di Franco Astengo
Felice Besostri, campione
della lotta contro l’incostituzionalità delle leggi elettorali, sollecita un
dibattito intorno ai temi sollevati da Azzariti in un articolo apparso il 12
gennaio sul “il Manifesto”. Allo scopo di centrare al meglio il tema riporto di
seguito tre citazioni dirette dal testo in questione:
In principio:
“Anomalo
il comunicato della Corte costituzionale sul conflitto tra poteri dello Stato
presentato dal gruppo del Pd al Senato contro le modalità di approvazione della
legge di bilancio.
Il
comunicato dichiara l’inammissibilità, ma poi ci tiene a dire che i singoli
parlamentari possono fare ricorso. Giustifica la compressione dei lavori
parlamentari, ma poi paventa una futura incostituzionalità se si dovessero
adottare di nuovo simili modalità.”.
Di seguito:
Non
mi sembra, dunque, che si possa confidare più di tanto in futuro sul ruolo del
giudice costituzionale per dirimere tale genere di conflitti. In una certa
misura è questo un esito inevitabile. Lo è nella misura in cui la politica
chiede alla giurisdizione (quella costituzionale, ma spesso anche a quella
ordinaria) di supplire alle sue debolezze. La giurisdizionalizzazione del
conflitto politico è un male in sé, poiché segnala l’incapacità dei cittadini
associati liberamente in partiti di svolgere il ruolo che la costituzione
assegna loro, ovvero di «concorrere con metodo democratico a determinare la
politica nazionale».
Infine:
“Ogni
volta bisogna ricordarlo: i garanti della Costituzione – la Corte
costituzionale, ma anche il Presidente della Repubblica – sono l’ultima
fortezza a difesa della superiore legalità costituzionale. In questo ruolo
decisivo di salvaguardia, però, non possono essere lasciati da soli. Quando la
politica tace, ovvero fa solo spettacolo, non può pretendersi che siano i
garanti a urlare. Forse non è neppure auspicabile. Non è ai soli giudici che
spetta la difesa dei principi della costituzione, in primo luogo spetta a tutti
noi. E questo è il vero problema di oggi: la politica assente”.
Definito
così il quadro delineato da Azzariti è il caso di riprendere appieno il filo
complessivo del discorso. In realtà da lungo tempo si stanno sempre più
confondendosi i confini che segnavano la tripartizione dei poteri di
derivazione illuministica e adottata dalle Costituzioni liberali in Occidente e
segnatamente dalla Costituzione Italiana.
La
pressione per questo restringimento arrivato fin quasi ad annullare i confini è
di duplice natura: da un lato l’invasione del legislativo da parte
dell’esecutivo avvenuta non attraverso modifiche costituzionali (nel frattempo
tutte fallite) ma per via dell’uso improprio della leva del governo. Il governo
è stato sempre più protagonista- almeno dagli anni’80 del XX secolo, - dell’uso
della legiferazione d’urgenza.
All’epoca
il tema dominante era quello della governabilità.
Un
tema vieppiù trasformatosi nel tempo in quello di un accrescimento di peso di
un ritorno alla vocazione autoritaria.
Vocazione
autoritaria che, per un certo periodo, ha assunto anche le sembianze di una
torsione presidenzialista almeno nella visione della riforma costituzionale
tentata prima dalla Bicamerale(1997) e successivamente dal progetto del centro
destra respinto dal voto popolare nel 2006. Dall’altro canto si è verificata la
crescita di un impegno di supplenza svolto da parte della Magistratura a
partire dalla “questione morale”.
Anche
in questo caso siamo agli anni’80 del secolo scorso con l’avvio delle inchieste
riguardanti malversazioni a Torino e in Liguria (in ogni caso differenti nelle
modalità tra di loro) per poi esplodere sul piano nazionale all’inizio del
decennio successivo.
Elementi
che hanno portato a quella deprecabile giurisdizionalizzazione della politica
cui fa cenno Azzariti nel suo articolo: un giudizio sicuramente condivisibile.
Così
come appare corretto l’accenno ai partiti: la loro trasformazione, in
particolare al riguardo dei soggetti a radicamento e integrazione di massa, è
risultata sotto quest’aspetto decisiva perché si è innestato un processo di
cambiamento del concetto stesso di rappresentanza politica.
Sotto
l’aspetto della struttura istituzionale retta dai partiti l’Italia ha sempre
costituito un caso molto particolare (dal punto di vista dell’analisi basta
citare Scoppola): la nostra Costituzione è stata costruita proprio sulla base
della presenza, nel corpo dell’Assemblea che ebbe il compito di redigerla, dei
tre grandi partiti di massa; fu questo fattore decisivo per far sì che si
evitasse di tradurre quel lavoro in un semplice “ritorno alla Statuto”
considerando il fascismo soltanto “una parentesi” come intendeva Benedetto
Croce.
I
confini che hanno diviso l’esecutivo dal legislativo e il giudiziario dal
legislativo nel frattempo si sono così pericolosamente assottigliati proprio
perché è mutata la funzione e il ruolo dei partiti in pieno senso politico (non
certo e non solo perché è mancata l’applicazione dell’articolo 49). Questo
assottigliamento dopo aver portato alla ribalta il tema della
“personalizzazione” (beninteso in un quadro sociale molto modificato
dall’irrompere del consumismo e dell’individualismo competitivo, fenomeni che
hanno determinato un vero e proprio “sfrangiamento sociale”) sta ora fornendo
terreno coltivabile sotto i piedi di che sta spingendo verso un ritorno a forme
politiche che avevamo pensato di aver superato e comunque mantenuto ai margini.
Si
comprende la difficoltà a far fronte a questo stato di cose.
Per
scriverla proprio in sintesi: non è soltanto questione di recuperare la
“politica” ma l’intero discorso sulla strutturazione dell’agire politico. A
questo punto il tema dei partiti e della rappresentanza istituzionale risalta
nuovamente come prioritario.
Un
tema da affrontare nella consapevolezza di quanto è cambiato attorno a noi nel
corso di questi anni ma senza cedere alla tentazione di arrendersi ai
meccanismi di supplenza e di sovrapposizione cui si è accennato sia da parte
del potere esecutivo sia da parte di quello giudiziario.