganno degli ideali, l’inganno della lingua”.
L’inganno degli ideali è già tutto scritto e inscritto nella lingua dal momento
che è proprio la lingua, in quanto tale, ad essere strutturalmente ingannevole.
A tal
proposito penso che per parlare di disarmo, non solo ai nostri giorni, occorra
necessariamente parlare di U-topia e anche di U-cronia. Siamo, cioè, nel regno
dell’U-topia e dell’U-cronia. Si potrebbe obiettare che il Costarica sia una
dimostrazione concreta, e non utopica e ucronica, che il disarmo è possibile concretamente.
Non prendiamo in considerazione la storia di tale Paese ma sappiamo che la
decisione di eliminare l’esercito, in quella nazione, può certamente essere
ascritta a una elaborazione che ha tutto il sapore di una “terapia” personale e
di una elaborazione sociale che sono state rese possibili da congiunture molto
dolorose per tutti. Si possono quindi costruire le condizioni per una tale
evoluzione personale e sociale in un paese, anche, o meglio, proprio a seguito
di un gravissimo trauma sociale, collettivo, familiare e soggettivo.
Cassola, a
sua volta, scende in campo con la sua proposta di “Lega per il disarmo” in un
dato momento storico e si riferiva ad una zona geografica precisa, l’Italia.
Aveva in mente la questione disarmo come una visione possibile, non utopica. Rimane
il fatto che tutte le U-topie e le U-cronie celebrano l’ideale di felicità parlando
di uomini liberi, assoggettati solo alla loro ragione e tale che permetta loro
di vivere in pace e in amore. Poi bisognerebbe capire meglio come mai le
metafore, nel certame amoroso, sono metafore militari – e non abbiamo certo
bisogno di rievocare il famoso e antico film La guerra dei Roses - per cogliere tutta la questione in gioco!
Disarmo come
segnale e guerra come sintomo sono comunque due questioni e due eventi che è
utile tenere distinti.
L’amore,
come la guerra, sono fatti di discorso [2].
Discorso che prende spunto dall’odio per qualcuno, eletto a proprio nemico che
possiede qualche cosa che riteniamo nostro e che motiva le masse ad armarsi e,
contemporaneamente, dall’amore per l’amico, per il simile, con cui ci si
compatta proprio perché percepiamo che il nemico invada il nostro territorio
amico e che ci perseguiti.
A proposito
di guerra, come discorso e inganno degli Ideali, sistemando la casa di mio
suocero, mancato l’anno scorso, ho trovato la prima pagina del Corriere della
Sera del 24 maggio 1915, giorno della dichiarazione di guerra dell’Italia
all’Austria-Ungheria. Nello scorrere quanto vi è scritto si coglie, con grande
evidenza, la falsità sia a livello del contenuto e, ancor più, soffermandoci
sulla forma enfatica della lingua, utilizzata dal giornalista e dai comunicati
ufficiali che vengono riportati nel giornale.
Il titolo
della pagina del Corriere della Sera del 24 maggio 1915:
L’ITALIA DICHIARA GUERRA
ALL’AUSTRIA-UNGHERIA
Sottotitoli
sulla stessa pagina:
Una nota italiana alle Potenze –
Lo Stato Maggiore parte per il campo
Nella stessa
pagina, il commento del giornalista usa una scrittura molto ampollosa, tipica
dell’epoca:
Guerra! La parola formidabile
tuona da un capo all’altro dell’Italia e si avventa alla frontiera orientale,
dove i cannoni la ripetono agli echi delle terre che aspettano la liberazione:
guerra!
Segue un
delirante programma di conquiste vittoriose richiamandosi ai valori della
patria e della bandiera. Prima ancora di avere sparato un solo colpo al nemico
l’Italia avrebbe già vinto la guerra per il solo fatto di averla dichiarata, di
avere avuto il coraggio della dichiarazione!
