ASTENSIONISMO E ALLEANZE
di Franco Astengo
Ostia rappresenterà sicuramente un
microcosmo e l’esito elettorale di domenica 19 novembre riguardante il X
municipio di Roma non risulterà particolarmente significativo.
L’esposizione
mediatica cui è stata sottoposta la situazione relativa a questa elezione può
però rendere significativo il dato anche sul piano generale, come esempio
probante della crisi che sta pesantemente attraversando l’intero sistema
politico. Per chi crede di aver vinto c’è molto poco da festeggiare considerato
che l’istituzione che si intende governare non conserva sicuramente un dato
sufficiente di credibilità e di consenso tale da renderla credibile di conseguenza,
da rendere credibili le istanze che via via saranno adottate dalla Presidente e
della sua maggioranza.
Cifre in breve: le cittadine e cittadini del X
municipio di Roma chiamati a esprimere il loro voto assommavano a 185.661. Il 5
Novembre i voti validi furono 65.472 pari al 35,26% (dato già depurato dalle
schede nulle, bianche e contestate). Il 19 novembre i voti validi sono scesi a
59.887 pari al 32, 25% con una flessione del 3,01% pari a 5.585 voti. La
candidata del M5S che ha prevalso nel ballottaggio ha ottenuto 35.691 voti pari
al 19,22% sul totale degli aventi diritto. La sua competitor dello schieramento
di centro destra ne ha avuti 24.196 pari al 13,03%.
Fatta salva
la particolarità del caso questi dati ci indicano almeno due problematiche:
1) La prima quella di una sconfitta
generale di tipo sistemico. Ci troviamo, infatti, a quote di disaffezione tali
per cui non vale l’antico richiamo all’astensionismo fisiologico (quindi chi
sta a casa considera che tutto sommato la baracca vada bene così, come
sostenevano autorevoli esponenti della sociologia politica statunitense fino a
quale anno fa) ma non vale neppure la versione “crescita del voto di protesta”
che aveva preso piede nel campo dell’analisi politologica in tempi più recenti.
Ci troviamo probabilmente proprio all’interno di quel fenomeno
“dell’impolitica”, così felicemente denominato recentissimamente da Gustavo
Zagrebelsky.
2) La seconda problematica riguarda
i produttori di sondaggi utilizzati strumentalmente in funzione
dell’orientamento preventivo dell’elettorato: sarebbe bene, infatti, che la
questione dell’astensionismo fosse ben considerata e tarata in modo da non
trovarsi, al momento delle urne, di fronte a clamorose sorprese. In queste
condizioni, infatti, il peso delle tre componenti del voto (appartenenza,
opinione, scambio) potrebbe risultare assolutamente alterato in una dimensione
ben più significativa rispetto al passato con eventuali infiltrazioni di
diverso tipo fortemente facilitate nella fragilità del sistema.
Nella stessa
giornata dello svolgimento del ballottaggio al X municipio di Roma si sono svolte,
proprio in vista delle prossime elezioni legislative generali delle quali si
ignora comunque ancora la data, tre importanti assemblee nazionali: quella di
MdP, di SI, e di settori intenzionati a promuovere una lista “popolare”
(abbiamo avuto in passato anche una “Lista di Lotta” organizzata
paradossalmente da un ex – generale della NATO politicamente collocato su
posizioni più o meno marxiste – leniniste) con la partecipazione di aree
sociali che hanno ritenuto non ancora esaurito il cosiddetto movimento del
Brancaccio.
L’analisi
dell’andamento di queste assemblee, collegato con l’esito del ballottaggio di
Ostia assunto come punto paradigmatico della situazione, suggerisce alcune
considerazioni parziali, ma significative. La riduzione dell’agire politico
all’elettoralismo e all’individualismo competitivo intesi come soli elementi
nei quali si esaurisce la proposta politica appare sempre più evidente, ad
esempio nel desolante agitarsi attorno al PD di improbabili candidature e di
ancor più improbabili alleanze. La stagione della “vocazione maggioritaria”,
della “rottamazione”, dell’autosufficienza è finita in coda di pesce facendo
grandi danni all’intero sistema politico italiano dopo la fase della forzatura
di un bipolarismo inventato sulla base di artificiosi sistemi elettorali. Adesso
siamo di fronte soltanto all’esigenza di sopravvivere da parte dei presunti
protagonisti di quella stagione nel corso della quale si era tentato
addirittura di ridurre il sistema da forzatamente bipolare e forzamento bipartitico
e che era stata inaugurata (è bene
ricordarlo) con la clamorosa sconfitta
del PD alle elezioni del 2008.
È poi
evaporato anche il famoso 40% delle Europee 2014 (che ricordiamolo: altro non
era che il 22% dell’intero corpo elettorale rappresentando una cifra in voti
assoluti inferiore a quella ottenuta nell’occasione della già ricordata débacle del 2008).
Quella parte di esponenti politici che si
ostinano a definire il loro schieramento come “centro-sinistra” in realtà imperniano la loro narrazione su di
un partito, il PD, a vocazione di destra.
