UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

martedì 14 novembre 2017

L’inganno degli ideali, l’inganno della lingua
di Giuseppe Oreste Pozzi

Giuseppe Oreste Pozzi

Questo è l’elaborazione dell’intervento che lo psicanalista 
Giuseppe Oreste Pozzi ha tenuto alla Casa della Cultura di Milano 
il 19 ottobre scorso, in occasione di un incontro sul tema della guerra.

[Ringrazio Angelo Gaccione per questo invito alla presentazione del suo libro Cassola e il disarmo. La letteratura non basta]

Quando ci siamo sentiti ho pensato che poteva essere un buon momento storico per rilanciare le idee sulla Lega per il disarmo di Cassola e rendere anche omaggio al lavoro intenso di Franco Fornari con cui ho avuto la fortuna di lavorare per molti anni prima della sua morte avvenuta nel 1985. Forse si pensa che gli psicoanalisti, in realtà, si siano occupati dei conflitti e della guerra più che delle armi. Fornari, con il suo ideale di Buona Famiglia Interna, aveva la velleità di aiutare le istituzioni a elaborare i conflitti e la paranoia primaria per trovare una pacificazione costruttiva fin dalla famiglia come prima istituzione umana. Rimane il fatto che la pacificazione non sembra essere così appetibile per l’essere parlante. Di fatto Franco Fornari compare nel carteggio di Cassola riorganizzato da A. Gaccione ed il suo ideale psicoanalitico prende spunto proprio dalla devastazione procurata dalla Bomba Atomica, il tragico e mitico Baby, come era nominato. Fornari, quindi, prende le mosse dal bambino/bomba pantoclastica, per articolare la sua proposta di disarmo nucleare. Era in contatto, per esempio, con il Governo della Repubblica del Costarica, paese che ha abolito l’esercito nel 1949, a seguito di una rovinosa guerra civile, abolendo il programma degli armamenti a favore di un programma di welfare per la propria popolazione. Evidentemente è avvenuto qualche cosa per cui i nuovi governanti hanno deciso e saputo come elaborare il grave lutto di tale guerra a favore di una ri-costruzione delle persone e del Paese.
Va aggiunto, inoltre, che la psicoanalisi [1] si è da sempre occupata di armi, anzi nasce proprio per occuparsene. Basti pensare al detto “Ne uccide più la parola parlata e scritta della spada”. La fondatezza di tale punto di vista è evidente già solo soffermandoci sulle piccole-grandi questioni della psicopatologia della vita quotidiana. Una fondatezza che apre il discorso ad una speranza concreta anche se percorribile in piccoli e difficili sentieri e non su autostrade grandi e scorrevoli. La parola, il significante, come primo sintomo/arma distruttivo può essere elaborato ed assurto a sintomo/strumento costruttivo per l’essere parlante. L’insegnamento che ci viene dalla clinica per la cura e la riabilitazione dei pazienti molto gravi potrebbe portare con sé qualche speranza e qualche incoraggiamento in più.