La nota
italiana alle Potenze è quanto il Governo italiano scrive, indirizzandola
all’Impero austro-ungarico dove si sostiene che l’aggressione alla Serbia è da
considerarsi uno sgarro all’Italia e, soprattutto, un affronto all’accordo,
sottoscritto dalle potenze, che include l’Italia. L’oggetto del contendere,
inoltre, ha il sapore di una presa in giro tra tutti. La questione, in sintesi,
è: se non mi chiedi il permesso per invadere un paese confinante, allora devi
pagare di più perché se mi chiedi il permesso, comunque mi devi dare qualche
cosa.
Nulla di
tanto diverso rispetto alle beghe di condominio. Beghe animate da invidia e
gelosia per chi ha o vorrebbe qualcosa che qualcuno, invece, non vuole
concedere, pur non avendola comunque, perché non riesce ad averla o, peggio,
perché non l’ha pensata per primo. Nulla di tanto diverso dall’invidia e dalla
gelosia che si scatena alla nascita di un nuovo fratellino, soprattutto quando
il bimbo lo sorprende al seno della “sua mamma”.
Tutti
vogliono la stessa cosa anche se nessuno può più averla, anche se l’oggetto che
si vuole e si cerca è perso per sempre, forse proprio per questo, sostiene la
psicoanalisi, lo si cerca nelle tasche degli altri e nel giardino del vicino. C’è
sempre di mezzo un qualche oggetto di scambio. Un oggetto che non è veramente
di nessuno ma che è pensato come esclusivamente proprio. Come il caso di
Gerusalemme [3], se si vuole. Non
c’è incontro tra soggetti, non c’è alcuno scambio o incontro tra soggetti, che
non sia sostenuto da un qualche interesse di avere l’oggetto che ha l’altro. La
conosce bene, il nevrotico, questa posizione psichica. La conosce molto bene
anche lo psicotico che vede tutti essere interessati a lui e a quello che lui
ha, senza che lui sappia, tuttavia, di avere già in tasca tale oggetto. Per
altro la paranoia dello psicotico va intesa proprio come risposta difensiva a
chi si interessa troppo a lui e, per questo, si difende da tutti e lavora contro
tutti. Anticipando un po’ le conclusioni e le proposte, va da sé che, se è
possibile curare la psicosi o meglio il discorso psicotico, allora perché non
tentare anche con la guerra o meglio con la guerra come discorso che trova,
nelle armi e negli armamenti, un modo per garantirsi il proprio sintomo
distruttivo?
Ma andiamo
per gradi.
Potremmo
dire che “Tutti i rapporti umani si reggono sul possesso e sul predominio della
cosa”. Siamo di fronte al Das Ding freudiano e lacaniano ma, in realtà, sono le
parole pronunciate da Fabio Brenna, giornalista, la mattina di giovedì 19 ottobre
al programma radio delle ore 8:00 su Radio Marconi! Si tratta di un commento
che il giornalista propone, a margine di qualche fatto di cronaca, dove
qualcuno fa la guerra a qualcun altro per prendergli, usurpargli, rubargli,
qualche cosa, l’oggetto del suo “desiderio”, o meglio del suo pulsante
“bisogno”, proprio perché tale oggetto è andato perduto per sempre!
U-topie e U-cronie
Riprendiamo dalle Utopie e dalle
Ucronie. La domenica 25 Settembre 2016, l’inserto cultura del quotidiano Il
Sole 24/ore stampa una pagina per commemorare i 500 anni dall’Utopia di Tommaso
Moro. Vincenzo Ferrone lo celebra con Storia e futuro di una idea di società
migliore.
- Tutto ciò che è immaginabile esisterà,
sosteneva l’Abate di Saint Pierre;
- Le Utopie sono le verità che verranno,
verità premature, rimarca Alphonse de Lamartine, nel sottolineare la loro
importanza nella storia dell’uomo.
