di Franco Astengo
“L’utopismo non è più
un’accusa che dovrebbe costringere in un angolo l’avversario, ma una risorsa
essenziale per una politica dotata di senso. La politica non è l’arte del
possibile, e soltanto l’etica dell’intenzione conferisce all’agire politico la
capacità di praticare una condotta il cui valore possa essere affermato contro
ogni realtà e ogni realismo”.
Max
Weber “La politica come professione”
Einaudi, Torino 2004.
Il
28 gennaio 1919 Max Weber tenne a Monaco una conferenza “Politik als Beruf. La
politica come professione” nell’ambito di un ciclo d’incontri dedicati al
“lavoro intellettuale come professione”.
A
Weber erano stati affidati due interventi, uno sulla scienza e uno sulla politica,
pubblicati poi qualche mese dopo e riuniti in un testo che è diventato un classico
della sociologia politica. Micromega ha
dedicato al centenario uno dei suoi “Almanacchi di Filosofia” esprimendo la
convinzione che, a distanza di tanto tempo, le questioni poste da Weber in
allora risultino ancora di straordinaria attualità.
Una
motivazione sicuramente valida proprio in un momento in cui la tensione della
folla verso “l’uomo forte” appare egemonica (si è scritto “folla” e neppure
“massa” non casualmente).
Così
Weber concludeva quella sua conferenza: “La
politica consiste in un lento superamento di dure difficoltà da compiersi con
passione e discernimento al tempo stesso. E’ certo del tutto esatto, e
confermato da ogni esperienza storica, che non si realizzerebbe ciò che è
possibile se nel mondo non si aspirasse all’impossibile”.
Max Weber |
Si
è così pensato di riproporre tre brevi passaggi di quel testo, giudicandoli
molto aderenti alla situazione attuale e confermando, come scrive Joan Subirats
nel suo “Weber ai tempi del populismo” come quella del filosofo tedesco fosse
una lezione da tenere a mente proprio nei tempi in cui sembra prevalere” la
perdita di orizzonti di valore e l’incapacità di guardare più in là del proprio
naso.”
1)
“Quali gioie la politica è dunque in grado di offrire e quali attitudini
personali presuppone in chi vi si dedica? Ecco, essa procura in primo luogo il
sentimento del potere. Anche quando occupa posizioni formalmente modeste, la
coscienza di esercitare un’influenza sugli uomini, di partecipare al potere su
di essi, ma soprattutto il sentimento di tenere tra le mani il filo conduttore
di eventi storicamente importanti, permette al politico di professione di
elevarsi al di sopra della quotidianità”.
2)
Si può dire che sono tre le qualità decisive per il politico: passione, senso
di responsabilità e lungimiranza. “Passione” nel senso di votarsi a qualcosa,
di un impegno appassionato verso una causa. La passione non trasforma una
persona in un politico se, come servizio della causa, non fa della
responsabilità la stella che indica la rotta del suo agire. E per tal fine ha
bisogno della “lungimiranza”: la qualità psicologica decisiva per il politico,
la capacità di lasciare che la realtà agisca su se stessi con serenità e
raccoglimento interiore”.
3)
La “mancanza di distanza”, semplicemente in quanto tale, costituisce uno dei
peccati mortali di ogni uomo politico ed è una di quelle qualità che, coltivate
presso la nuova generazione dei nostri intellettuali, li condannerà
all’inettitudine politica. L’uomo politico deve dominare in se stesso, ogni
giorno e ogni ora, un nemico del tutto banale e fin troppo umano: la vanità.