Giuseppe O. Pozzi

Premessa
Il titolo che mi ha orientato nel prepararmi all’incontro è “L’inganno degli ideali, l’inganno della lingua”. L’inganno degli ideali è già tutto scritto e inscritto nella lingua dal momento che è proprio la lingua, in quanto tale, ad essere strutturalmente ingannevole.
A tal proposito penso che per parlare di disarmo, non solo ai nostri giorni, occorra necessariamente parlare di U-topia e anche di U-cronia. Siamo, cioè, nel regno dell’U-topia e dell’U-cronia. Si potrebbe obiettare che il Costarica sia una dimostrazione concreta, e non utopica e ucronica, che il disarmo è possibile concretamente. Non prendiamo in considerazione la storia di tale Paese ma sappiamo che la decisione di eliminare l’esercito, in quella nazione, può certamente essere ascritta a una elaborazione che ha tutto il sapore di una “terapia” personale e di una elaborazione sociale che sono state rese possibili da congiunture molto dolorose per tutti. Si possono quindi costruire le condizioni per una tale evoluzione personale e sociale in un paese, anche, o meglio, proprio a seguito di un gravissimo trauma sociale, collettivo, familiare e soggettivo.
Cassola, a sua volta, scende in campo con la sua proposta di “Lega per il disarmo” in un dato momento storico e si riferiva ad una zona geografica precisa, l’Italia. Aveva in mente la questione disarmo come una visione possibile, non utopica. Rimane il fatto che tutte le U-topie e le U-cronie celebrano l’ideale di felicità parlando di uomini liberi, assoggettati solo alla loro ragione e tale che permetta loro di vivere in pace e in amore. Poi bisognerebbe capire meglio come mai le metafore, nel certame amoroso, sono metafore militari – e non abbiamo certo bisogno di rievocare il famoso e antico film La guerra dei Roses - per cogliere tutta la questione in gioco!
Disarmo come segnale e guerra come sintomo sono comunque due questioni e due eventi che è utile tenere distinti.
L’amore, come la guerra, sono fatti di discorso [2]. Discorso che prende spunto dall’odio per qualcuno, eletto a proprio nemico che possiede qualche cosa che riteniamo nostro e che motiva le masse ad armarsi e, contemporaneamente, dall’amore per l’amico, per il simile, con cui ci si compatta proprio perché percepiamo che il nemico invada il nostro territorio amico e che ci perseguiti.
A proposito di guerra, come discorso e inganno degli Ideali, sistemando la casa di mio suocero, mancato l’anno scorso, ho trovato la prima pagina del Corriere della Sera del 24 maggio 1915, giorno della dichiarazione di guerra dell’Italia all’Austria-Ungheria. Nello scorrere quanto vi è scritto si coglie, con grande evidenza, la falsità sia a livello del contenuto e, ancor più, soffermandoci sulla forma enfatica della lingua, utilizzata dal giornalista e dai comunicati ufficiali che vengono riportati nel giornale.

Giuseppe O. Pozzi

Il titolo della pagina del Corriere della Sera del 24 maggio 1915:
L’ITALIA DICHIARA GUERRA ALL’AUSTRIA-UNGHERIA
Sottotitoli sulla stessa pagina:
Una nota italiana alle Potenze – Lo Stato Maggiore parte per il campo

Nella stessa pagina, il commento del giornalista usa una scrittura molto ampollosa, tipica dell’epoca:
Guerra! La parola formidabile tuona da un capo all’altro dell’Italia e si avventa alla frontiera orientale, dove i cannoni la ripetono agli echi delle terre che aspettano la liberazione: guerra!

Segue un delirante programma di conquiste vittoriose richiamandosi ai valori della patria e della bandiera. Prima ancora di avere sparato un solo colpo al nemico l’Italia avrebbe già vinto la guerra per il solo fatto di averla dichiarata, di avere avuto il coraggio della dichiarazione!

La nota italiana alle Potenze è quanto il Governo italiano scrive, indirizzandola all’Impero austro-ungarico dove si sostiene che l’aggressione alla Serbia è da considerarsi uno sgarro all’Italia e, soprattutto, un affronto all’accordo, sottoscritto dalle potenze, che include l’Italia. L’oggetto del contendere, inoltre, ha il sapore di una presa in giro tra tutti. La questione, in sintesi, è: se non mi chiedi il permesso per invadere un paese confinante, allora devi pagare di più perché se mi chiedi il permesso, comunque mi devi dare qualche cosa.