Bronislaw
Baczko, storico polacco, morto l’anno scorso in agosto, è il massimo studioso
del pensiero utopista del secolo dei Lumi. Il pensiero illuminista sarebbe il
periodo caldo del pensiero utopico. Accanto ad utopie stataliste erano sorte
anche utopie anarchiche, agrarie e urbane, primitiviste o rivolte agli ideali
della scienza e della tecnica, collocate su isole oceaniche o nei deserti etc.
Nel 1771
Louis Sébastien Mercier, con il suo testo L’anno
2040, modifica il paradigma tradizionale del discorso utopistico
introducendo il viaggio immaginario, non in un’isola che non c’è, ma nel tempo.
Questo passaggio da U-topia a U-cronia, permette a Nicolas de Condorcet [4] di coniugare storia e u-topia.
Arriva allora a descrivere una società umana di liberi ed uguali che sarebbe
vissuta in pace, rispettando i diritti dell’uomo, senza differenze di genere,
di etnie, di religione di nazionalità.
Verrà dunque
quel momento – scriveva Condorcet, pochi giorni prima di morire in prigione e
gettato poi dai giacobini in una fossa comune – verrà quindi il momento in cui
il sole illuminerà sulla terra ormai soltanto uomini liberi e che non conosceranno
altro signore se non la propria ragione, in cui i tiranni e gli schiavi, i
preti e i loro strumenti stupidi e ipocriti esisteranno soltanto nella storia.
Così
l’illuso scienziato Condorcet formulava la sua soluzione all’enigma della
storia, nei termini di una vera e propria previsione scientifica, sulla base
degli esempi storici del passato e creando, in tal modo, una paradossale
utopia-anti-utopica, destinata ad affascinare molti, dopo di lui, nonostante
l’evidenza della sua misera fine. Si tratta di personaggi come Francois Guizot,
Karl Marx e tutti gli altri epigoni che continuano a succedersi.
Ci saranno
solo uomini liberi e non schiavi e padroni! Questa la promessa dell’Ideale!
La ricerca
della felicità, la ricerca di u-topie e di u-cronie sono, anch’esse,
strutturali all’essere parlante dal momento che rappresentano l’Ideale ancorché
irraggiungibile. Siamo di fronte alla antica e nuova storia della guerra tra il
bene e il male. Anche Freud pensava a questo dualismo, per cui il Principio di Piacere
doveva contendersi lo spazio, nella storia, combattendo contro la Pulsione di
Morte. Ogni pulsione è in definitiva una pulsione di morte, sostiene però
Lacan, liquidando la questione dualistica. Poter vivere senza distruggersi con
le proprie mani significa, allora, imparare, necessariamente, ad elaborare il
sintomo soggettivo e sociale della pulsione di morte?
Il bisogno
di U-topia è, di fatto, inestinguibile per l’uomo e merita pertanto di essere
approfondito dal punto di vista della conoscenza storica e delle sue proiezioni
future. Questo è quanto sostiene Bronislaw Baczko. Un bisogno che, tuttavia, va
vissuto con spirito critico, impedendo che le utopie si trasformino in
pietrificate e pericolose ideologie come è avvenuto nella rivoluzione francese,
come avviene con le utopie totalitarie del novecento, come avviene con quelle
religiose dei fondamentalisti dei nostri giorni. Per Bronislaw Baczko e Tommaso
Moro, si tratterebbe, quindi, di salvare e salvaguardare il carattere valoriale
di tali u-topie, al servizio della ricerca di felicità dell’uomo.
La verità
clinica che Lacan mette in evidenza è che lo stesso bisogno di utopia, come
valore inestinguibile, è esattamente quello che sta alla base del bisogno
inestinguibile di guerra. La corsa agli armamenti è il segno di questo bisogno
pulsionale soggettivo e collettivo. La questione allora non starebbe nella
necessità di sostenere i valori come luoghi ed elementi per combattere i
dis-valori, nella perpetua guerra tra il bene e il male, ma aiutare i soggetti
ad elaborare il proprio bisogno pulsionale che è sempre di natura dis-truttiva.
