di Franco Astengo
In questa occasione
riguardante il doveroso ricordo dei 98 anni trascorsi dalla fondazione del
Partito Comunista si è pensato di non ricorrere ad una delle consuete analisi storiche ma di ripercorrere,
principalmente attraverso i numeri, le tappe fondamentali dell’impegno e del
sacrificio dei comunisti nella costruzione della democrazia repubblicana
arrestandoci al punto di svolta nella sua affermazione (ancora incompleta e
successivamente in forte arretramento come stiamo costatando nell’attualità)
fissato con i moti del Luglio 1960.
Dunque
andando per ordine:
1) TRIBUNALE SPECIALE
FASCISTA
Dalla
sua istituzione, primo febbraio 1927, al suo scioglimento, con la caduta del
regime il 25 luglio 43, il tribunale speciale per la difesa dello stato
processò 5.619 imputati - condannandone 4.596. Gli anni totali di prigione
inflitti furono 27. 735, 42 le condanne a morte, di cui 31 eseguite, 3 gli
ergastoli. 4.497 processati erano uomini, 122 le donne, 697 i minorenni. Tra le
categorie professionali, 3.898 imputati erano operai e artigiani, 546 i
contadini, 221 liberi professionisti.
Furono
4596 i condannati del Tribunale speciale, molti dai nomi oscuri, operai,
artigiani, originari di diverse regioni del nostro Paese che con il loro
coraggioso comportamento davanti agli arroganti militari che usurpavano il
titolo di giudici hanno riscattato il titolo d'Italia, allora compromesso dalla
sua classe dirigente, dall'indifferenza dei più.
Dei
4596 condannati circa 3.800 erano iscritti al Partito Comunista, a partire
dalla gran parte del gruppo dirigente con il “processone” del ’28 furono
condannati a ventidue anni e nove mesi Umberto Terracini; a vent'anni e quattro
mesi Antonio Gramsci e Mauro Scoccimarro; e nello stesso anno anche Giancarlo
Pajetta, subì, ad appena diciassette anni, la sua prima condanna a due anni di
carcere, (altra ben più dura a ventun'anni seguì poi); e nell'anno seguente
tocca al socialista Sandro Pertini essere condannato per attività sovversiva a
dieci anni e nove mesi; e nel 1930, l'anno delle quattro condanne a morte
mediante fucilazione degli irredentisti triestini e delle due condanne
all'impiccagione di resistenti libici, è la volta di Camilla Ravera, condannata
a quindici anni e sei mesi per costituzione del partito comunista, di Manlio
Rossi Doria, di Emilio Sereni, condannati a quindici anni per lo stesso
delitto.
I
comunisti diedero vita alle Brigate Garibaldi che pur formare in maniera
pluralista erano composte in gran parte dai partigiani comunisti e esponenti
del PCI formavano il comando generale. Associati alle Brigate Garibaldi erano i
Gruppi di azione patriottica (GAP), che nelle città operavano azioni di
sabotaggio e attentati contro gli occupanti nazifascisti. In totale esse
rappresentavano circa il 50% delle forze della Resistenza partigiana. Al
momento dell'insurrezione finale dell'aprile 1945, i garibaldini attivamente
combattenti erano circa 51.000 divisi in 23 "divisioni", su un totale
effettivo di circa 100.000 partigiani. In dettaglio il comando generale delle
Brigate Garibaldi disponeva, alla data del 15 aprile 1945, di nove divisioni in
Piemonte (15.000 donne e uomini); tre
divisioni in Lombardia (4.000 donne e
uomini); quattro divisioni in Veneto (10.000 donne e uomini); tre divisioni in Emilia (12.000
donne e uomini); quattro divisioni (10.000
donne e uomini) in Liguria. Nell'ambito delle forze militari della
resistenza, le Brigate Garibaldi costituirono il gruppo più numeroso e
organizzato con 575 formazioni organiche, tra squadre, gruppi, battaglioni,
brigate e divisioni; parteciparono alla maggior parte dei combattimenti e
subirono le perdite più pesanti, oltre 42.000 morti in combattimento o per
rappresaglia.
Da
ricordare ancora come le grandi città nelle quali era presente la classe
operaia legata al Partito Comunista, si liberarono da sole ben prima
dell’arrivo delle truppe alleate e questo fu il fattore decisivo che consentì
al nostro Paese di riassumere immediatamente la propria dignità di autogoverno:
Napoli, Genova, Milano, Torino.