Nulla di tanto diverso rispetto alle beghe di condominio. Beghe animate da invidia e gelosia per chi ha o vorrebbe qualcosa che qualcuno, invece, non vuole concedere, pur non avendola comunque, perché non riesce ad averla o, peggio, perché non l’ha pensata per primo. Nulla di tanto diverso dall’invidia e dalla gelosia che si scatena alla nascita di un nuovo fratellino, soprattutto quando il bimbo lo sorprende al seno della “sua mamma”.
Tutti vogliono la stessa cosa anche se nessuno può più averla, anche se l’oggetto che si vuole e si cerca è perso per sempre, forse proprio per questo, sostiene la psicoanalisi, lo si cerca nelle tasche degli altri e nel giardino del vicino. C’è sempre di mezzo un qualche oggetto di scambio. Un oggetto che non è veramente di nessuno ma che è pensato come esclusivamente proprio. Come il caso di Gerusalemme [3], se si vuole. Non c’è incontro tra soggetti, non c’è alcuno scambio o incontro tra soggetti, che non sia sostenuto da un qualche interesse di avere l’oggetto che ha l’altro. La conosce bene, il nevrotico, questa posizione psichica. La conosce molto bene anche lo psicotico che vede tutti essere interessati a lui e a quello che lui ha, senza che lui sappia, tuttavia, di avere già in tasca tale oggetto. Per altro la paranoia dello psicotico va intesa proprio come risposta difensiva a chi si interessa troppo a lui e, per questo, si difende da tutti e lavora contro tutti. Anticipando un po’ le conclusioni e le proposte, va da sé che, se è possibile curare la psicosi o meglio il discorso psicotico, allora perché non tentare anche con la guerra o meglio con la guerra come discorso che trova, nelle armi e negli armamenti, un modo per garantirsi il proprio sintomo distruttivo?
Ma andiamo per gradi.
Potremmo dire che “Tutti i rapporti umani si reggono sul possesso e sul predominio della cosa”. Siamo di fronte al Das Ding freudiano e lacaniano ma, in realtà, sono le parole pronunciate da Fabio Brenna, giornalista, la mattina di giovedì 19 ottobre al programma radio delle ore 8:00 su Radio Marconi! Si tratta di un commento che il giornalista propone, a margine di qualche fatto di cronaca, dove qualcuno fa la guerra a qualcun altro per prendergli, usurpargli, rubargli, qualche cosa, l’oggetto del suo “desiderio”, o meglio del suo pulsante “bisogno”, proprio perché tale oggetto è andato perduto per sempre! 


U-topie e U-cronie
Riprendiamo dalle Utopie e dalle Ucronie. La domenica 25 Settembre 2016, l’inserto cultura del quotidiano Il Sole 24/ore stampa una pagina per commemorare i 500 anni dall’Utopia di Tommaso Moro. Vincenzo Ferrone lo celebra con Storia e futuro di una idea di società migliore.
- Tutto ciò che è immaginabile esisterà, sosteneva l’Abate di Saint Pierre;
- Le Utopie sono le verità che verranno, verità premature, rimarca Alphonse de Lamartine, nel sottolineare la loro importanza nella storia dell’uomo.
Bronislaw Baczko, storico polacco, morto l’anno scorso in agosto, è il massimo studioso del pensiero utopista del secolo dei Lumi. Il pensiero illuminista sarebbe il periodo caldo del pensiero utopico. Accanto ad utopie stataliste erano sorte anche utopie anarchiche, agrarie e urbane, primitiviste o rivolte agli ideali della scienza e della tecnica, collocate su isole oceaniche o nei deserti etc.
Nel 1771 Louis Sébastien Mercier, con il suo testo L’anno 2040, modifica il paradigma tradizionale del discorso utopistico introducendo il viaggio immaginario, non in un’isola che non c’è, ma nel tempo. Questo passaggio da U-topia a U-cronia, permette a Nicolas de Condorcet [4] di coniugare storia e u-topia. Arriva allora a descrivere una società umana di liberi ed uguali che sarebbe vissuta in pace, rispettando i diritti dell’uomo, senza differenze di genere, di etnie, di religione di nazionalità.

Verrà dunque quel momento – scriveva Condorcet, pochi giorni prima di morire in prigione e gettato poi dai giacobini in una fossa comune – verrà quindi il momento in cui il sole illuminerà sulla terra ormai soltanto uomini liberi e che non conosceranno altro signore se non la propria ragione, in cui i tiranni e gli schiavi, i preti e i loro strumenti stupidi e ipocriti esisteranno soltanto nella storia.