Se tale
pulsione distruttiva, se tale pulsante bisogno, è considerabile e trattabile
come un sintomo elaborabile - come avviene nei centri clinici per malati gravi
e gravissimi - allora significa che una qualche speranza può essere cercata,
così da scovare una via d’uscita anche o proprio in virtù della prospettiva
clinica! Grazie agli studi sulla guerra fatta dagli psicoanalisti, anche dopo
il lavoro di Franco Fornari, possiamo sostenere certamente che l’oggetto causa
del desiderio e del bisogno di u-topia e di u-cronia è esattamente lo stesso
oggetto aureo/oggetto tesoro/oggetto di desiderio/oggetto di bisogno che sta
alla base di tutte le guerre e di tutte le ricerche di una felicità da
incontrare su questa nostra terra! Questa può essere la tesi in gioco, oggi.
Guerra e follia
La guerra e le utopie sono
strutturali all’essere parlante, come la follia. “La follia della guerra”. La follia riguarda
il soggetto, uno per uno. La guerra riguarda le moltitudini, i popoli.
E le armi?
Cosa fare con le armi? Sappiamo che la psicoanalisi nasce proprio dalla vera
arma a disposizione del soggetto e, cioè, dalla parola o significante che
arriva ad utilizzare il corpo come teatro per il proprio godimento mortifero.
La psicoanalisi, quindi, ha a che fare, in modo diretto, con la questione delle
armi e del disarmo, ma su un piano differente, più reale, concreto e pragmatico
di quanto si possa pensare, pur non essendo e non proponendosi come garanzia di
salvezza ai popoli e per i popoli.
La
psicoanalisi è al servizio del soggetto, uno per uno ma sa anche come ispirare
e orientare il lavoro della clinica nel sociale e cioè il lavoro che va svolto
nelle varie istituzioni di cura avendo a che fare, in questa clinica, con i
collettivi, cioè i gruppi di soggetti considerati, psichicamente malati gravi.
È Napoleone
che sosteneva che in guerra come in amore, per terminare, occorre che i due
contendenti si avvicinano. Questo avvicinarsi dei corpi è assolutamente valido
e concreto anche oggi, al tempo dei droni, cioè degli sguardi che vedono tutto
a grandi distanze ed a 360° e hanno pure la memoria di quanto registrano con il
loro occhio [5]!
Tornando
alla psicoanalisi, essa nasce proprio per aiutare i soggetti ad elaborare le
armi/significanti che loro stessi producono.
Carlo
Cassola, dal canto suo, conosceva bene la questione e sapeva declinare tale
differenza passando dal ruolo di scrittore che incontra tutti, uno per uno,
nella loro posizione di lettori, al ruolo di stratega del disarmo dove, invece,
sa che occorrono altri strumenti ed altre modalità di comunicazione, al punto
che fonda la Lega per il disarmo. Una Lega che dovrà tenere conto delle
dinamiche dei collettivi e dei movimenti della massa.
L’analogia
utopia-ucronia-guerra-follia rimane comunque un punto fermo, sapendo, in
realtà, che chi scatena la guerra, non sono i popoli, mentre chi ha interesse
nelle armi sono in tanti ma tutti, a livello dell’uno per uno. Individui che si
annodano nel contagio della malattia della “corruzione”, per usare la metafora
usata dallo stesso Carlo Cassola [6]
o, per dirla con Lacan, che si annodano, distruttivamente, nel
godimento/corruzione che è sempre molto, troppo, contagioso.
Le armi
sono, dunque, il sintomo segnale della guerra come malattia da curare e che
implica l’umanità come tale. Le armi in uso sono, invece, un sintomo già
incurabile, già intrattabile, di un popolo preso dentro dalla pulsione di
morte. Occuparci del segnale che abita gli arsenali offre ancora qualche
speranza possibile. Lo aveva ben capito proprio lui, Carlo Cassola.
