Racconti
BRICIOLE. BRANDELLI
di Rosa Oliveto
Rosa Oliveto |
Briciole. Brandelli. Ecco cosa
avrei potuto ricevere da quest’uomo. Discorso razionale, certo. Ma quando
t’innamori rifletti forse? Ti fai domande? Analizzi? Neanche per sogno! Quando
ti innamori la cosa più ragionevole che fai è metterti prima la camicetta e poi
la giacca, non il contrario. Quando perdi la testa per qualcuno sei una
mongolfiera. Diventi improvvisamente Alice
nel paese delle meraviglie.
Non vuoi,
non puoi, non ti interessa guardare la realtà, vivi in un sogno che ritieni non
possa finire mai…
Certo che,
se ti arriva un secondo di lucidità, ti chiedi: “Che cosa sto facendo? Che
futuro ho? Non potevo essere la protagonista di una storia semplice, lineare,
senza problemi?”.
Ma la lucidità
arriva solo per un secondo, non di più. Quindi tutto come prima. Batticuore, in
testa un solo pensiero: il suo volto, la sua figura, il modo di muoversi, di
guardare, di parlare, di sorridere, di fermarsi o di incedere… Insomma lui,
poi?
Briciole. Brandelli.
Ecco cosa potevo ricevere da quest’uomo che aveva vent’anni più di me, una
donna alla quale aveva giurato amore per tutta la vita e che non avrebbe mai
lasciato, e due figli adolescenti che adorava. Ma allora perché sei voluto
entrare nella mia vita? In quel preciso momento, ne’ prima, né dopo? Il caso?
Un caso? Forse sì… Fino a quel giorno, a parte per gli studi, non frequentavo
le librerie, ma quel giorno ero lì, in piazza Piemonte a farmi forza, a cercare
una distrazione, a tentare di iniziare a vivere e vedere gli altri… Era una
bella famiglia la nostra: papà, mamma e io. Mi amavano infinitamente e io
ricambiavo il loro amore con gioia. Non avevo bisogno di fidanzati o amici. A
me bastavano loro e avevo difficoltà a seguire i racconti dei compagni di
classe, al liceo prima, e poi all’università, fatti di incomprensioni, litigi
con i loro genitori. Noi tre eravamo una sola cosa. Poi, dieci anni fa, il
destino si è accanito. Nel giro di sei mesi se ne sono andati tutti e due:
stessa malattia, identica cura, uguale sofferenza.
Io sono
rimasta sola e disperata. Ci ho impiegato un bel po’ per trovare una ragione
per vivere: mi sono detta che loro non sarebbero stati fieri di me a vedermi
spenta e senza futuro. E allora ho reagito. Ho ripreso a lavorare. I miei
genitori mi avevano lasciato un patrimonio cospicuo. Avrei potuto vivere di
rendita, ma l’educazione che avevo ricevuto mi obbligava a essere utile alla
società. Lavoro on-line a progetto. Io non conosco i miei datori di lavoro e
loro non sanno chi sono io. Quel giorno, vi dicevo, ero in libreria in piazza
Piemonte… ricordate il film Innamorarsi
con De Niro e Meryl Streep? È successo qualcosa di simile! Io
avevo preso un dolcino e il caffè al bar che è all’interno del negozio e mi ero
accomodata a un tavolo su cui avevo appoggiato il libro appena acquistato.
Qualche attimo dopo il volume è caduto a terra perché sfiorato da un uomo
maldestro che è passato accanto velocemente. È tornato
indietro, l’ha raccolto e si è scusato. Io l’ho ringraziato. Lui mi ha sorriso
salutandomi e io ho risposto a quel sorriso con una mezza smorfia della bocca.
Quando sono tornata a casa e ho cominciato a leggere il libro e a sfogliarne le
pagine ho trovato il suo biglietto da visita. L’ho tenuto sul comodino per molti
giorni, senza decidermi: buttarlo o telefonare? L’ho chiamato.
Abbiamo
iniziato a frequentarci con molta discrezione. Nessuno si è accorto della
nostra relazione. I nostri incontri avvenivano lontano dalle nostre abitazioni.