Non c’è da
esagerare sulla vocazione di destra del PD: prima di tutto perché
“personalistico” poi avendo tentato questo partito di manomettere la
Costituzione (operazione impedita dal voto popolare), promosso una strategia di
guerra per bande in Africa al fine di fermare il flusso delle migrazioni,
precarizzato ulteriormente il mondo del lavoro attraverso il job act,
privatizzata la scuola, completamente fatto sparire il welfare, attaccate
nuovamente le pensioni. Ebbene questa porzione di sistema politico oggi sembra
ritornato ai bei tempi dell’Unione Prodiana: il PD cerca liste a destra e a
sinistra e, alla fine, il suo schieramento elettorale potrebbe essere composto almeno da sette o otto soggetti auto- definentisi europeisti, centristi,
socialisti, riformisti. Il tutto senza
alcuna sottolineatura di merito da parte dei grandi mezzi di comunicazione di
massa che, indifferenti, si occupano soltanto di star dietro alla posizione personale
di questo o di quello.
Invece molto
ci sarebbe da analizzare dal punto di vista della riflessione politica e non
certo per una sorta di accanimento nel voler mostrare le incongruenze e le
difficoltà della parte raccolta attorno
al PD. In realtà come si è già provato ad accennare, le difficoltà sono
“sistemiche” e riguardano anche gli altri due poli, centro-destra e M5S.
Torniamo
allora alla costante dimostrazione calo di partecipazione al voto.
Il fenomeno
del calo della partecipazione al voto che si accompagna alla caduta di ruolo
dei cosiddetti corpi intermedi (comprese sindacati e associazioni di
categoria) è necessario sia inteso come
cartina di tornasole di una debolezza intrinseca.
Una
debolezza intrinseca che finisce con il
rendere quanto mai effimero sul piano della concretezza quel dato di
ricerca della “governabilità” che si è accompagnato – appunto – alla
personalizzazione e all’idea balzana della “vocazione maggioritaria” nel
provocare il vero e proprio disastro politico che stiamo vivendo in questa
fase.
Il M5S si
troverà probabilmente di fronte a questo tipo di questione non risolvibile, nella dimensione data, con
la democrazia diretta sul web e con il cinismo dell’autonomia del politico. Soprattutto
si rileva un elemento da approfondire nel tentativo di sviluppare un minimo di ragionamento su questi
temi. L’elemento è quello della totale assenza di ricerca nel collegamento (che
pure sarebbe necessario) tra la rappresentatività di tipo generale e la realtà
delle contraddizioni sociali emergenti cui fornire interpretazione, voce,
riconoscimento di soggettività.
La
questione, infatti, nella modernità indotta dalla velocizzazione e dalla
personalizzazione del messaggio comunicativo è quella di come realizzare una
rappresentatività politica come espressione di identità che tenga assieme cioè
una visione del futuro come prospettiva di trasformazione sociale e la
quotidianità dell’agire politico a livello generale, ma anche locale.
Come si
realizza, oggi, un dato di rappresentatività politica attorno ad un progetto
che insieme traguardi il medio periodo con una visione strategica e il corto
respiro di una legislatura: questo manca completamente a livello di espressione
della soggettività politica.
Una
problematica di decisivo interesse
perché si pone in una società dove ormai la frequenza sui social network è
diventata per molti esaustiva della partecipazione pubblica individuale,
sostituendo (attraverso l’espressione della ridda di opinioni su Facebook,
Twitter e quant’altro) non soltanto la
vecchia militanza ma addirittura la stessa espressione di voto (“Ho già detto
la mia su tutto”: che bisogno c’è di andare a votare?).
Un fenomeno
quest’ultimo ormai molto diffuso che
spiazza anche la stessa “democrazia del pubblico”, lasciando il tutto in mano
alle espressioni di un individualismo facilmente condizionabile dal complesso
sistema della pubblicità, beninteso non solo politica. A questo punto diventa
una questione di vero e proprio “modello sociale”.
Tutto questo
in un quadro generale di affastellamento di temi senza ordine, priorità,
merito.
Così si sta
consumando un fenomeno di totale regressione nel rapporto tra sistema politico
e realtà sociale. Siccome la politica non ammette vuoti la colmatura di questa regressione avviene o
rispolverando vecchi miti oppure con la facilità delle proposte e degli slogan
più facilmente identificabili dalla complessità dei bisogni di massa: da
quello, cioè, che viene nemmeno troppo propriamente definito come “populismo”.
Rimane il
vuoto di visione e di progettualità che un tempo la sinistra sapeva riempire
con il richiamo alla logica ferrea della distinzione di classe e con
l’espressione delle sue opzioni classiche della socialdemocrazia e della
rivoluzione. Rivoluzione declinata, in Italia in particolare, attraverso un meccanismo
specifico: quello della “doppiezza” integrata dalla strategia gramsciana delle
“casematte”.
Su questo
punto Lucio Magri aveva centrato, nel suo ultimo lavoro Il Sarto di Ulm il tema del “genoma Gramsci” come decisivo per
l’assetto e l’identità della sinistra nel nostro paese.
Assetto e
identità ancora validi, a mio giudizio, in tempi di confusa sovranazionalità e pericolosa
regressione delle istanze globaliste.
È questo,
pur esposto sommariamente, il quadro che si sta presentando in vista delle elezioni
legislative 2018 e soprattutto nell’insieme della vicenda politica ben oltre le
scadenze canoniche: toccherebbe alla sinistra ancora organizzata e posta fuori
dal recinto del “personalismo velleitariamente governativista” e non ammaliata
dal mito della democrazia diretta o del Tribuno che si rivolge direttamente
alle masse, svolgere prima di tutto un’opera di vera e propria “controcultura”
cercando anche di tirare una qualche somma in una dimensione di proposta
rivolta non solo in termini di lista elettorale.