Le opzioni della psicoanalisi
Il lavoro clinico permette a Freud
di curare i militari di ritorno dalla guerra, dandogli la possibilità di
articolare e argomentare le nevrosi da guerra. Nel carteggio Freud-Einstein,
invece, viene sottolineata la dissoluzione del senso morale, in guerra. Qui,
tutte le acquisizioni morali dei singoli spariscono e sussistono, invece, gli
atteggiamenti psichici più primitivi. Il contagio e la corruzione di tali
atteggiamenti psichici primitivi è tale, a livello individuale, che sono sempre
più evidenti nei comportamenti quotidiani dei cittadini stessi, nella loro vita
di ogni giorno. Non c’è bisogno di andare a leggere, nelle statistiche,
l’incremento esponenziale dei sintomi del grave malessere personale e sociale
dei giovani e dei meno giovani. Basterebbe, molto banalmente, rimanere qualche
minuto fermi a osservare quanto accade ad un semaforo in città e vedere, per
esempio, gente china sul proprio telefonino o che, spavaldamente e sfacciatamente,
passa con il rosso, infischiandosene, letteralmente, del fatto che le
automobili, con il verde, sono costrette e frenare per non investirli.
La chiesa e
l’esercito rimangono il luogo elettivo dove si decide del destino pulsionale
delle masse organizzate e durevoli e dove si orienta la pulsione distruttiva o
si favorisce una dolce e opportuna spinta perché si metta in moto una
elaborazione possibile delle proprie pulsioni da parte dei singoli credenti e
dei tanti militari.
Masse che
hanno un capo o un’idea. L’odio verso qualcuno, infatti, può agire come
unificante altrettanto forte come con un capo o per un’idea. L’esigenza di
soddisfazione libidica e di godimento senza limite delle masse, le rende
veramente inquietanti. La storia conosce bene questo godimento distruttivo, sia
nelle guerre di religione, sia nelle guerre di conquista etc.
Freud nel
carteggio con Einstein è poco convincente. Aveva in mente l’Ideale
dell’incivilimento. Si tratterebbe di valorizzare l’intelletto come strumento
di civiltà, dal momento che conterrebbe, imbriglierebbe, cioè limiterebbe il
“cervello rettile”, così come la cultura sarebbe in grado di controllare le
istanze aggressive degli individui di una società. Di fatto, la guerra spazza
via e distrugge, letteralmente, cultura sociale e intelletto individuale.
Freud
capisce anche che i traumi da guerra, le nevrosi da guerra, sono già una
risposta, una cura, in grado di sottrarre il soggetto alla distruzione/pulsione
di morte comandata e prescritta dal potere costituito dello Stato. Questo
vorrebbe dire che anche per la pulsione di morte si potrebbe avere un
trattamento terapeutico rivolto alle piccole e grandi masse. Un esempio di tale
tentativo, socialmente sostenibile, sarebbe il Policlinico di Berlino, gestito
da psicoanalisti, allievi di Freud [7].
Bion ha
messo a sistema questo lavoro clinico, al servizio delle istituzioni, quando ha
potuto, con il collega John Rickman, lavorare per l’esercito inglese proprio
per mettere a punto il trattamento della pulsione di morte nelle comunità
terapeutiche ed offrire ai “dullards” occasioni di rinascita simbolica,
attraverso atelier-laboratori per la manutenzione della casa, della vita
comunitaria, per il tramite di esperienze legate alla espressività [8].
