di
Giorgio Riolo
E. H. Carr |
A
proposito di Sei lezioni sulla storia di Edward H. Carr
Questo scritto riprende una nota a suo tempo redatta come
introduzione all’opera di Edward H. Carr. Come si cerca di argomentare, la
storia non è solo disciplina, materia, ambito del sapere e della conoscenza.
Essa è fondamento della cultura critica, dello spirito critico, tanto più necessario
nella nostra realtà contemporanea, della educazione civile e della formazione della
persona attiva. È fondamento e sostanza della politica.
Queste note
che seguono hanno il modesto fine di richiamare l'attenzione sulla questione
della storia. A riconsiderare il problema della storia, come questione cruciale
della sostanza della nostra cultura, della nostra politica, della nostra
democrazia, della nostra vita. Nell'epoca del trionfo della filosofia
complessiva del neoliberismo, non solo della sua naturalmente potente e
decisiva dimensione economica. Nell'epoca della destoricizzazione compiuta,
della eternizzazione del presente e quindi del potente bisogno dei dominanti di
espungere la coscienza storica, la dimensione storica dalla coscienza diffusa
delle persone. Coscienza diffusa già manipolata e alienata. Ma proprio al fine
della manipolabilità infinita delle coscienze delle persone. A partire dal
retroterra della filosofia individualistica compiuta (la signora Thatcher “La
società come ente non esiste, esistono gli individui e le famiglie”), come una
delle componenti più granitiche di questa filosofia complessiva. Cultura
dell'io, cultura del corpo, cultura del narcisismo (Christopher Lasch): la
trinità del contemporaneo monoteismo imperante. Ricordiamo
il problema che sottolineò Lukács,
già nel 1923, e cioè che il limite del pensiero borghese (noi diremo oggi del
pensiero e dell'ideologia capitalistiche), proprio perché appiattito sul
“dato”, sul “compiuto”, sul “risultato” della forma-merce, occultando il
processo genetico, la processualità, risiedeva nella difficoltà di considerare
il presente come problema storico, il presente come storia. Questo complesso
problematico è più attuale che mai proprio nell'era del capitalismo della
globalizzazione neoliberista.
Queste note le facciamo cogliendo
l'occasione della riproposizione di un testo importante della cultura storica,
della metodologia della storia. Apparso in lingua italiana nel lontano 1966,
formò molti di noi, non solo come libro di studio, liceale e universitario, ma
anche come libro della formazione (e autoformazione) politica.
I.
Lo storico inglese Carr passò dalla carriera diplomatica al lavoro
di storico e al breve periodo di insegnamento accademico, e dall'essere un
classico liberale inglese alla aperta adesione al marxismo. Decisiva fu
l'esperienza prima del rapporto con l'Unione Sovietica e poi la volontà di
scrivere quella che poi divenne la monumentale Storia della Russia sovietica, in 14 volumi, scritta tra il 1950 e
il 1978. La volontà di capire la rivoluzione russa, i rivoluzionari russi e
l'arcano vero, il problema storico delle rivoluzioni, da dove nascono, come
evolvono e come spesso degenerano.
Quell'opera rimane un monumento e molti storici, anche di parte
avversa, non simpatizzanti con l'Urss o col socialismo o col marxismo,
attingono a essa come fonte, per la mole sterminata di documenti originali, in
lingua russa in primo luogo, che Carr riporta, a loro volta il risultato del
vaglio di un ancor più vasto orizzonte di documenti, di analisi, di dibattiti
ecc. Proprio lavorando a quest'opera, Carr si è imbattuto in quelle grandi questioni
che la storia solleva: principio di causazione, oggettività e soggettività,
determinismo, caso, libero arbitrio, necessità e libertà, individuo e società,
il ruolo della personalità (i cosiddetti “grandi uomini” e le masse dei
semplici uomini e donne) ecc.
II.
Nel 1960 lo storico di Cambridge fu invitato a tenere un ciclo di
sei lezioni sul significato della storia e sul senso del mestiere di storico.
