CIBO PER L’ANIMA. Narrare in breve.
IL MIO ARTUR
di Pozzo&Martini
Pozzo&Martini |
Fra poco arriverà, mi porterà la
solita pasta al sugo e una scatola di cibo per il cane. Mi dirà che il cane ha
freddo e che devo mettergli un cappottino. Ieri voleva darmelo lei, un
cappottino. Bianco e rosa.
Ho
sospirato. – Si chiama Artur.
Lei ha
sorriso. – Piacere – ha detto.
– È un
maschio – ho precisato. – Non va bene il cappottino bianco e rosa-
Lei ha
raddrizzato la schiena. E senza dire una parola se n'è andata. L'ho guardata
allontanarsi su viale Abruzzi finché si è infilata in via Donatello. Il mio
Artur non ha bisogno di cappottini. Viviamo qui, su questo marciapiede da tanto
tempo ormai, è abituato. Sembra fragile perché è di taglia piccola. E trema
perché è un tipo nervoso, mica per il freddo!
Dovreste
vederlo, certi giorni, quando passa qualche cagnolina. Si pavoneggia come fosse
il cane più importante della zona. E devo confessarvi che alcune cagnoline lo
guardano e lo annusano. Si capisce che una storiella con il mio Artur se la
farebbero eccome. Ma lui ha occhi solo per la cagnolina dell'orefice. È una
volpina sempre ben spazzolata e porta un collare con pietre lucenti. Anche al
mio Artur starebbe bene un collare così prezioso. Ma no, che dico! Un collare
del genere non si addice a un cane bisognoso. La gente penserebbe che i soldi
dentro questo piattino li spendo tutti per addobbare il cane.
Se fosse per
me, rinuncerei pure a un pasto per comprarglielo un collare così bello. Che
poi, non è questione di addobbo, mica è un albero di natale il mio Artur. È
solo una questione di orgoglio. Mi piacerebbe, una volta tanto, dare una
soddisfazione al mio Artur. Semmai dovesse indossare un collare così prezioso,
non starebbe più nella pelle, questo è certo.
Poi penso
che si darebbe troppe arie e si convincerebbe di essere un cane di razza. No,
niente orpelli per il mio Artur. Siamo gente alla buona, noi.
Quando la
volpina dell'orefice si avvicina, il mio Artur non fa in tempo ad annusarla,
l'orefice la tira subito via. L'allontana come fosse un ricettacolo di pulci,
il mio Artur. E la volpina sempre ben spazzolata si scompone appena mentre
viene trascinata via, lungo il marciapiede. Siccome sono uno che di guai non ne
vuole, acciuffo il mio Artur per la collottola e lo infilo nella borsa gialla
accanto a me. Lasciala stare, gli dico, non fa per te. E lui capisce. È
intelligente il mio Artur. E resta lì, in silenzio, dentro quella borsa gialla
che ormai è diventata la sua cuccia, triste come un piccolo cane bisognoso.
Quando arriva la signora con la pasta al sugo e il cibo per lui dovreste
vederlo come cambia umore. Allunga il collo così tanto da sembrare davvero il
cane più affamato di Milano. E così facciamo la figura dei pezzenti.
La verità è
che il mio Artur è solo un gran viziato. La signora l'ha abituato troppo bene.
Gli porta il suo cibo preferito e lui si è convinto di essere un cane
importante. Un cane di razza, insomma. E non c'è verso di fargli credere il
contrario. Ma quale razza, gli dico, che hai il pelo simile a un parrucchino
messo storto, e la coda mozza. Lui non vuole sentirselo dire. Si gira
dall'altra parte e finge di dormire.
È passata da
un pezzo l'ora di pranzo. La signora non si è vista. E addio pasta al sugo!
Temo che resterò a stomaco vuoto. Pure Artur dovrà fare senza il suo cibo
preferito.
Lui muove le
orecchie per captare il suono dei suoi tacchi in mezzo al traffico. Della
signora nemmeno l'ombra. Apre e chiude le narici, forse con l'olfatto è più
fortunato. Niente da fare. Vuoi vedere che si è offesa per la storia del
cappottino? D'improvviso il mio Artur esce fuori dalla borsa gialla e senza che
me ne accorga, scappa. Non faccio in tempo ad acciuffarlo. Lo seguo.
– Artur!