Fornari, a
sua volta, vorrebbe fare delle proposte più specifiche e precise a livello
sociale, anche se orientato dall’obiettivo Ideale di poter pacificare, grazie
alla psicoanalisi, le istituzioni, aiutandole ad elaborare il conflitto a loro
strutturale. Il suo concetto di buona famiglia interna, come risultato della
somministrazione dei codici affettivi familiari nelle istituzioni, aveva questa
specifica finalità. Prende spunto dagli effetti pantoclastici della bomba
atomica, per teorizzare ed evidenziare sia la fine dello schema amico-nemico,
sia la funzione della paranoia primaria come energia vitale/distruttiva che sta
alla base della nascita di ogni soggetto dal momento che accompagna la donna,
come esperienza psichica per tutto il periodo della gestazione. Una paranoia che,
con l’avvento della bomba atomica (soprannominato baby dagli americani) non può
più essere esportata nell’area nemica dichiarandogli guerra dal momento che
l’arma atomica eliminerebbe anche il territorio amico oltre a quello del
nemico. La necessità di aiutare le istituzioni, a partire dalla famiglia
stessa, ad elaborare la paranoia primaria come dispositivo intrapsichico, lo
spinge a costruire e perseguire il modello della buona famiglia interna come
risposta possibile e strumento utile alla elaborazione. Gli interventi, nelle
istituzioni, diventano, così, dei corsi di formazione alla democrazia degli
affetti. Lui stesso partecipava a realizzare tali corsi, negli ospedali, nelle
aziende produttive etc. Anche in questo caso non abbiamo visto sorgere o risorgere
istituzioni in grado di evitare, in modo sistematico, i conflitti che
continuano ad insidiarle.
Lacan, dal
canto suo, ci insegna qualche cosa a partire dalla Soluzione finale,
l’Olocausto (Shoah) e dallo sterminio di Stalin, oltre che dalla bomba atomica.
Questa attenzione è preziosa, ai fini di una possibile via di uscita, dal
momento che mette in gioco proprio la cultura di un popolo a partire dalla
sensibilità dei suoi cittadini.
La cultura
inglese - spiega Lacan - durante l’ultima guerra ha avuto un rapporto veridico
al reale[9]. Lacan cerca di mostrare come la cultura inglese abbia saputo
accettare e accogliere la pulsione di morte, in quanto ineliminabile dalla
società. Intende, come reale, qualcosa che ha il sapore del buco nero
esistenziale, del buco dell’angoscia/godimento che accompagna ogni soggetto da
quando nasce.
Tale precisa
constatazione e verità - sottolineata e resa socialmente evidente dal Rapporto Beveridge [10] e dal fatto che, diversamente dalla Francia, l’Inghilterra
abbia mantenuto l’obiezione di coscienza al servizio militare anche durante la
guerra – rende, il popolo inglese, in grado di accettare il fatto che la
pulsione distruttiva che viene convogliata nella guerra, non intacchi l’intera
nazione e non coinvolga l’intero popolo sulla questione guerra. Questo fatto
riesce ad arruolare, invece, qualcuno sulla questione umanitaria e civile così
che l’energia sociale e personale possa essere messa anche al servizio del
sollievo da dare a chi è vittima della guerra proprio perché rinuncia alla
guerra o, meglio, all’uso delle armi.
Chi fa
obbiezione di coscienza e trasforma, tale obbiezione, in servizio civile, offre
la propria più alta e personale testimonianza alla società perché possa
cogliere l’opportunità concreta di arginare la pulsione di morte resa legge
dello Stato. Questo fatto, non a caso, non ha per nulla impedito,
all’Inghilterra, di vincere comunque la guerra, anzi, per Lacan ha costituito
l’espressione della sua anima vitale e vincente sul piano culturale e sociale.
Con Lacan e
la sua scuola si riparte, allora, in modo operativo, dalla Shoah e dallo
“sfruttamento” umano di Stalin, le due più evidenti espressioni dell’odio
distruttivo e devastante contro l’umanità, per poter contrastare e arginare,
con energia e clinicamente orientati, queste pulsioni di morte gravose e
giocate sul piano della gestione/devastazione delle masse. Una ripartenza che
permette di riscrivere quanto Freud aveva mostrato in Psicologia delle masse e
analisi dell’Io. Non si tratta di insistere sulla simbiosi tra Ideale dell’Io e
Super Io, dove si confonde il mezzo con il fine ma di accorgersi del potere
dell’oggetto non simbolizzabile che circola tra i soggetti e muove le masse
dis-orientate proprio nel momento in cui rivendicano il loro godimento senza
limite.