Il titolo complessivo dell'opera a stampa, del 1961, di quelle lezioni era What is history? (“Che cos'è la
storia?”). Ne è risultato un aureo libretto di tale densità e spessore, come
sedimentazione di una vastissima cultura letteraria, filosofica, sociologica,
scientifica, oltre naturalmente la cultura storica, da costituire ormai un
classico. Uno dei pochi libri dove la metodologia storica, la concezione della
storia, nella duplice funzione di res
gestae (gli accadimenti, i fatti, l'attività umana) e di historia rerum gestarum (la disciplina,
il ramo del sapere, l'arte e la scienza della storia) vengono esposti con
rigore e con mano ferma, tipiche di un intellettuale preparato e culturalmente
e politicamente impegnato. Si direbbe “da storico militante”, se non fosse che
oggi questa nozione è in disuso, in discredito.
Uno dei pochi libri appassionanti, che hanno valore oltre il
proprio campo di studi, accanto ad Apologia della storia o mestiere di
storico di Marc Bloch, agli scritti di metodo e ai saggi di Fernand Braudel
e degli storici francesi delle Annales, da Fevbre in avanti ecc. E
questo conseguito proprio perché l'autore considera la sua disciplina non come
arida materia da studio, ma come viva e vitale cultura, necessaria, non solo
allo storico di professione ma anche allo everyday man, all'uomo comune,
della normale vita quotidiana. L'atteggiamento non è professorale, dalla
cattedra, ma al contrario l'autore si pone da pari a pari, in rapporto
egualitario con il lettore.
III.
Carr svolge un lavoro che attinge alla filosofia della storia. In
primo luogo, il rapporto tra fatti e interpretazione. Contro la visione
empirista, e poi positivistica, secondo cui i fatti sono autoevidenti, parlano
da sé (l'esigenza espressa dallo storico tedesco dell'Ottocento, Leopold von
Ranke, di raccontare i fatti “wie es
eigentlich gewesen”, “come sono propriamente stati”), egli avanza la sobria
constatazione che lo storico compie sempre una selezione e quindi fa agire una
sua interpretazione e quindi una sua visione soggettiva. Un solo esempio, delle
numerosissime attraversate del fiumiciattolo Rubicone da parte di milioni di
esseri umani, significativa è solo quella di Cesare nel 49 a.C., per i destini
della Repubblica romana ecc.
Lo storico fa agire il suo giudizio e, in ultima analisi, il suo
essere appartenente a una data epoca storica, una data società, il suo essere
partecipe di una cultura, di una visione politica. Come dice Carr, spesso un
saggio storico ci dice di più dello storico che della materia che tratta.
“Prima di cominciare a scrivere di storia, anche lo storico è un prodotto della
storia”.
La storia è sempre storia contemporanea, diceva Benedetto Croce, o
come diceva Marx, “l'anatomia dell'uomo è una chiave per l'anatomia della
scimmia”. Non è solo alla luce del passato che noi comprendiamo il presente,
ma, al contrario, è spesso dal presente, dagli interrogativi nostri, dalla
intelligenza nostra delle dinamiche storiche, sociali, politiche, culturali
della contemporaneità che noi possiamo interpretare e cogliere le dinamiche
della storia passata. Non solo. Carr, che conosce anche i filosofi, anche i filosofi
marxisti (Hegel, Lukács, Bloch, Althusser, Adorno ecc.), aggiunge che senza
visione del futuro, senza prefigurazione e desiderio-principio speranza, senza
Utopia, non possiamo comprendere né presente né passato. Passato, presente e
futuro sono intimamente connessi.
Quella che poi gli storici delle Annales, chiameranno
“storia totale”, vale a dire il tentativo di abbracciare l'intero di ogni epoca
umana, non solo quindi di considerare le dinamiche economiche, sociali e
culturali, le dinamiche politiche soprattutto, ma di considerare anche la vita
quotidiana, le mentalità, i riti, le credenze, religiose e non, la cultura
materiale, il cibo, gli oggetti, è presente nella tradizione marxista e quindi
anche in Carr.
In ciò riprendendo la famosa affermazione di Marx ed Engels
contenuta nell'Ideologia tedesca “Noi conosciamo una sola scienza, la
scienza della storia”. Il termine tedesco nell'originale è Wissenschaft. È termine non ancora del lessico positivistico, la
scienza esatta positivistica del secondo Ottocento, ma in Marx ed Engels era
più vicina alla nozione classica tedesca di “conoscenza”, di “sapere”.
IV.