Sigmund Freud

Così l’illuso scienziato Condorcet formulava la sua soluzione all’enigma della storia, nei termini di una vera e propria previsione scientifica, sulla base degli esempi storici del passato e creando, in tal modo, una paradossale utopia-anti-utopica, destinata ad affascinare molti, dopo di lui, nonostante l’evidenza della sua misera fine. Si tratta di personaggi come Francois Guizot, Karl Marx e tutti gli altri epigoni che continuano a succedersi.
Ci saranno solo uomini liberi e non schiavi e padroni! Questa la promessa dell’Ideale!
La ricerca della felicità, la ricerca di u-topie e di u-cronie sono, anch’esse, strutturali all’essere parlante dal momento che rappresentano l’Ideale ancorché irraggiungibile. Siamo di fronte alla antica e nuova storia della guerra tra il bene e il male. Anche Freud pensava a questo dualismo, per cui il Principio di Piacere doveva contendersi lo spazio, nella storia, combattendo contro la Pulsione di Morte. Ogni pulsione è in definitiva una pulsione di morte, sostiene però Lacan, liquidando la questione dualistica. Poter vivere senza distruggersi con le proprie mani significa, allora, imparare, necessariamente, ad elaborare il sintomo soggettivo e sociale della pulsione di morte?
Il bisogno di U-topia è, di fatto, inestinguibile per l’uomo e merita pertanto di essere approfondito dal punto di vista della conoscenza storica e delle sue proiezioni future. Questo è quanto sostiene Bronislaw Baczko. Un bisogno che, tuttavia, va vissuto con spirito critico, impedendo che le utopie si trasformino in pietrificate e pericolose ideologie come è avvenuto nella rivoluzione francese, come avviene con le utopie totalitarie del novecento, come avviene con quelle religiose dei fondamentalisti dei nostri giorni. Per Bronislaw Baczko e Tommaso Moro, si tratterebbe, quindi, di salvare e salvaguardare il carattere valoriale di tali u-topie, al servizio della ricerca di felicità dell’uomo.
La verità clinica che Lacan mette in evidenza è che lo stesso bisogno di utopia, come valore inestinguibile, è esattamente quello che sta alla base del bisogno inestinguibile di guerra. La corsa agli armamenti è il segno di questo bisogno pulsionale soggettivo e collettivo. La questione allora non starebbe nella necessità di sostenere i valori come luoghi ed elementi per combattere i dis-valori, nella perpetua guerra tra il bene e il male, ma aiutare i soggetti ad elaborare il proprio bisogno pulsionale che è sempre di natura dis-truttiva.
Se tale pulsione distruttiva, se tale pulsante bisogno, è considerabile e trattabile come un sintomo elaborabile - come avviene nei centri clinici per malati gravi e gravissimi - allora significa che una qualche speranza può essere cercata, così da scovare una via d’uscita anche o proprio in virtù della prospettiva clinica! Grazie agli studi sulla guerra fatta dagli psicoanalisti, anche dopo il lavoro di Franco Fornari, possiamo sostenere certamente che l’oggetto causa del desiderio e del bisogno di u-topia e di u-cronia è esattamente lo stesso oggetto aureo/oggetto tesoro/oggetto di desiderio/oggetto di bisogno che sta alla base di tutte le guerre e di tutte le ricerche di una felicità da incontrare su questa nostra terra! Questa può essere la tesi in gioco, oggi.

