Yama no Shashin
di Claudio Zanini
Fujiyama from Gotenba |
Linda Fregni Nagler è una giovane artista italiana che si
occupa di fotografia e lavora sul modello del ready made; vale a dire, non crea un’opera ma interviene su un’opera
già costituita; la elabora cambiandone il significato o attribuendole uno nuovo.
(I primi ready made si devono a
Duchamp (Ruota di bicicletta, 1913, esposta
come opera d’arte). Dal Dadaismo in poi fino a oggi molti artisti (Warhol per
tutti) sono intervenuti sul lavoro altrui, spesso con stimolanti risultati di
contaminazione e riletture critiche).
Fregni Nagler lavora
con serie di foto realizzate principalmente da fotografi commerciali, anonimi e
ignoti che adottano modelli visivi correnti. Sceglie le immagini (spesso estrapolate
da riviste e giornali comuni), le impagina e le ricontestualizza in modo che esse
forniscano nuove chiavi di lettura, soprattutto riguardo agli stereotipi che le
sottintendono. (1)
Esemplare una sua
opera, The hidden mother, esposta
alla Biennale di Venezia del 2013, dov’erano in mostra circa novecento piccole
foto anonime di fine ‘800, di bambini neonati tenuti in braccio da madri il cui
volto era stato coperto, cancellato, oppure tagliato fuori dall’immagine; in
cui, per vari motivi, dovevano apparire solo i bambini. L’accostamento delle
stampe, (alcune dall’aspetto curiosamente sinistro) raccolte in diversi gruppi,
conferiva nuovi significati, suscitando negli osservatori inattese reazioni di
stupore e sconcerto.
Jinrikisha |
Nella mostra Yama no Shashin (Fotografie della
montagna), Fregni Nagler presenta una serie di foto realizzate negli atelier della
Scuola di Yokohama, (scuola sviluppata
anche per merito degli italiani Felice Beato e Adolfo Farsari, geniali fotografi
un po’ avventurieri), che lavoravano soprattutto per il mercato occidentale. Queste
immagini, scattate da centinaia di artefici giapponesi, illustrano scene
tradizionali di vita quotidiana nel periodo della modernizzazione e dell’apertura
delle frontiere (epoca Meiji, 1868-1912).
Questa cospicua
produzione s’inserisce nella scia tracciata dalla diffusione e dal successo
delle xilografie Ukiyo-e, che
influenzarono la cultura e l’arte europea (tra gli altri, pittori come Manet,
Van Gogh e Gauguin) della seconda metà dell’Ottocento.
La Scuola di Yokohama impiegava numerosi atelier,
dove una miriade di artigiani anonimi lavorava negli studi con ritmi da catena
di montaggio. Fotografi, stampatori e coloristi (le foto sono dipinte, una a
una, a mano) realizzarono una gran mole di stampe per il mercato locale ma,
soprattutto, estero.
Come Fregni Nagler mette
in evidenza, ci si accorge con sorpresa che l’enorme materiale fotografico
prodotto non documenta la realtà della vita corrente, ma la mette in scena secondo uno stereotipo finalizzato
a sollecitare il gusto occidentale per l’esotismo, al fine di promuovere il
collezionismo, i commerci, il turismo degli albori.
Fuji from Omiya |
Il lavoro su Yama no Shashin nasce dalla passione di Fregni
Nagler per le stampe della Scuola di Yokohama, che raccoglie da diversi anni.
Decide di selezionarle e ne sceglie un certo numero. Non si limita, tuttavia, a
proporle (come le foto di The hidden
mother) con un’operazione di carattere puramente concettuale, ma se ne
appropria; in quanto, forte della sua esperienza presso un noto laboratorio
fotografico di Milano, ne ripete il processo tecnico d’elaborazione originale.
Le ri-fotografa, ristampa e dipinge a mano attenendosi ai pigmenti e tinte originali.
Il suo intervento è rivelato dalle piccole zone lasciate in grigio nella
superficie colorata. Quindi, le raccoglie e ordina in serie; le presenta come ready made.
È interessante e
curioso osservare con attenzione la singolare messa in scena impiegata nella serie Yama no Shashin, esposta alla mostra. Lo stesso soggetto, la veduta
di paesaggio, viene riproposto e ripetuto in molti scatti di fotografi diversi.
Dove neppure l’osservatore più scrupoloso riesce a notare la sostanziale
differenza.
