di Franco Astengo
Ritorno sul tema
dell’individualismo, già trattato in diverse occasioni, avanzando una
richiesta: quella di aprire una riflessione il più possibile approfondita su
questo tema. Il discorso sull’individualismo risulta, a mio giudizio,
assolutamente decisivo quando ci riferiamo alla frantumazione dell’assetto
sociale avvenuta qui nell’Occidente “maturo”: individuarne caratteristiche e
possibile evoluzione del fenomeno rappresenta il solo presupposto per definire
una praticabile proposta di riorganizzazione dell’agire politico.
Ci
troviamo nella fase post- conclusione del ciclo che è stato definito della
democrazia rappresentativa e del welfare universalistico. Naturalmente questa
nota non conterrà accenti sufficientemente adeguati sul piano culturale ma
intende soltanto rappresentare - appunto - un’esigenza di ragionamento che
rimane completamente da portare avanti. Il tema da affrontare rimane quello
della collocazione dell’individuo sul piano sociale e politico nel quadro
generale che si sta delineando proprio in quello che abbiamo definito come
”Occidente maturo".
Si
sta profilando, infatti, una situazione di egemonia del concetto di
disintermediazione.
Quella
disintermediazione che porta l’agire politico a funzionare saltando i corpi
intermedi e proponendosi un rapporto diretto con le nuove oligarchie dominanti
perché capaci di far funzionare gli strumenti della comunicazione.
Comunicazione che si sta trasformando da “comunicazione di massa” a
“comunicazione indistinta” si direbbe “ad appropriazione indebita”.
Una
“comunicazione indistinta, ad appropriazione indebita” all’interno della quale
si sta coltivando l’illusione di poter esprimere direttamente in forma
plebiscitaria l’assenso alle indicazioni dell’oligarchia dominante che, sua
volta, agisce su “sensazioni” riguardanti lo stabilire le emergenze da
affrontare caso per caso stabilendo gerarchicamente in funzione della propria
raccolta di consenso. Il tutto al di fuori da una qualsiasi forma di
progettualità di sistema. Torniamo però al tentativo di addentrarci nei meandri
del significato del progressivo modificarsi del concetto di individualismo,
all’interno del quadro appena descritto. Per procedere attraverso la via delle
citazioni storiche sarebbe il caso di riprendere quanto scrive Alexis de
Tocqueville nella sua celebre “Democrazia in America” individuando le
differenze tra la società europea e quella americana: Tocqueville segnala nella
società americana “un atteggiamento fondamentalmente auto interessato, anti
sociale e antisolidaristico”.
Una
citazione da ricordare quando si parla e si scrive di “americanizzazione”: non
si è tratta soltanto di un modo di dire. Successivamente all’interno del ’900 e
in Europa teorici come Hayek e Popper ripresero l’individualismo metodologico
di Menger secondo il quale “gli individui hanno priorità esplicative sugli
insiemi e sulle istituzioni sociali”.
Appunto
nell’età della democrazia rappresentativa fondata su partiti “organici” (il
riferimento è sempre all’Europa Occidentale) e sul welfare, proprio Hayek e
Popper sostenevano l’impossibilità della riduzione delle teorie sociali a
teorie su individui, data la natura irriducibilmente relazionale delle
spiegazioni dei fenomeni macrosociali. Nella seconda metà degli anni ’80 su
questo punto si realizzò un mutamento fondamentale che Zygmunt Bauman
sintetizza efficacemente nel suo fondamentale “Modernità Liquida”, un testo
recentemente ripubblicato dal Corriere della Sera, con una davvero interessante
prefazione di Donatella Di Cesare. Secondo Bauman questo mutamento fondamentale
è consistito nella deregolamentazione e privatizzazione dei compiti e doveri
propri della modernizzazione.
Scrive
Bauman: “Quella che in passato soleva essere considerata un’opera esplorata
dalla ragione umana, considerata come lascito e proprietà collettiva della
specie umana è stata frammentata (individualizzata), rimessa alla
determinazione dei singoli, lasciata alla gestione dei singoli individui e a
risorse amministrate singolarmente”. E aggiunge: “Nel mondo degli individui
esistono solo altri individui da cui trarre magari degli esempi su come vivere,
ma sempre assumendosi la piena responsabilità per le conseguenze derivanti
dall’aver scelto un esempio anziché un altro”.
Da
questo stato di cose, almeno a giudizio di chi scrive, è sorto il fenomeno
dell’ “individualismo competitivo”.