Franco Fornari

Guerra e follia
La guerra e le utopie sono strutturali all’essere parlante, come la follia.  “La follia della guerra”. La follia riguarda il soggetto, uno per uno. La guerra riguarda le moltitudini, i popoli.
E le armi? Cosa fare con le armi? Sappiamo che la psicoanalisi nasce proprio dalla vera arma a disposizione del soggetto e, cioè, dalla parola o significante che arriva ad utilizzare il corpo come teatro per il proprio godimento mortifero. La psicoanalisi, quindi, ha a che fare, in modo diretto, con la questione delle armi e del disarmo, ma su un piano differente, più reale, concreto e pragmatico di quanto si possa pensare, pur non essendo e non proponendosi come garanzia di salvezza ai popoli e per i popoli.
La psicoanalisi è al servizio del soggetto, uno per uno ma sa anche come ispirare e orientare il lavoro della clinica nel sociale e cioè il lavoro che va svolto nelle varie istituzioni di cura avendo a che fare, in questa clinica, con i collettivi, cioè i gruppi di soggetti considerati, psichicamente malati gravi.
È Napoleone che sosteneva che in guerra come in amore, per terminare, occorre che i due contendenti si avvicinano. Questo avvicinarsi dei corpi è assolutamente valido e concreto anche oggi, al tempo dei droni, cioè degli sguardi che vedono tutto a grandi distanze ed a 360° e hanno pure la memoria di quanto registrano con il loro occhio [5]!
Tornando alla psicoanalisi, essa nasce proprio per aiutare i soggetti ad elaborare le armi/significanti che loro stessi producono.
Carlo Cassola, dal canto suo, conosceva bene la questione e sapeva declinare tale differenza passando dal ruolo di scrittore che incontra tutti, uno per uno, nella loro posizione di lettori, al ruolo di stratega del disarmo dove, invece, sa che occorrono altri strumenti ed altre modalità di comunicazione, al punto che fonda la Lega per il disarmo. Una Lega che dovrà tenere conto delle dinamiche dei collettivi e dei movimenti della massa.
L’analogia utopia-ucronia-guerra-follia rimane comunque un punto fermo, sapendo, in realtà, che chi scatena la guerra, non sono i popoli, mentre chi ha interesse nelle armi sono in tanti ma tutti, a livello dell’uno per uno. Individui che si annodano nel contagio della malattia della “corruzione”, per usare la metafora usata dallo stesso Carlo Cassola [6] o, per dirla con Lacan, che si annodano, distruttivamente, nel godimento/corruzione che è sempre molto, troppo,  contagioso.
Le armi sono, dunque, il sintomo segnale della guerra come malattia da curare e che implica l’umanità come tale. Le armi in uso sono, invece, un sintomo già incurabile, già intrattabile, di un popolo preso dentro dalla pulsione di morte. Occuparci del segnale che abita gli arsenali offre ancora qualche speranza possibile. Lo aveva ben capito proprio lui, Carlo Cassola.


Le opzioni della psicoanalisi
Il lavoro clinico permette a Freud di curare i militari di ritorno dalla guerra, dandogli la possibilità di articolare e argomentare le nevrosi da guerra. Nel carteggio Freud-Einstein, invece, viene sottolineata la dissoluzione del senso morale, in guerra. Qui, tutte le acquisizioni morali dei singoli spariscono e sussistono, invece, gli atteggiamenti psichici più primitivi. Il contagio e la corruzione di tali atteggiamenti psichici primitivi è tale, a livello individuale, che sono sempre più evidenti nei comportamenti quotidiani dei cittadini stessi, nella loro vita di ogni giorno. Non c’è bisogno di andare a leggere, nelle statistiche, l’incremento esponenziale dei sintomi del grave malessere personale e sociale dei giovani e dei meno giovani. Basterebbe, molto banalmente, rimanere qualche minuto fermi a osservare quanto accade ad un semaforo in città e vedere, per esempio, gente china sul proprio telefonino o che, spavaldamente e sfacciatamente, passa con il rosso, infischiandosene, letteralmente, del fatto che le automobili, con il verde, sono costrette e frenare per non investirli. 
La chiesa e l’esercito rimangono il luogo elettivo dove si decide del destino pulsionale delle masse organizzate e durevoli e dove si orienta la pulsione distruttiva o si favorisce una dolce e opportuna spinta perché si metta in moto una elaborazione possibile delle proprie pulsioni da parte dei singoli credenti e dei tanti militari.
Masse che hanno un capo o un’idea. L’odio verso qualcuno, infatti, può agire come unificante altrettanto forte come con un capo o per un’idea. L’esigenza di soddisfazione libidica e di godimento senza limite delle masse, le rende veramente inquietanti. La storia conosce bene questo godimento distruttivo, sia nelle guerre di religione, sia nelle guerre di conquista etc.
Freud nel carteggio con Einstein è poco convincente. Aveva in mente l’Ideale dell’incivilimento. Si tratterebbe di valorizzare l’intelletto come strumento di civiltà, dal momento che conterrebbe, imbriglierebbe, cioè limiterebbe il “cervello rettile”, così come la cultura sarebbe in grado di controllare le istanze aggressive degli individui di una società. Di fatto, la guerra spazza via e distrugge, letteralmente, cultura sociale e intelletto individuale.
Freud capisce anche che i traumi da guerra, le nevrosi da guerra, sono già una risposta, una cura, in grado di sottrarre il soggetto alla distruzione/pulsione di morte comandata e prescritta dal potere costituito dello Stato. Questo vorrebbe dire che anche per la pulsione di morte si potrebbe avere un trattamento terapeutico rivolto alle piccole e grandi masse. Un esempio di tale tentativo, socialmente sostenibile, sarebbe il Policlinico di Berlino, gestito da psicoanalisti, allievi di Freud [7].

