di Franco Astengo
Mentre in Francia si
stanno esprimendo forme abbastanza classiche di conflitto sociale in una fase
di assenza della politica e comunque in linea con la tradizione di quel paese,
in Italia potrebbe aprirsi, invece, una forma del tutto inedita di conflitto
istituzionale. Il riferimento per questa affermazione è rappresentato dalle
dichiarazioni rilasciate dai sindaci di diverse grandi Città, in particolare le
due capitali del Sud Napoli e Palermo, circa il “non riconoscimento” e la
conseguente “non applicazione” della legge sulla cosiddetta sicurezza approvata
dal parlamento in sede di conversione di un decreto del governo.
Non
è capzioso far notare come l’oggetto del contendere sia una legge di
conversione: una legge per l’approvazione della quale si è richiesto, come
accade quasi sempre da qualche tempo, un’azione di mera ratifica da parte del
Parlamento al riguardo dei cui componenti si sta tramando l’abolizione
dell’articolo 67 della Costituzione che non prevede il “vincolo di mandato”.
Verificheremo
se l’azione dei sindaci andrà avanti e come questa si espliciterà con atti
amministrativi e non semplicemente con prese di posizione poste esclusivamente
sul piano della dialettica politica: cioè se, come avrebbe annunciato il
sindaco di Palermo Leoluca Orlando, sarà adottata una delibera di “sospensione
degli effetti della legge” sul territorio cittadino di competenza oppure nei
termini di un eventuale ricorso all’autorità giudiziaria (in ogni caso con
provvedimento di sospensione degli eletti di legge)
Fondamentale
sarà la motivazione sulla base della quale l’eventuale delibera di “sospensione
degli effetti della legge” sarebbe adottata: in particolare nel caso in cui si
segnalasse non soltanto la difficoltà (o l’impossibilità) di applicazione ma
proprio un giudizio prima di tutto di peggioramento che l’applicazione della
legge porterebbe ai termini - in questo caso -
di sicurezza sul territorio e in secondo luogo di valutazione preventiva
di incostituzionalità (configgendo così oggettivamente con la valutazione del
Presidente della Repubblica che ha promulgato questo stesso provvedimento).
Sarà
questo, nell’eventualità si verificasse, un fatto di grande interesse sul piano
istituzionale perché porrebbe a diretto confronto diversi organi dello Stato
come l’esecutivo centrale, la giunta di una città, la stessa Presidenza della
Repubblica chiamando in causa di conseguenza la Corte Costituzionale e ponendo
questioni molto complesse. Si porrebbe comunque un tema di fondo circa le
modalità del conflitto a tutti i livelli istituzionale, politico, sociale. A
questo punto andrebbero in discussione sia le capacità di produrre iniziativa
da parte dei nuovi movimenti sociali, sia la dimostrazione di sintesi tra
conflitto e proposta storicamente esercitata dai partiti (compito cui hanno
abdicato ormai da tempo) quanto l’espressione istituzionale della
rappresentanza politica. Ci si troverebbe, insomma, a un punto di svolta della
stessa crisi della democrazia liberale. Si evidenzierebbero così domande non
facili cui fornire risposte lineari:
Dove
possono stare i termini del conflitto, superata la stagione della materialità
immediata della contraddizioni sociali ormai estesesi a una complessità di
“fratture” fin qui non valutate nell’elaborazione dell’analisi teorica e
politica? Dove potrebbero stare, in questo quadro, i termini della ribellione?
In
una sottrazione individuale ai canoni della sorveglianza imposta o in un
recupero dell’identità collettiva legata alle contraddizioni sociali?
Potrà
risultare ancora possibile il richiamo all’organizzazione politica intesa come
strumento per la realizzazione di una mediazione intesa come collocata oltre,
come si vorrebbe oggi, al tecnicismo giuridico, alle “regole”?
Paiono
le domande decisive sul nodo della legittimità del potere e del conflitto.
Ed
è su questo che, a mio giudizio, sarebbe necessaria una riflessione teorica
adeguata, anche se l’urgenza della quotidianità impone visioni di ben più corto
respiro.
Qualcuno
aveva accennato al tema della “disobbedienza” civile, ma l’azione dei Sindaci
si colloca già più avanti entrando direttamente nello schema del conflitto tra
istituzioni ponendo questioni di competenza, legittimazione, rappresentanza.
Competenza, legittimazione, rappresentanza: tre nodi che lo svilimento
dell’istituzione centrale, dell’architrave del nostro sistema rappresentato dal
Parlamento pongono in evidenza come difficili da sciogliere salvo che non li si
voglia affrontare attraverso il taglio gordiano dell’autoritarismo. La
lunghissima “transizione italiana”, ancora stretta tra superamento incompleto e
imperfetto della “Repubblica dei Partiti”, “federalismo intravisto”,
presidenzialismo senza Presidente, potrebbe entrare in una fase diversa da
quella del ritorno alla “sovranità” e della sperimentazione della democrazia
diretta cui sembravano puntare (divergendo tra loro) i “contractor” (proprio nel senso di occasionali mercenari della politica) del governo.