In sostanza, la posta in gioco è una concezione e una
considerazione della storia da “filosofia della storia”, dove i fatti contano
ma debbono essere ordinati e compresi entro un principio ordinatore, dove entro
la casualità (“il naso di Cleopatra ovvero il caso nella storia”), entro
l'azione dei Grandi Uomini (“il cattivo Re Giovanni”), sia possibile discernere
categorie, dinamiche impersonali (“Grandi forze impersonali”, per esempio la
teoria dei modi di produzione, delle formazioni economiche e sociali ecc. di
Marx) senza cadere in determinismi, sociologismi volgari. Dove i fattori
economici, strutturali, spiegano tutto, deterministicamente, spiegano la
cultura e le idee di un operaio o di un contadino, di un sottoproletario, di un
borghese, di un aristocratico, di una donna ecc. a partire dalla loro
collocazione sociale, di classe, di ceto e di genere, senza cadere in visioni
finalistiche, teleologiche, in provvidenzialismi o visioni semplicemente
idealistiche.
In gioco è la visione dialettica della reciproca interazione di
“momento economico” e di “momento extraeconomico” (la cosiddetta
sovrastruttura, le idee, le culture, la politica, le concezioni religiose, il
diritto ecc.). Dove il momento economico svolge sì un'azione importante, da
momento egemonico o soverchiante, come dice Marx nella famosa Introduzione
del ‘57 ai Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica,
ma non esclusivamente deterministico e dove quindi la sovrastruttura spesso
agisce in modo decisivo per le sorti finali, per il risultato finale delle
dinamiche complessive dell'intero storico-sociale.
In gioco è, in ultima istanza, il ruolo della coppia dialettica
soggetto-oggetto, il problema del rapporto di causalità e di teleologia,
dell'interazione tra finalismo soggettivo, dell'attivismo umano, e
condizionamento delle circostanze oggettive. Come scrisse Marx ne Il XVIII
Brumaio di Luigi Bonaparte “Gli uomini fanno
la propria storia, ma non la fanno in modo arbitrario, in circostanze
scelte da loro stessi, bensì nelle circostanze che essi trovano immediatamente
davanti a sé, determinate dai fatti e dalla tradizione”.
V.
Occorre qui ricordare le considerazioni che Tolstoj svolge alla
fine di Guerra e pace, nel capitolo “filosofico” sul ruolo di Napoleone
e dei “grandi uomini”, di contro all'azione, ai desideri, alle motivazioni di
milioni di persone, di grandi masse coinvolte in quegli eventi epocali di
inizio Ottocento. E occorre ricordare la visione degli storici francesi di
inizio Ottocento, che molto influenzarono Alessandro Manzoni nel mentre
concepiva quel capolavoro che sono I promessi sposi, sull'importanza
delle oscure vite di esseri umani “che non lasciano traccia nel loro passaggio
sulla terra”, ma che sono carne e sangue, la sostanza della storia, sono la
vita vera, masse di esseri umani senza le quali la storia e la vita non
avrebbero senso.
Quello stesso pensiero che Antonio Gramsci esprime come credo profondo,
ma anche come interrogativo dell'uomo e del dirigente politico provato dalle
esperienze tragiche di quell'epoca, comprese le sue condizioni di carcerato
indebolito e malato, nella famosa lettera dal carcere al figlio Delio “Io penso
che la storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la tua età, perché
riguarda gli uomini viventi e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più
uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono fra loro
in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi, non può non piacerti
più di ogni altra cosa. Ma è così?”.
VI.
Un solo esempio finale per esemplificare. La battaglia di Waterloo
nel 18 giugno 1815 fu persa da Napoleone per una serie di circostanze
sfavorevoli. In primo luogo la pioggia battente dalla giornata precedente e nel
corso della notte. Al mattino presto il fango e il terreno difficile
ritardarono, alle ore 11 circa, il classico cannoneggiamento terrificante
dell'artiglieria francese dell'alba, prima di ogni battaglia. Ciò causò un prolungamento
nei tempi della battaglia e quindi consentì l'arrivo, decisivo, delle armate
prussiane al comando di von Blücher in soccorso degli inglesi di Wellington.
Ma, qualora l'accidentalità delle condizioni fosse stato favorevole ai francesi
e Napoleone fosse risultato vincitore a Waterloo, la traiettoria
dell'esaurimento della spinta propulsiva che veniva dalle conquiste della
rivoluzione francese, di cui Napoleone era affossatore e prodotto al medesimo
tempo, era già tracciata.