Qualche esperienza empirica e
pratica
L’esercito, al servizio della
riabilitazione del terzo debole, in Italia, è una realtà piccola ma concreta.
La Fondazione Tender To Nave Italia, per esempio, ospita ogni anno ragazzi in
difficoltà, facendoli navigare su un Brigantino di 61 metri, assieme a 21
marinai della Marina Militare. Lavorano insieme per una settimana, con
risultati clinici molti importanti. Ad Arpy, nella sede della ex Scuola degli
Alpini, in Valle d’Aosta, i ragazzi in difficoltà trovano proprio gli Alpini
con i quali vivere insieme la montagna. Anche in questo caso si tratta di un
incontro fortunato e, quindi, molto utile sia sul piano della riabilitazione in
senso stretto, sia per il rapporto umano che alimenta l’autostima in modo
semplice e diretto favorendo l’inclusione sociale senza paranoie e allarmismi
inutili.
A Milano,
alla Caserma Perrucchetti, la società ANIRE, che da 40 anni opera con i
disabili utilizzando i cavalli, come strumento per la riabilitazione, ogni giorno
accoglie ragazzi fragili che sono assistiti anche con l’aiuto dei militari
dell’esercito. Poter partecipare a tali esperienze permette di cogliere, con
molta evidenza, che si può vivere insieme senza farsi del male, senza usare
armi per combattersi proprio là dove ti aspetti militari armati. Il terzo
debole può operare, fare delle cose insieme ai militari, come componenti forti
della società, e al posto delle armi troviamo azioni di riabilitazione
pacifica.
“Fare
insieme, magari da soli ma non in solitudine, abbassa la paranoia
istituzionale!” è diventato il filo conduttore ed il leitmotiv dei progetti
clinici e culturali di Artelier che, ogni anno, organizza, presso la Società
Umanitaria, il festival dell’Espressività Stanze di Psiche. In questo Festival
sono coinvolti soggetti del terzo debole, artisti, ragazzi delle scuole
pubbliche e private della città, familiari dei ragazzi etc. Il tema del
festival cambia ogni anno e ognuno può partecipare, portando un oggetto della
propria espressività che rappresenti il tema [11]. Per il prossimo anno l’argomento-tema sarà, non a caso,
Ascoltami.
Per non concludere
Sulle note di una speranza
possibile ci appoggiamo a quanto scrive, alla fine del suo articolo M. E.
Brousse: Quando il Nome del Padre, perde la sua potenza e il significante
padrone non riesce più a comandare il discorso, o ancora non può decidere tra
versioni differenti, le guerre vengono al loro posto a organizzare il
“commercio interumano”, a partire da questa soluzione rovinosa che è il trauma.
Abbiamo
aperto la nostra riflessione passando dall’U-topia e concludiamo servendocene
ancora. Grazie al premio Balzan, Bronislaw Bazcko realizza una monumentale
ricerca dal titolo: Dizionario critico
dell’Utopia al tempo dei Lumi [12]. Da quest’opera monumentale emerge
l’utilità di un ritorno a Giobbe. Giobbe,
amico mio. Promessa di felicità e
fatalità del male (1997), libro capolavoro di Bazcov, riflette sulla
condizione umana, prescindendo dal disegno divino della Provvidenza, rigettando
sia il rassicurante tout est bien di
Leibniz, sia il mito religioso della caduta dal Paradiso terrestre e del
peccato originale come spiegazione ultima di un male che è possibile combattere
e debellare.
Il male, da
assoluto che era con Agostino, diventa relativo, in quanto umano e prende corpo
l’epocale passaggio da una visione teocentrica che mette al centro il giudizio
divino (teodicea) a favore di quella antropocentrica che mette al centro la
ragione umana (antropodicea) con tutte le contraddizioni che la storia e la
razionalità dell’uomo portano sulla scena e nell’esistenza degli esseri
parlanti e della natura.