Dal
considerare l’esistenza degli altri soltanto come “individui” è sortito
fortissimo il fenomeno della personalizzazione: beninteso non soltanto in
politica ma in uno spettro molto ampio delle attività umane. In settori come
quelli dello spettacolo, dello sport, delle espressioni artistiche si è anche
modificato il vecchio concetto di “divismo” che pure fin dalla fine dell’800
aveva tenuto banco.
Nasce
da questo passaggio quindi proprio il concetto di “individualismo competitivo”
attraverso il quale si sono definite, entro un quadro di regole generali (non
si è trattato, sia ben chiaro, di un passaggio diretto all’homo homini lupus) nuove gerarchie e strutturate diverse aggregazioni
rispetto a quelle formatesi nel passato. All’interno di queste aggregazioni
individualistiche (in molti casi, per restare nell’ambito della politica, si
sono definite ancora come “partiti” senza aver nulla da spartire con i vecchi
soggetti a integrazione di massa) si sono formate le nuove oligarchie come
previsto dalla situazione determinatasi proprio come descritto nel testo di
Bauman dell’esistenza “soltanto di altri individui”.
Nell’emergere
dell’auto- rappresentazione personalistica si sono così smarrite alcune
fondamentali coordinate: prima di tutto è andato perduto il senso del subire
imposizione e sfruttamento, si è persa la concreta percezione
dell’insopportabilità della disuguaglianza e non si è compreso come si stesse
verificando l’allargarsi e non certo lo sparire della contraddizione di classe.
Con l’avvento di nuove tecnologie di comunicazione ad altissima velocità e lo
smarrimento delle coordinate fondamentali della dislocazione dell’assetto
sociale è stato così possibile alle oligarchie aggregatesi per via di pulsioni
individualistiche e nel frattempo formatesi assemblando semplicemente interessi
omogenei sul piano dello sfruttamento degli altri, imporre i propri modelli
facendo leva essenzialmente nella capacità di inoculare la “paura”.
Il
massimo dell’opportunismo di queste aggregazioni per via di interesse di potere
è stato quello di proclamarsi addirittura “antipolitica”. Una trappola mortale
dentro la quale si annida la mitologia dell’uomo forte. La “paura” e lo
smarrimento della coscienza al riguardo della propria condizione sociale
collettiva ha così determinato nuovi livelli di attenzione dell’opinione
pubblica e ha definito un quadro di priorità sociali.
Nuovi
livelli di attenzione di massa sono stati causati così da uno spostamento
dall’individualismo competitivo all’individualismo della paura. Intendiamoci
bene: non si tratta soltanto della cosiddetta paura del “diverso” e di tirare
in ballo, sempre al riguardo dell’occidente “maturo”, il tema dei migranti e di
conseguenza la questione di una solidarietà che non mette mai in discussione il
cosiddetto “ordine costituito”. Assegnerei al tema della paura anche il
discorso relativo alla capacità e alla qualità di mettere in campo forme
adeguate di rivendicazione sociale e politica: in questo senso, soltanto per
sviluppare un’esemplificazione di stretta attualità, sembrano soprattutto
espressione di paura le mobilitazioni dei “gilet gialli” in Francia (con
relativi processi imitatori in altri Paesi d’Europa).
Mobilitazione
dei “gilet gialli” che, infatti, fatica a definire una propria piattaforma e
appare incalzata dall’estrema destra e dall’estrema sinistra; più o meno
analogo itinerario lo si può individuare nel voto al M5S in Italia, con la
differenza che qui l’oligarchia di riferimento si era già ben consolidata in
anticipo e attrezzata su tutti i temi di questa fase della post-modernità.
In
sostanza abbiamo definiti tre fasi di passaggio dalla conclusione dei “30
gloriosi” a oggi: “deregolamentazione e privatizzazione dei compiti e doveri
propri della modernizzazione”, “individualismo competitivo” e “individualismo
della paura”. Fenomeni verificatisi all’interno del quadro generale che abbiamo
già definito e che qui si riassume per comodità d’esposizione: mutamento di
fondo nel ruolo e nella struttura dei partiti e progetto in fase di compimento
di disintermediazione sia sul piano politico, sia su quello sociale. Tracciati
i contorni, sarebbe il caso di approfondire il tema rispetto a ciò che ci
aspetta, qui dalle nostre parti, rispetto all’assetto sociale: punto che rimane
comunque fondamentale per definire un quadro verosimile di prospettiva
politica. Almeno questo potrebbe essere l’impegno per chi ancora non concepisce
la politica soltanto quale mero esercizio del potere.