Bion ha messo a sistema questo lavoro clinico, al servizio delle istituzioni, quando ha potuto, con il collega John Rickman, lavorare per l’esercito inglese proprio per mettere a punto il trattamento della pulsione di morte nelle comunità terapeutiche ed offrire ai “dullards” occasioni di rinascita simbolica, attraverso atelier-laboratori per la manutenzione della casa, della vita comunitaria, per il tramite di esperienze legate alla espressività [8].

Franco Fornari

Fornari, a sua volta, vorrebbe fare delle proposte più specifiche e precise a livello sociale, anche se orientato dall’obiettivo Ideale di poter pacificare, grazie alla psicoanalisi, le istituzioni, aiutandole ad elaborare il conflitto a loro strutturale. Il suo concetto di buona famiglia interna, come risultato della somministrazione dei codici affettivi familiari nelle istituzioni, aveva questa specifica finalità. Prende spunto dagli effetti pantoclastici della bomba atomica, per teorizzare ed evidenziare sia la fine dello schema amico-nemico, sia la funzione della paranoia primaria come energia vitale/distruttiva che sta alla base della nascita di ogni soggetto dal momento che accompagna la donna, come esperienza psichica per tutto il periodo della gestazione. Una paranoia che, con l’avvento della bomba atomica (soprannominato baby dagli americani) non può più essere esportata nell’area nemica dichiarandogli guerra dal momento che l’arma atomica eliminerebbe anche il territorio amico oltre a quello del nemico. La necessità di aiutare le istituzioni, a partire dalla famiglia stessa, ad elaborare la paranoia primaria come dispositivo intrapsichico, lo spinge a costruire e perseguire il modello della buona famiglia interna come risposta possibile e strumento utile alla elaborazione. Gli interventi, nelle istituzioni, diventano, così, dei corsi di formazione alla democrazia degli affetti. Lui stesso partecipava a realizzare tali corsi, negli ospedali, nelle aziende produttive etc. Anche in questo caso non abbiamo visto sorgere o risorgere istituzioni in grado di evitare, in modo sistematico, i conflitti che continuano ad insidiarle.
Lacan, dal canto suo, ci insegna qualche cosa a partire dalla Soluzione finale, l’Olocausto (Shoah) e dallo sterminio di Stalin, oltre che dalla bomba atomica. Questa attenzione è preziosa, ai fini di una possibile via di uscita, dal momento che mette in gioco proprio la cultura di un popolo a partire dalla sensibilità dei suoi cittadini.
La cultura inglese - spiega Lacan - durante l’ultima guerra ha avuto un rapporto veridico al reale[9]. Lacan cerca di mostrare come la cultura inglese abbia saputo accettare e accogliere la pulsione di morte, in quanto ineliminabile dalla società. Intende, come reale, qualcosa che ha il sapore del buco nero esistenziale, del buco dell’angoscia/godimento che accompagna ogni soggetto da quando nasce.
Tale precisa constatazione e verità - sottolineata e resa socialmente evidente dal Rapporto Beveridge [10] e dal fatto che, diversamente dalla Francia, l’Inghilterra abbia mantenuto l’obiezione di coscienza al servizio militare anche durante la guerra – rende, il popolo inglese, in grado di accettare il fatto che la pulsione distruttiva che viene convogliata nella guerra, non intacchi l’intera nazione e non coinvolga l’intero popolo sulla questione guerra. Questo fatto riesce ad arruolare, invece, qualcuno sulla questione umanitaria e civile così che l’energia sociale e personale possa essere messa anche al servizio del sollievo da dare a chi è vittima della guerra proprio perché rinuncia alla guerra o, meglio, all’uso delle armi.
Chi fa obbiezione di coscienza e trasforma, tale obbiezione, in servizio civile, offre la propria più alta e personale testimonianza alla società perché possa cogliere l’opportunità concreta di arginare la pulsione di morte resa legge dello Stato. Questo fatto, non a caso, non ha per nulla impedito, all’Inghilterra, di vincere comunque la guerra, anzi, per Lacan ha costituito l’espressione della sua anima vitale e vincente sul piano culturale e sociale.
Con Lacan e la sua scuola si riparte, allora, in modo operativo, dalla Shoah e dallo “sfruttamento” umano di Stalin, le due più evidenti espressioni dell’odio distruttivo e devastante contro l’umanità, per poter contrastare e arginare, con energia e clinicamente orientati, queste pulsioni di morte gravose e giocate sul piano della gestione/devastazione delle masse. Una ripartenza che permette di riscrivere quanto Freud aveva mostrato in Psicologia delle masse e analisi dell’Io. Non si tratta di insistere sulla simbiosi tra Ideale dell’Io e Super Io, dove si confonde il mezzo con il fine ma di accorgersi del potere dell’oggetto non simbolizzabile che circola tra i soggetti e muove le masse dis-orientate proprio nel momento in cui rivendicano il loro godimento senza limite.