Così la serie del Fuji from Otometoge (2) mostra quarantasette
stampe dello stesso Fuji, colte dal medesimo punto di vista e costruite con gli
stessi soggetti e inquadrature. Sono scatti apparentemente identici.
In realtà,
quello che si ripete in ciascun’identica inquadratura sono le piccole
differenze. Tuttavia, qui, la sostanziale differenza è quella temporale. Poiché,
e questo è stupefacente, sappiamo che sono scatti realizzati da fotografi
diversi in tempi diversi, sovente a distanza di mesi. Si raggiunge, quindi, l’identità
nella differenza (d’autore e tempo). Le differenze confluiscono nell’identità
ideale, confermandola.(3) Tuttavia, poiché le
immagini dovevano sottomettersi a un modello iconografico
consolidato e assoluto, era necessario escludere la dimensione storica, del
tempo. Quindi, come si è già detto, esse non documentano la realtà del
Giappone, ma ne forniscono una versione astratta.
Altre serie, come
quella dei venditori di fiori, Flower
Sellers o di diversi personaggi in interni, presentano finzioni realizzate
in studio con una sapiente confezione di costumi, arredi e fondali. Non solo il
tempo, ma anche lo spazio diventa una finzione ricreata in studio.
Anche da
quest’accurato lavoro di Fregni Nagler, emergono i concetti spazio/temporali
che sostanziano la cultura giapponese. Sintetizzati in un esempio, questi sono
evidenti nella pratica che induce all’abbattimento dei templi e la loro ricostruzione
identica, nello stesso luogo, dopo un certo periodo d’anni. Il tempio non
cambia, resta identico a se stesso, il tempo non lo travolge né corrompe. Anche
lo spazio, a sua volta, non può essere che mentale, vuoto e sempre uguale. È abitato
dall’oggetto formalizzato messo in scena,
che lo riempie. Segno che, identico si ripete.
Untitled |
La proposta di
presentare Yama no Shashin al termine
d’un processo di rilettura e “manipolazione” (seppure molto discreta) come
quella sopra descritta, ci permette di osservare alcuni aspetti interessanti.
In primo luogo, quei
caratteri di ambiguità dell’immagine fotografica e del suo presunto “vero”.
Quindi, la falsificazione nella rappresentazione della realtà; e la creazione
laboriosa, più o meno consapevole, del modello visivo d’una realtà formalizzata
e atemporale che si intende confermare all’esterno ma, inevitabilmente, anche a
se stessi. Infine sottolinea il carattere creativo dell’intervento artistico
sull’oggetto o materiale su cui opera.
Flower Peddler |
1) Abbiamo visto come l’impiego nell’arte del ready made (oggetto già fatto, manufatto
d’uso comune) inizi col Dadaismo. È importante, altresì, notare che nello
stesso periodo si sviluppano le fondamentali ricerche iconologiche dell’Istituto
Warburg di Londra. Il cui programma d’indagine concettuale e storica riguarda i
prodotti delle cosiddette arti minori,
materiali, oggetti (il ready made può
essere, addirittura, un oggetto comune, popolare, commerciale (vedi Warhol) o,
addirittura, un relitto malconcio), realizzati da artigiani e maestranze
anonime, al fine di rivelare l’immaginario, i valori condivisi e i significati culturali
che informano un’epoca e una società.
2) Queste fotografie sono chiaramente ispirate alle
famose stampe di Hokusai, Cento vedute
del monte Fuji, assai note e apprezzate in Occidente
3) Anche le Madonne
dipinte dai pittori senesi del 1300 rispettano tutte lo stesso codice
iconografico; tuttavia, ogni dipinto differisce dall’altro per minime
variazioni (che corrispondono a variazioni di senso) dipendenti dalla
personalità dell’artista. Fin qui l’identità è salvaguardata, tuttavia, di
differenza in differenza si giunge alla rottura, alla trasformazione di un
codice che non corrisponde più a una realtà mutevole e, quindi, si deve
rinnovare. L’immagine partecipa al processo storico, evolve nel tempo.
Nell’anonimo
artefice giapponese, invece, la differenza seppur inconsapevole, è un incidente
da evitare. Perseguita, dissolve l’identità. E non solo quella dell’opera.
La mostra è ospitata presso la Banca Generali Private
sede di Milano, Piazza Sant'Alessandro 4
e rimarrà aperta fino al 7 aprile di quest'anno.
Per contatti: receptionprivatemi@bancagenerali.it
e rimarrà aperta fino al 7 aprile di quest'anno.
Per contatti: receptionprivatemi@bancagenerali.it