Sempre posti diversi. Ognuno con la propria auto raggiungeva la meta. Poi il
nido d’amore nostro è diventato la sua casa fuori Milano. È una villetta isolata, ma lui ha voluto che prendessimo delle
precauzioni assurde. Nel portabagagli della mia auto ci sono uno zaino e una
bicicletta pieghevole. Quando dobbiamo incontrarci parto da casa con l’auto e quando
manca un chilometro alla destinazione parcheggio la macchina, estraggo dallo
zaino cappellino, parrucca castano scura, occhiali e li indosso. Faccio
l’ultimo tratto in bici per raggiungere il mio amore.
E lì in
quella casa, tra gli oggetti che appartengono all’altra passiamo momenti
meravigliosi, impagabili. Sono felice e anche lui mi sembra che stia bene con
me. Vado sempre via prima io. Lo lascio di solito in soggiorno, sprofondato nel
divano a fiori gialli a fumare non so se una o più sigarette. Lui mi racconta
che si ferma almeno una mezz’oretta per rilassarsi e poi esce. Io sono sempre
disponibile. Lui è un uomo importante. Io sono il suo lavoro straordinario, la
conferenza improvvisa, la riunione di lavoro decisa all’ultimo momento: queste
sono le scuse che dice di raccontare a sua moglie che non si è accorta di
niente.
Giura di
amarmi e che per sua moglie nutre un altro genere d’amore, che il mio è più
forte. Mi copre di complimenti. Mi sussurra che ho l’oro nei capelli quando me
li accarezza e che i miei occhi ragionano ancor più della parola. Una volta,
portandomi una rosa, mi disse: “Senti il suo profumo anche per me!”.
Io gli
chiesi: “Anche per te? Che significa?”.
Allora lui
mi spiegò che una sinusite non curata o forse l’uso esagerato di sigarette
avevano peggiorato notevolmente la capacità del naso di percepire gli odori, e
anche il sapore del cibo era alterato.
“Anosmia, si
chiama anosmia questa malattia”, mi precisò.
“Non si può
fare niente?”, domandai preoccupata.
Lui mi
sorrise e poi aggiunse: “Si convive. Mi dispiace solo di non sentire l’odore
della tua pelle, il profumo del tuo corpo”.
Briciole.
Brandelli. Ecco cosa avrei avuto da quest’uomo che non avrebbe mai fatto una
scelta. A me sarebbe bastato raccogliere solo le briciole del suo tempo, del
suo amore…, ma, accidenti alla mia curiosità! Mi aveva detto che non ci saremmo
visti perché sarebbe andato con moglie e figli a rilassarsi nella “nostra”
casa, nel fine settimana. Sono arrivata alla villetta in bici, come da copione,
di sera, sempre seguendo l’iter. Mi sono nascosta, acquattata dietro un albero,
dopo aver sistemato la bicicletta sul retro, con l’intento di avvicinarmi alle
finestre e guardare dentro. Invece…, qualche minuto dopo, si sono spente le
luci in tutta la casa e dalla porta della villetta è uscito il mio amore in
compagnia di una donna che teneva stretta in vita e sbaciucchiava ridendo e
che, nonostante l’oscurità, non era di certo sua moglie…
Sono rimasta
impietrita per qualche minuto. Poi ho ripreso la bici e quindi l’auto. Mentre
guidavo cercavo di trattenere le lacrime. Pensavo che mi trovavo nella stessa
situazione del nostro primo incontro: non sapevo cosa fare. Avrei potuto
gridargli che era un essere spregevole perché aveva tradito anche me oppure
stare zitta, non dire niente, continuare a vederci. Ho deciso per la seconda
soluzione. L’avrei visto ancora una volta. Sarebbe bastato solo un’altra volta.
Avrei raggiunto la villetta sempre prendendo quelle “assurde” precauzioni che
questa volta sarebbero servite, però. Dunque, questo è il mio piano, un piano
perfetto, occorrerà solo sangue freddo e io lo avrò… Arriveremo nella villetta,
faremo l’amore, poi al momento di salutarlo e lasciarlo sul divano con la sua
amata sigaretta tra le dita gli dirò: “Tesoro, bevo un goccio d’acqua dal frigo
e scappo”.
Andrò in
cucina e aprirò tutte le chiavette del gas. Lui non sente gli odori. Un
sorriso, un bacio e via…, velocemente. Bum!
In briciole. In brandelli.