L’essere
umano viene accettato come realisticamente parte e componente della natura,
pensato nella sua autonoma grandezza e dignità di essere in quanto determinato
a cercare la felicità interna ma allo stesso tempo, dolorosamente condizionato
dalla natura stessa, dalla contemporanea presenza, nella storia umana, del bene
e del male o meglio della guerra infinita tra il bene e il male. Un uomo
certamente limitato ma anche capace di emanciparsi. Libero di cercare la sua
felicità e il suo surplus di male prodotto dalla società e, quindi,
responsabile del proprio destino terreno o della tragedia della propria
distruzione. Pronto, quindi, a vivere in libertà e responsabilità la
tragi-commedia della propria vita. Proprio al celebre romanzo filosofico di
Voltaire, Candide, variante
illuministica del mito/racconto biblico di Giobbe, vessato dal male che Dio
aveva permesso gli capitasse, per saggiare la sua fede, Bazcov, non a caso,
affida le sue conclusioni. Tra la vita
serena nel mitico eldorado e il ritorno nel mondo reale, con le sue catastrofi,
come il terremoto di Lisbona (1755), le sue guerre e le violenze di ogni tipo,
Candide/Giobbe sceglieva di ritornare nel mondo terreno unicamente per
ritrovare il sorriso della sua amata Cunegonda e godere del suo attimo di
felicità.
NOTE
[1]
Psicoanalisi, altrimenti definita talking cure, cioè, cura della parola
dell’analizzante.
Parola che l’analizzante, pur
pronunciandola, non riesce ad incontrare veramente
o meglio, non riesce o non vuole
incontrare per la verità che contiene,
per il dolore che gli procura
etc.
[2]
Marie-Hélène Brousse, Dagli ideali agli
oggetti: il nodo della guerra,
in «Guerre senza limite.
Psicoanalisi, trauma, legame sociale»,
Rosenberg&Sellier, Torino
2017, pag. 184.
[3] Ibidem pag. 186.
[4] Studioso pioniere della statistica e del
calcolo delle probabilità.
Si veda il suo testo postumo
(1794-95)
Esquisse d’un tableau
historique des progrès de l’esprit humain.
[5] Gérard
Wajcman, Occhio di guerra, «Guerre
senza limite.
Psicoanalisi, trauma, legame sociale»,
Rosenberg&Sellier, Torino 2017, pagg: 254 e segg.
Psicoanalisi, trauma, legame sociale»,
Rosenberg&Sellier, Torino 2017, pagg: 254 e segg.
[6] Angelo
Gaccione e Federico Migliorati (a cura di)
Cassola e il disarmo. La letteratura non basta .
Cassola e il disarmo. La letteratura non basta .
Tra le righe libri, 2017, pag.
34-35-36.
[7] Sigmund
Freud, Rapporto sul policlinico psicoanalitico di Berlino di Max Eitingon,
in Opere, Boringhieri, 1980, vol 9 pag. 573.
[8] Giuseppe O.
Pozzi, L’opera di Bion o della
psicoanalisi
come antidoto alle grandi seleziono sociali,
come antidoto alle grandi seleziono sociali,
in La Psicoanalisi n. 59/2016
pagg.: 123-138.
[9] Jacques
Lacan, (1947) La psichiatria inglese e la
guerra,
in La Psicoanalisi, n. 4, 1988.
in La Psicoanalisi, n. 4, 1988.
[10] Giuseppe O.
Pozzi, ibidem pagg. 123-138
[11] Vedi
www.artelier.org Festival dell’Espressività Stanze di Psiche
negli anni 2014, 2016, 2017 ed il
programma 2018.
[12] Un testo di
ben 1.500 pagine e la partecipazione di 50 studiosi di tutto il mondo.