3) OPERAI DEPORTATI DOPO LO SCIOPERO DEL 1° MARZO 1944
Dopo
lo sciopero delle fabbriche del Nord svoltosi il 1°marzo del 194 si calcola che
circa 1.200 operai furono deportati nei campi di lavoro e in quello di sterminio di Mauthausen.
Il successivo 16 Giugno 1944 in adesione allo
stesso ordine emanato dal comando nazista dopo lo sciopero del 1° marzo, 1.488
operai genovesi furono deportati dopo essere stati rastrellati all’ingresso
delle fabbriche. Si ritiene di non esagerare considerando la quasi totalità dei
deportati come appartenente al partito comunista.
4) LOTTE OPERAIE E
CONTADINE NEL PRIMO DOPOGUERRA
Mentre
le sinistre erano impegnate nella elaborazione della Costituzione Repubblicana
le lotte operaie e contadine rivolte a reclamare migliori condizioni di vita in
situazioni veramente tragiche da punto di vista dei diritti fondamentali e
della stessa sopravvivenza furono
compiute alcune stragi le cui vittime furono in gran parte donne e uomini
militanti nel Partito Comunista.
Portella della Ginestra: 1 maggio 1947. fu un
eccidio commesso in località Portella della Ginestra, in provincia di Palermo,
il 1º maggio 1947 da parte della banda criminale di Salvatore Giuliano che
sparò contro la folla riunita per celebrare la festa del lavoro provocando
undici morti e numerosi feriti. I motivi per cui venne compiuto e, nei giorni
successivi, vennero assaltate sedi dei partiti di sinistra e delle camere del
lavoro della zona risiedono, oltre alla dichiarata avversione del bandito nei
confronti dei comunisti, anche nella volontà dei poteri mafiosi,
dell'autonomismo siciliano e delle forze reazionarie di mantenere i vecchi
equilibri nel nuovo quadro politico e istituzionale nato dopo la seconda guerra
mondiale e, nonostante non siano mai stati individuati i mandanti, sono certe
le responsabilità degli ambienti politici siciliani interessati a intimidire la
popolazione contadina che reclamava la terra e aveva votato per il Blocco del
Popolo nelle elezioni del 1947.
Berlinguer |
Melissa: La strage di Melissa o
eccidio di Fragalà fu un episodio del 29 ottobre 1949 verificatosi a Melissa
nel quale persero la vita Francesco Nigro, Giovanni Zito e Angelina Mauro.
Nell'ottobre del 1949 i contadini calabresi marciarono sui latifondi per
chiedere con forza il rispetto dei provvedimenti emanati nel dopoguerra dal
ministro dell'Agricoltura Fausto Gullo e la concessione di parte delle terre
lasciate incolte dalla maggioranza dei proprietari terrieri. Interi paesi
parteciparono a questa mobilitazione che vide circa 14 mila contadini dei
comuni orientali delle province di Cosenza e Catanzaro scendere in pianura. Chi
a piedi, chi a cavallo, con donne e bambini e gli attrezzi da lavoro, quando
giunsero sui latifondi segnarono i confini della terra e la divisero, iniziando
i lavori di preparazione della semina. Irritati per questa ondata di
occupazioni alcuni parlamentari calabresi della Democrazia Cristiana si
recarono a Roma per chiedere un intervento della polizia al Ministro
dell'Interno Mario Scelba. I reparti della Celere si recarono quindi in
Calabria e uno di loro si stabilì a Melissa (oggi provincia di Crotone) presso
la proprietà del possidente del luogo, barone Berlingeri, del quale i contadini
avevano occupato il fondo detto Fragalà. Questo fondo era stato assegnato dalla
legislazione napoleonica del 1811 per metà al Comune, ma la famiglia
Berlingeri, nel tempo, lo aveva occupato abusivamente per intero. La mattina
del 30 ottobre 1949 la polizia entrò nella tenuta e cercò di scacciare i
contadini occupanti con la forza.
Montescaglioso: 21 marzo 1950, data
impressa nella memoria storica di tutto il Vastese: Nicola Mattia e Cosmo
Mangiocco furono uccisi dai colpi di un appuntato dei carabinieri davanti al
municipio. Tornavano, insieme a tanti concittadini, dallo 'sciopero alla
rovescia': al grido di 'pane e lavoro' costruivano la strada di collegamento
con la Statale Trignina sopperendo ai ritardi del governo dell'epoca. Un evento
drammatico che ebbe risonanza in tutta Italia e che diede vita a imponenti
manifestazioni di protesta da Nord a Sud.
Modena: 9 gennaio 1950. Verso
le dieci del mattino del 9 gennaio una decina di operai giunse ai cancelli
delle Fonderie Riunite, le quali erano circondate di carabinieri armati.