Qualche esperienza empirica e pratica
L’esercito, al servizio della riabilitazione del terzo debole, in Italia, è una realtà piccola ma concreta. La Fondazione Tender To Nave Italia, per esempio, ospita ogni anno ragazzi in difficoltà, facendoli navigare su un Brigantino di 61 metri, assieme a 21 marinai della Marina Militare. Lavorano insieme per una settimana, con risultati clinici molti importanti. Ad Arpy, nella sede della ex Scuola degli Alpini, in Valle d’Aosta, i ragazzi in difficoltà trovano proprio gli Alpini con i quali vivere insieme la montagna. Anche in questo caso si tratta di un incontro fortunato e, quindi, molto utile sia sul piano della riabilitazione in senso stretto, sia per il rapporto umano che alimenta l’autostima in modo semplice e diretto favorendo l’inclusione sociale senza paranoie e allarmismi inutili.
A Milano, alla Caserma Perrucchetti, la società ANIRE, che da 40 anni opera con i disabili utilizzando i cavalli, come strumento per la riabilitazione, ogni giorno accoglie ragazzi fragili che sono assistiti anche con l’aiuto dei militari dell’esercito. Poter partecipare a tali esperienze permette di cogliere, con molta evidenza, che si può vivere insieme senza farsi del male, senza usare armi per combattersi proprio là dove ti aspetti militari armati. Il terzo debole può operare, fare delle cose insieme ai militari, come componenti forti della società, e al posto delle armi troviamo azioni di riabilitazione pacifica.
“Fare insieme, magari da soli ma non in solitudine, abbassa la paranoia istituzionale!” è diventato il filo conduttore ed il leitmotiv dei progetti clinici e culturali di Artelier che, ogni anno, organizza, presso la Società Umanitaria, il festival dell’Espressività Stanze di Psiche. In questo Festival sono coinvolti soggetti del terzo debole, artisti, ragazzi delle scuole pubbliche e private della città, familiari dei ragazzi etc. Il tema del festival cambia ogni anno e ognuno può partecipare, portando un oggetto della propria espressività che rappresenti il tema [11]. Per il prossimo anno l’argomento-tema sarà, non a caso, Ascoltami.

