1947. SETTANT’ANNI
FA
di Franco Astengo
In molti stanno ricordando via via
i tanti episodi che fecero del 1947 un anno fondamentale nella storia d’Italia
del dopo guerra: a gennaio la scissione di Palazzo Barberini e il viaggio negli
USA di De Gasperi, il 1° maggio la strage di Portella delle Ginestre, nello
stesso mese l’uscita di comunisti e socialisti dal governo, a novembre l’ultimo
sussulto della Resistenza in difesa della liquidazione del prefetto Troilo a Milano,
a dicembre l’approvazione della Costituzione poi entrata in vigore il 1 gennaio del 1948.
Quasi
nessuno però ricorda che quello di settant’anni fa fu l’anno più terribile del
dopoguerra: quello nel corso del quale emersero le maggiori difficoltà nella
vita materiale della povera gente, disoccupazione, carenza di alloggi per le
case distrutte dai bombardamenti, scarsità di generi alimentari e di
riscaldamento, fabbriche ancora chiuse e da ricostruire, ferrovie, strade,
porti , scuole inagibili.
Il fascismo
aveva portato l’Italia a un cumulo di macerie.
Il governo
De Gasperi da maggio in avanti rispose ai tentativi di ribellione che si
verificarono in numerose città con la forza: il ministro dell’interno Scelba
divenne celebre per aver ordinato l’uso indiscriminato della polizia nella
repressione dei conflitti sociali.
Conserviamo
un ricordo quasi ancestrale di quei giorni, lo portiamo dentro al nostro animo
e al nostro cuore quale rimembranza indelebile (quasi una “coscienza parallela”
che ogni giorno ci richiama a quel tempo) del
carico dei sacrifici e delle sofferenze patite dai nostri genitori.
Sacrifici al limite della privazione, sofferenze che hanno segnato non soltanto
la nostra infanzia ma la nostra vita : una sensazione costante, una idea del “vissuto” nella
miseria non cancellata poi dal boom economico, dalla “Milano da bere”, dalla
rutilante pubblicità televisiva, dall’innovazione tecnologica che ci ha reso
così comodo lo svolgersi del quotidiano. Dentro di noi rimane ancora ben viva
l’amarezza e l’incertezza di quei giorni.
Ma non
possiamo anche dimenticare la fierezza, l’orgoglio, la dignità con la quale la
generazione che ci aveva preceduto e che aveva subito in pieno tutta la
tragedia della guerra affrontò quel drammatico frangente. Fierezze, orgoglio,
dignità che ci furono trasmesse ma che probabilmente non siamo stati capaci di
profondere nelle generazioni successive. Una generazione quella delle nostre
madri e dei nostri padri che, pur piegata da decenni di sopraffazione e di
miserie morali e materiali, seppe trovare la forza e la capacità per continuare
a vivere. Un grande ruolo nel determinare quella dignità lo ebbero, intendo
proprio ricordarlo, i partiti politici della sinistra italiana, quelli che
avevano guidato la Resistenza: il partito comunista e il partito socialista,
all’epoca veri partiti di massa.
Avranno
sbagliato tanto i comunisti e i socialisti , avranno seguito colpevolmente la
“dottrina Zdanov” , si saranno schierati con la parte sbagliata del mondo, ma
la funzione che svolsero nell’aggregare la classe, renderla consapevole,
portarla a lottare per un futuro diverso , cercando di migliorare subito le
condizioni materiali di vita, deve rimanere scritta per sempre nella storia di questo disgraziato
paese. Ho trovato le parole migliori tra le tante in circolazione per
descrivere quel clima, quel 1947, in un testo di Simona Colarizi che qui
riproduco a suffragio delle argomentazioni che ho cercato di sostenere fin qui.
l testo che segue è stato quindi tratto dal volume “Storia d’Italia in 100 foto” curato da Vittorio Vidotto, Emilio
Gentile, Simona Colarizi, Giovanni De Luna (Laterza 2017).
“Una coda di donne che passano ore e ore
davanti ai negozi alimentari per ottenere razioni sempre più scarse. Le
botteghe sono vuote: solo il mercato nero offre panel, latte, burro, zucchero
persino carne, ma tutto costa troppo. Allora non resta che dare l’assalto ai
forni, come avviene nell’estate del 1947, l’anno più duro anche rispetto a
quelli della guerra. Eppure sono già passati ventiquattro mesi dalla fine del
conflitto , ma la guerra fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica è ormai
dichiarata e gli americani centellinano gli aiuti per l’Italia, dove è forte il
Partito Comunista legato al nemico Stalin. Si rompono i governi di unità antifascista che riunivano tutti i
partiti, sinistra e destra, che alla Resistenza avevano aderito, ma la
situazione politica rimane fluida così come incerta la vita degli italiani. Sembra impossibile risorgere,
guardare avanti, lasciarsi alle spalle tanta disperazione per costruire un
futuro ai figli appena nati o che devono ancora vedere la luce. Perché il
segnale di un’irrinunciabile speranza di vita viene proprio dai tanti bambini
già concepiti durante la guerra, magari tra un abbraccio e l’altro prima che il
marito in licenza raggiunga di nuovo il fronte. Poi, quando finalmente arriva
la pace, per chi torna in questa Italia sconvolta formare una famiglia è il
primo mattone da cui ripartire. Una famiglia però significa responsabilità: la
prima quella di nutrire i propri figli, di assicurare loro un presente e
soprattutto un futuro. Ma sono tanti i padri disoccupati: industrie danneggiate
e campi calpestati dagli eserciti alleati e tedeschi hanno ristretto il mercato
del lavoro, da sempre troppo esangue in Italia dove l’agricoltura è ancora il
settore economico dominante e i processi di industrializzazione assai inferiori
a quelli dei maggiori Stati europei”.