LETTERA APERTA A CESARE VIVIANI
Tomaso Kemeny |
Tomaso Kemeny scrive al poeta e psicanalista Viviani in occasione dell’uscita del suo libro “La poesia è finita. Diamoci
pace. A meno che... pubblicato dalla casa editrice genovese Il Nuovo
Melangolo.
Caro Cesare, amico mio e poeta
originalissimo, il fatto che migliaia versifichino, a me pare solo un bene.
Anche quelli privi di talento hanno il diritto di esercitare l'immaginazione,
di liberarsi di fantasmi, risentimenti, nonché di terrori e invidie, di paure
più o meno motivate. Casomai tocca alla critica individuare la scrittura
rarissima, quella poetica, differenziandola dalla versificazione. Per quanto sia
misteriosa l'origine della scrittura poetica, si possono indicare tre diverse
forme di poesia italiana che tendano alla Bellezza:
1.Versi autonomi ispiratissimi, come la
seguente di Torquato Tasso:
“Dolce è nudrir voglie amorose in seno”
(endecasillabo)
2.Versi dove il ritmo del verso
contrappunta la struttura sintattico-semantica, come la seguente di Eugenio
Montale:
“O labbri muti, aridi dal lungo (endecasillabo)
viaggio per il sentiero fatto d'aria” (endecasillabo)
3.I versi liberi, come quelli di Aldo
Palazzeschi:
“Si stanno in quell'ombra
tre vecchie
giocando
con dadi...”
Cesare Viviani |
Ma esiste la
parola assoluta, il Big-Bang, origine soggettiva del poetico? Sì, è il nome dell'amata
e lo sa anche il lettore innamorato.
Bisogna anche
osservare che ogni verso, come tale, esalta la forma soggettiva, lo stile di
chi scrive. Oggi pervade il mondo la moda di disprezzare il presente storico,
si dimenticano le condizioni esistenziali ai tempi di Hitler, Stalin e Mao.
Basta con i
lamenti! Se il consumismo minaccia di consumare le anime, i corpi, tuttavia,
possono sempre fruire di forme di vitalità gustative, olfattive, auditive,
intercosciali, nonché muscolari e anali. Tuttavia la poesia è ciò che manca ed
è sempre mancata al mondo, ma se come scrisse Holderlin “fuggevole è il canto della vita”, il canto delle Muse (e ogni poeta
vero ne ha almeno una) rimane e custodire la verità di ogni poeta, rivelando
anche nella tenebra e nel dolore l'eterna magnificenza della vita nel cosmo.
L'uomo e la donna rimano, i loro corpi compenetrandosi si completano, mentre il
mondo e la poesia non si completano mai, per questo il poeta è chiamato a
sconfinare dagli orizzonti del dato, a tentare di rendere questa mancanza di
poesia meno evidente e feroce.
Il
bombardamento pubblicitario, il diluvio mediatico, i deliri dei politicanti
ipocriti rendono necessaria l'azione del poeta in grado di spalancare le
finestre sulla Natura e sul Cosmo. Come un minatore il poeta scava nella lingua
finché non trova filoni di ispirazione. L'atto poetico supera i limiti del
dicibile e del reale collegando in rapporto simbiotico gli antinomi: il
pieno/il vuoto, la presenza/l 'assenza, il definibile/l'indefinibile. La parola
del poeta traccia i confini della propria autonomia espressiva, autonomia
irriducibile al reale. La scrittura poetica sposta la soggettività assoluta
verso il noi o l'impersonale, e così il poeta trascende la propria condizione
umana e può capitare che il poeta, nei momenti più alti del suo canto, venga
assunto entro il Divino, ovvero percepisca il Divino come il canto che si
innalza oltre i limiti del Cosmo. “Il
bello è un fenomeno originario” disse Goethe, e il poeta rivive questo
fenomeno originario dissolvendo nello splendore il reale. La sua parola allora
cela in sé il silenzio e l'impossibile e celebra il vuoto prima della creazione
del mondo.
La parola
poetica non appartiene a nessuno, esso è il tesoro della collettività
linguistica in grado di fruirla. La poesia non è costruzione consapevole, nasce
dall'imprevedibile in modo libero, anche se poi, quasi sempre, necessita di una
riscrittura artigianale.
La poesia
libera dalle gabbie temporali e apre al passato e precede un futuro possibile.
Non sbaglia il cinico che ritiene che ogni definizione della poesia non sia che
una parodia della poesia stessa. E ha ragione, la prosa, l'interpretazione la
soffocano!
Mi verrebbe da
gridare “la poesia sono io”, ma se
non riuscissi scrivere poesia non sarei che “un mendicante di Bellezza!”(Espressione di Jozsef Attila)
Ci siamo
trapanati il cranio, io e gli elefanti del desiderio-critico, ma come scrisse
Viviani, la poesia appartiene al regno del mistero. Ma, secondo me, si può e si
deve diffonderne l'essenza con azioni istituzionali e/o insurrezionali nel
mondo, al grido di “Fight for Beauty! Fight for Beauty for ever!”
Tomaso Kemeny
La copertina del libro |