Giuseppe O. Pozzi

Per non concludere
Sulle note di una speranza possibile ci appoggiamo a quanto scrive, alla fine del suo articolo M. E. Brousse: Quando il Nome del Padre, perde la sua potenza e il significante padrone non riesce più a comandare il discorso, o ancora non può decidere tra versioni differenti, le guerre vengono al loro posto a organizzare il “commercio interumano”, a partire da questa soluzione rovinosa che è il trauma.
Abbiamo aperto la nostra riflessione passando dall’U-topia e concludiamo servendocene ancora. Grazie al premio Balzan, Bronislaw Bazcko realizza una monumentale ricerca dal titolo: Dizionario critico dell’Utopia al tempo dei Lumi [12]. Da quest’opera monumentale emerge l’utilità di un ritorno a Giobbe. Giobbe, amico mio. Promessa di felicità e fatalità del male (1997), libro capolavoro di Bazcov, riflette sulla condizione umana, prescindendo dal disegno divino della Provvidenza, rigettando sia il rassicurante tout est bien di Leibniz, sia il mito religioso della caduta dal Paradiso terrestre e del peccato originale come spiegazione ultima di un male che è possibile combattere e debellare. 
Il male, da assoluto che era con Agostino, diventa relativo, in quanto umano e prende corpo l’epocale passaggio da una visione teocentrica che mette al centro il giudizio divino (teodicea) a favore di quella antropocentrica che mette al centro la ragione umana (antropodicea) con tutte le contraddizioni che la storia e la razionalità dell’uomo portano sulla scena e nell’esistenza degli esseri parlanti e della natura.
L’essere umano viene accettato come realisticamente parte e componente della natura, pensato nella sua autonoma grandezza e dignità di essere in quanto determinato a cercare la felicità interna ma allo stesso tempo, dolorosamente condizionato dalla natura stessa, dalla contemporanea presenza, nella storia umana, del bene e del male o meglio della guerra infinita tra il bene e il male. Un uomo certamente limitato ma anche capace di emanciparsi. Libero di cercare la sua felicità e il suo surplus di male prodotto dalla società e, quindi, responsabile del proprio destino terreno o della tragedia della propria distruzione. Pronto, quindi, a vivere in libertà e responsabilità la tragi-commedia della propria vita. Proprio al celebre romanzo filosofico di Voltaire, Candide, variante illuministica del mito/racconto biblico di Giobbe, vessato dal male che Dio aveva permesso gli capitasse, per saggiare la sua fede, Bazcov, non a caso, affida le sue conclusioni.  Tra la vita serena nel mitico eldorado e il ritorno nel mondo reale, con le sue catastrofi, come il terremoto di Lisbona (1755), le sue guerre e le violenze di ogni tipo, Candide/Giobbe sceglieva di ritornare nel mondo terreno unicamente per ritrovare il sorriso della sua amata Cunegonda e godere del suo attimo di felicità.



NOTE
[1] Psicoanalisi, altrimenti definita talking cure, cioè, cura della parola dell’analizzante.
Parola che l’analizzante, pur pronunciandola, non riesce ad incontrare veramente
o meglio, non riesce o non vuole incontrare per la verità che contiene,
per il dolore che gli procura etc.
[2] Marie-Hélène Brousse, Dagli ideali agli oggetti: il nodo della guerra,
in «Guerre senza limite. Psicoanalisi, trauma, legame sociale»,
Rosenberg&Sellier, Torino 2017, pag. 184.
 [3] Ibidem pag. 186.
 [4] Studioso pioniere della statistica e del calcolo delle probabilità.
Si veda il suo testo postumo (1794-95)
Esquisse d’un tableau historique des progrès de l’esprit humain.
[5] Gérard Wajcman, Occhio di guerra, «Guerre senza limite. 
Psicoanalisi, trauma, legame sociale», 
Rosenberg&Sellier, Torino 2017, pagg: 254 e segg.
[6] Angelo Gaccione e Federico Migliorati (a cura di)
Cassola e il disarmo. La letteratura non basta .
Tra le righe libri, 2017, pag. 34-35-36.
[7] Sigmund Freud, Rapporto sul policlinico psicoanalitico di Berlino di Max Eitingon,
in Opere, Boringhieri, 1980, vol 9 pag. 573.
[8] Giuseppe O. Pozzi, L’opera di Bion o della psicoanalisi 
come antidoto alle grandi seleziono sociali,
in La Psicoanalisi n. 59/2016 pagg.: 123-138.
[9] Jacques Lacan, (1947) La psichiatria inglese e la guerra, 
in La Psicoanalisi, n. 4, 1988.
[10] Giuseppe O. Pozzi, ibidem pagg. 123-138
[11] Vedi www.artelier.org Festival dell’Espressività Stanze di Psiche
negli anni 2014, 2016, 2017 ed il programma 2018.
[12] Un testo di ben 1.500 pagine e la partecipazione di 50 studiosi di tutto il mondo.
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