27 GENNAIO: MEMORIA PER
IL PRESENTE
di Franco Astengo
Giuseppe Denti "Per non dimenticare" |
In questi giorni si
susseguono le cerimonie di ricordo per quella che è stata definita “giornata
della memoria”.
Si
cerca così di ricordare la più grande tragedia collettiva del ‘900 ricostruendo
i termini nei quali avvenne; esorcizzando gli elementi di pensiero e di azione
sulla quale fu costruita la gigantesca macchina della repressione e
dell’eccidio di massa.
L’auspicio
da pronunciare per questa occasione evitando inutili passerelle retoriche
riguarda la capacità di stilare un bilancio complessivo di recupero della
memoria non rivolto a guardare il passato limitandoci a trarre da questa
“visione” soltanto generici accenti di richiesta per espressioni di “buona
volontà”, come accade troppo spesso.
Serve
una “memoria per il presente”.
È
necessaria un’attualizzazione senza riguardi; una riflessione su ciò che
avviene oggi nell’era della tecnologizzazione globalista. Ci troviamo in una situazione dove appare
sempre più sottile il confine tra l’esclusione o l’inclusione degli esseri
umani dal contesto sociale. Un confine che sembra essere travolto dal
riproporsi dell’egemonia della logica di sopraffazione.
La
rievocazione della più grande tragedia del ‘900 deve dunque oltrepassare il
ricordo dei fatti legati
all’annientamento fisico di milioni di persone.
Persone
definite, a vario titolo, “indesiderabili” e per questo motivo concentrati nei
campi al fine di “proteggere” gli altri i “normali” attraverso un trattamento
preventivo eseguito come se si fosse trattato di una misura di igiene e
profilassi pubblica.
Un
trattamento di reclusione fuori da qualsiasi canone giudiziario: una misura
eccezionale di prigionia dalla quale non poteva che scaturire la realtà
dell’eliminazione fisica.
Il
rapporto tra la concentrazione coatta e lo sterminio di massa si potrebbe
definire quasi come un nesso obbligato. È questa la lezione da ricordare.
Definito
questo quadro del rapporto tra concentrazione coatta e sterminio di massa ne
discende un’immediata comparazione con l’attualità: una comparazione assai
facile da comprendere individuando con chiarezza anche nomi e cognomi.
Claudio
Vercelli disegna i contorni di questa comparazione attraverso una sintesi
efficace che si legge in un suo articolo (“Il Manifesto” 25 gennaio “ L’esilio
sistematico di un’umanità considerata in eccesso”).
Sintesi
che riprendo in pieno: “L’elemento fondamentale, in questo caso, è dato dal
nesso, indissolubile nell’età della “nazionalizzazione delle masse” tra
politiche di Stato, consenso generalizzato, bisogno di rassicurazione”.
Sembra
proprio di leggere notizie di queste ore
tra chiusura dei porti, sgomberi coatti, rassicurante caccia
all’indesiderabile: atti di violenza intesi come piattaforma per una
riassicurazione del “pubblico” che permetta di raccogliere consenso con il
minimo costo.
Attenzione
però: tra “esilio di massa”, concentramento “extra-lege” e sterminio il collegamento c’era e c’è e non si
esaurisce nel passato e nella retorica dell’espressione di buoni sentimenti.
Non
si sta scrivendo che la storia potrebbe ripetersi.
Le
forme del ripresentarsi del ciclo storico sono infinite e si tratta di
valutarne, di volta in volta, la realtà.
Si
tratta di riflettere su come determinati aspetti di ciò che è già tragicamente
avvenuto tornino a presentarsi all’interno di una società di massa sicuramente
profondamente modificatasi nella sua essenza, rispetto a quella che agiva
nell’Europa degli anni trenta quaranta.
Alcuni
elementi in questo senso devono essere visti, analizzati, sottolineati senza
colpevoli sottovalutazioni o peggio strumentalizzazioni opportunistiche.
In
una società dominata dall’incertezza si levano forti imperativi rivolti alla
soggettività, alla valorizzazione dell’individualismo, alla raccolta degli
eguali dentro il nostro recinto.
Un
recinto magari contornato da muri.
Un recinto che segna il confine di una
“diversità” che si pensa di attribuire agli altri.
È questo il senso profondo del rigurgito
nazionalista in atto ed è su questo punto che la sinistra sottoposta alla
tentazione di una facile popolarità su questo terreno dovrebbe cominciare a
recuperare almeno il senso della propria direzione di marcia.
Appare
del tutto fragile un richiamo alla nazione destinato a evocare un mondo di
stranieri potenzialmente pericoloso. Ne consegue, per la “Nazione” la necessità
di un’opera di purificazione permanente con lo scopo di liberare il proprio
“corpus” di tutti gli elementi di squilibrio dal razziale al sociale.
Si
determinerebbe così uno stato di “sicurezza” che deriverebbe dalla capacità
dello Stato di assumersi un diritto assoluto e primitivo di determinare chi può
integrarsi e chi, invece, merita di essere espulso dal consesso civile.
Dall’espulsione “temporanea” a quella “definitiva” (per usare un eufemismo) il
passo è sempre stato breve. Ci troviamo di fronte ad una delineazione di
analogie da dedicare a chi pensa che l’accoppiata fascismo/antifascismo sia
superati e da dimenticare.
La
memoria per capire questo presente che incombe e ci inquieta mentre quella che
abbiamo sempre considerato la “nostra parte” oscilla paurosamente verso la
subalternità al presente.