Artur! – urlo a più non posso. – Artur! -
Lui corre
lungo il viale e non mi sente. O finge di non sentire. Corre e s'infila in via
Donatello.
Quando sono
anch'io all'angolo con la strada, rallento. Ho il fiatone e ci manca poco che
crolli a terra.
Giro
l'angolo e non credo ai miei occhi. La signora è stesa a terra, la pasta al
sugo sparsa sul marciapiede e il cappottino bianco e rosa stretto nel pugno.
Una pozza di sangue sotto la testa. Mi avvicino, e mi accorgo che non c'è più
niente da fare. In mezzo a quel sangue vedo brillare qualcosa, sembrano pietre
preziose.
Non tocco
niente e mi allontano. Ora il respiro è corto e il cuore corre più forte di
prima. Meglio andare via se no rischio di finire pure io steso a terra, morto
di paura.
Cerco di
prendere Artur ma lui si mette a mangiare la pasta al sugo sparsa qua e là.
– Che fai –
gli dico mentre lo afferro per la collottolla – andiamo via! –
Ma lui si divincola, e rimpiango di non
avergli mai messo un collare. Divora quella pasta come fosse a digiuno da mesi.
Poi annusa tutto intorno. Infine agguanta il cappottino bianco e rosa, e tira.
Tira forte finché non riesce a prenderlo poi corre via, di nuovo giù su viale
Abruzzi.
Lo chiamo a
gran voce. – Artur! Artur! - Lui finge ancora di non sentire. Mentre nelle
vicinanze risuona la sirena della polizia decido di scappare pure io. Se mi
trovano qui è finita. Prendo viale Abruzzi e vado dietro al mio Artur. Lo vedo
che sta girando in via Vela. Accelero il passo, senza correre. Non voglio
destare sospetti. Voltato l'angolo vedo il mio Artur che abbaia contro la
vetrina dell'orefice. Il muso sporco di sugo e il cappottino bianco e rosa
accanto a lui, sulla strada.
– Cosa fai?
– dico senza alzare la voce.
Lui abbaia.
E finge di non sentirmi. Ha l'espressione brutta del cane quando s'incazza
davvero. Credo di non averlo mai visto così arrabbiato il mio Artur. La sirena
della polizia ora è qui vicina.
– Andiamo
via – stavolta alzo la voce.
Artur
continua ad abbaiare.
La polizia è
arrivata. È finita, penso, questa notte la passo al fresco. I poliziotti
scendono dalla macchina e camminano svelti. Se non stanno attenti, mettono un
piede sopra al mio Artur. Non rimarrebbe niente del cane sotto quegli stivali
pesanti. State attenti, penso. E loro lo schivano per un pelo.
Entrano in
negozio, e il mio Artur smette di abbaiare. E mentre aprono la porta la volpina
esce di scatto e si precipita dal mio Artur.
– Andiamo –
gli dico – andiamo via - .
Torniamo su
viale Abruzzi. Artur con il muso ancora sporco di sugo e il cappottino fra i
denti. La volpina con il suo collare di pietre luccicanti. E io con il cuore
che fatica a calmarsi. Lungo la strada, le voci sul conto dell'orefice corrono
più veloci di Artur.
"C'era
da aspettarselo che prima o poi l'avrebbe combinata grossa. "Lei non ne
voleva sapere di continuare quella storia".
Quando
arriviamo al nostro posto controllo ogni cosa. Il mio borsone, il piattino con
gli spiccioli, la borsa che funge da cuccia. Non c'è da fidarsi proprio di
nessuno al giorno d'oggi, dico fra me e me.
La volpina
con il suo collare prezioso si siede sul marciapiede. Artur molla il cappottino
bianco e rosa accanto a me e spinge il muso sulle mie gambe. Lo so cosa vuole
il mio Artur. È un tipo di classe, lui.
Così prendo
il cappottino e lo metto indosso alla volpina. Lei mi lecca la mano. Poi si
acciambella nella borsa gialla e si addormenta.
– Che bel
regalo hai fatto alla volpina – dico al mio Artur. E lui agita la coda e mi
guarda, gli brillano gli occhi. Si vede che è innamorato il mio Artur. Poi mi
soffermo su quel muso ancora sporco di sugo.
– Artur –
gli dico – lo sai che la classe non è acqua! -
Prendo la
bottiglia riempita alla fontana e gliela verso tutta sul muso.
– Adesso
lavati, però, che sembriamo proprio due barboni!