All'improvviso un carabiniere sparò un colpo di pistola in pieno petto al
trentenne Angelo Appiani, che morì sul colpo. Subito dopo, dal tetto della
fabbrica i carabinieri aprirono il fuoco con le mitragliatrici verso via Ciro
Menotti contro un altro gruppo di lavoratori, che si trovavano al di là del
passaggio a livello sbarrato in attesa dell'arrivo di un treno, uccidendo
Arturo Chiappelli e Arturo Malagoli e ferendo molte altre persone, alcune in
maniera molto grave. Dopo circa trenta minuti, in via Santa Caterina l'operaio
Roberto Rovatti, che portava al collo una sciarpa rossa, venne circondato da
una squadra di carabinieri, buttato dentro ad un fossato e linciato a morte con
i calci dei fucili.
Infine,
giunse in via Ciro Menotti un blindato T17 che iniziò a sparare sulla folla,
uccidendo Ennio Garagnani.
Appena
appresa la notizia della strage, i sindacalisti della Cgil iniziarono ad
avvisare, con gli altoparlanti montati su un'automobile, i manifestanti di
spostarsi verso piazza Roma. Tuttavia, verso mezzogiorno, un carabiniere uccise
con il fucile Renzo Bersani, il quale stava attraversando a piedi l'incrocio
posto alla fine di via Menotti, posto a oltre 100 metri dalla fabbrica. Il
bilancio della giornata fu di 6 morti tutti iscritti al Partito Comunista, 200
feriti e 34 arrestati con l'accusa di resistenza a pubblico ufficiale, radunata
sediziosa e attentato alle libere istituzioni.
Il
bilancio di quegli anni, tra il 1947 e il 1950, segnati dalle lotte operaie e
contadine e dalla feroce repressione poliziesca è il seguente: furono condannati 15.249
comunisti per un totale di 7.598 anni di carcere. Si è ormai persa la memoria
dei lutti, dei sacrifici, dell’impegno posto dalla classe operaia, dai
contadini e dalle loro famiglie che vivevano in condizioni oggi inimmaginabili
nel periodo della riconversione dell’industria bellica, dell’attuazione della
debole riforma agraria, della ricostruzione del Paese dalle macerie della guerra.
Lutti,
sacrifici, privazioni affrontati sempre con grande dignità “di classe” con il
PCI che seppe rappresentare sul piano politico, dar loro voce e presenza
proprio quei lutti, quei sacrifici, quelle indescrivibili privazioni materiali
in una Italia povera, senza strade e ferrovie, con le case bombardate e
distrutte.
Moti di Reggio Emilia |
5) LUGLIO 1960
La
strage di Reggio Emilia è un fatto di sangue avvenuto il 7 luglio 1960 nel
corso di una manifestazione sindacale durante la quale cinque operai reggiani,
i cosiddetti morti di Reggio Emilia, Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Emilio
Reverberi, Marino Serri e Afro Tondelli, tutti iscritti al PCI, furono uccisi
dalle forze dell'ordine.
La
strage fu l'apice di un periodo di alta tensione in tutta l'Italia, in cui
avvennero scontri con la polizia. I fatti scatenanti furono la formazione del
governo Tambroni, monocolore democristiano con il determinante appoggio esterno
del MSI, e l'avallo della scelta di Genova (città "partigiana", già
medaglia d'oro della Resistenza) come sede del congresso del partito missino.
Le reazioni d'indignazione furono molteplici e la tensione in tutto il paese
provocò una grande mobilitazione popolare.
L'allora
Presidente del Consiglio, Fernando Tambroni, diede libertà di aprire il fuoco
in "situazioni di emergenza" e alla fine di quelle settimane
drammatiche si contarono undici morti e centinaia di feriti. Queste drammatiche
conseguenze avrebbero costretto alle dimissioni il governo Tambroni aprendo la
strada al governo Fanfani “delle convergenze parallele” e successivamente al
centro-sinistra. Al momento del varo del primo governo organico di centro-sinistra
Nenni titolò sull’Avanti “ Da oggi l’Italia è più libera”. È il caso di
ricordare su quanti lutti e sacrifici della classe operaia, dei contadini,
delle donne e degli uomini che trassero fuori l’Italia dalla macerie del
dopoguerra fosse costruito quel “più libera”.
Tambroni |
Ci
fermiamo a questo punto pensando di aver semplicemente onorato la memoria del
Partito Comunista e il contributo di sacrifici e di sangue fornito dai suoi
militanti per la Repubblica e la Costituzione.