Il morale, il “fattore umano”, delle armate repubblicane francesi,
dove, come si diceva allora, il semplice soldato portava dentro lo zaino,
potenzialmente, “il bastone da maresciallo”, avendo la rivoluzione consentito
che i più capaci e i più preparati, anche tecnicamente, fossero valorizzati
nell'esercito, come nel resto dell'amministrazione statale, di contro alla
visione aristocratica dell'Ancien Régime, nel quale divenivano ufficiali
solo membri della nobiltà. Ricordiamo che lo stesso Napoleone era oscuro
sottotenente di artiglieria e poté divenire prima generale e poi imperatore.
In tutti i casi un impero non poteva poggiare solo sulla “punta
delle baionette” e il coalizzarsi di troppe forze, non solo reazionarie, ma
anche popolari, essendo i francesi, ancorché portatori del Codice Civile
napoleonico e delle conquiste della rivoluzione, oppressori di molti popoli
europei. Alla lunga ciò condusse alla fine della fulminante, travolgente, e
breve, epopea napoleonica.
VII.
Carr conclude il suo lavoro con un capitolo, una lezione, dal
titolo “Verso più ampi orizzonti”. Agiva in lui un sobrio ottimismo che gli
veniva da una razionale, e non ingenua, visione del progresso, dell'accumularsi
di forze positive per il cambiamento, per le trasformazioni rivoluzionarie, per
conquiste di civiltà. Così anche nella prefazione per la seconda edizione, che
fece a tempo a stendere prima di morire, traspare questo ottimismo.
Oggi noi abbiamo alle spalle più di tre decenni che potremmo
tranquillamente definire “reazionari”. Come Restaurazione capitalistica feroce,
nell'era del neoliberismo (l'era thatcheriana e reaganiana, prima, e poi l'era
del mutamento radicale dei rapporti di forza sociali, politici e planetari dopo
il crollo ignominioso del cosiddetto socialismo reale e la fine dei movimenti
di liberazione delle periferie del mondo). Ancor più nell'attuale lunga crisi
economica in cui siamo immersi, configurantesi come “crisi di civiltà” perché
la crisi economica è parallela e associata a una grave crisi
ambientale-climatica e a una grave crisi politica e culturale, della
democrazia. Una vera e propria crisi di civiltà, come dice la Teologia della
Liberazione.
L'atmosfera culturale generale, almeno in Italia e in Europa, è da
“tramonto dell'occidente”, da pensiero negativo, da “decadenza”. Ma, benché le
sfide siano, per la civiltà umana planetaria, ultimative, vale sempre
l'analogia storica. La Restaurazione dopo la sconfitta di Napoleone sembrava la
“fine della storia” e l'Europa era alla mercé delle tremende e oscurantiste
forze reazionarie. Tuttavia poi venne il 1848 e la cosiddetta “Primavera dei
popoli”, venne un nuovo moto di emancipazione democratica, con nuovi soggetti e
nuovi protagonisti, in primo luogo il movimento operaio e i movimenti di
emancipazione socialista e comunista. Per i popoli colonizzati dei quattro
angoli del pianeta si profilavano una realtà e un orizzonte di schiavitù e di
rapina delle loro risorse. Eppure il vento dell'emancipazione dei popoli delle
periferie, dei movimenti di liberazione della nuova Primavera dei popoli,
soprattutto dopo la fine della seconda guerra mondiale, ha liberato l'umanità
da questo incubo. Il fascismo e il nazismo (e non dimentichiamo mai il feroce
fascismo giapponese, spesso reso opaco, se non occultato, per volere degli Usa)
sembravano aver cacciato l'Europa e l'umanità in un buio profondo e senza via
d'uscita. Eppure vennero la Resistenza e la Liberazione.
Così, in nome di questo colto, serio, rigoroso, impegnato storico
del secolo scorso, il monito rimane. “Verso più ampi orizzonti”, verso una
visione equilibrata, né ottimistica né pessimistica, delle possibilità storiche
e sociali, delle possibilità umane in senso lato. Per una nuova ondata di
civilizzazione umana, per una valorizzazione dell'etica e della politica.
Pertanto, eravamo partiti dalla questione della metodologia
storica, dalla storiografia e, grazie a Edward H. Carr, siamo approdati alla
questione decisiva della politica, del ruolo che possiamo svolgere come
protagonisti attivi e non come semplici spettatori nella nostra vita, nella
nostra società. What is history?, Sei lezioni sulla storia è
opera politica per eccellenza.