LA
STAMPELLA DEL POTERE
di
Franco Astengo
L'11
febbraio 1929, novant’anni or sono: Mussolini e il cardinal
Gasparri firmano il Concordato.
Gramsci
ha affrontato l’argomento “Concordato” nei “Quaderni del
Carcere” (Quaderno XXII § 11), prendendo spunto da un articolo del
Worwaerts nel merito del Concordato stipulato nello stesso anno tra
lo stato libero della Prussia e il Vaticano e analizza questi punti,
con riferimenti di carattere generale e più specifici rispetto al
Concordato stipulato dallo Stato Italiano qualche mese
antecedentemente a quello prussiano.
Gramsci
nell’occasione affrontava questi argomenti:
1)L’innovazione
avvenuta nel 1918 nel diritto italiano con la ripresa del
finanziamento da parte dello Stato dell’insegnamento cattolico;
2)La
capitolazione dello stato moderno che si verifica attraverso i
concordati: I concordati intaccano in modo essenziale il carattere di
autonomia della sovranità dello Stato moderno;
3)Il
significato che il concordato assume di riconoscimento pubblico a una
casta di cittadini dello stesso Stato di determinati privilegi
politici;
4)La
divisione
del lavoro che
si cerca di stabilire tra la casta creata dal Concordato e gli
intellettuali laici: alla prima viene lasciata la formazione
intellettuale e morale dei giovanissimi (scuole elementari e medie),
agli altri lo sviluppo ulteriore dei giovani nell’Università;
5)Il
profilarsi di un allargamento della base di scelta delle «vocazioni»
attraverso la creazione di sedi “proprie”: l’Università del
Sacro Cuore e il centro neoscolastico rappresentavano per Gramsci le
prime cellule di questo lavoro. Gramsci valuta come sintomatico,
sotto questo aspetto, il Congresso filosofico del 1929: vi si
scontrarono idealisti attuali e neoscolastici e questi parteciparono
al Congresso animati da spirito battagliero di conquista.
6)La
valutazione circa le possibilità finanziarie del centro vaticano.
Quale
può essere giudicata la valutazione fondamentale espressa da Gramsci
in quel momento nel merito del Concordato e del suo significato
profondo di chiusura della “questione romana” per opera del
governo fascista?
Prima
di tutto da richiamare il giudizio che viene espresso sul rapporto
tra Stato e Chiesa rispetto al potere: “Lo Stato tiene (e
in questo caso occorrerebbe dire meglio il governo) che la Chiesa non
intralci l’esercizio del potere, ma anzi lo favorisca e lo
sostenga, così come una stampella sostiene un invalido”.
In
secondo luogo da porre in evidenza quello che può essere considerato
come un passaggio-chiave: quello riguardante l’istruzione cattolica
considerato come dell’assunzione del significato riguardante il
riconoscimento pubblico a una casta di cittadini dello stesso Stato
di determinati privilegi politici :al riguardo dei quali poi Gramsci
si sofferma soprattutto sulla facoltà per questa casta di educare a
proprio modo una parte di cittadini, in forma separata dalla normale
educazione statale: ed è questo che può essere considerato il vero
effetto “storico” del Concordato sulla società italiana che avrà
un grande effetto nel futuro nella costruzione delle classi
dirigenti.
Scrive
Gramsci: “Ma
anche nel mondo moderno, cosa significa praticamente la situazione
creata in uno Stato dalle stipulazioni concordatarie? Significa il
riconoscimento pubblico a una casta di cittadini dello stesso Stato
di determinati privilegi politici. La forma non è più quella
medioevale, ma la sostanza è la stessa. Nello sviluppo della storia
moderna, quella casta aveva visto attaccato e distrutto un monopolio
di funzione sociale che spiegava e giustificava la sua esistenza, il
monopolio della cultura e dell’educazione. Il concordato riconosce
nuovamente questo monopolio, sia pure attenuato e controllato, poiché
assicura alla casta posizioni e condizioni preliminari che, con le
sole sue forze, con l’intrinseca adesione della sua concezione del
mondo alla realtà effettuale, non potrebbe mantenere e avere.”
Il
fascismo supera così l’elemento di uguaglianza nella laicità che
pure aveva caratterizzato il liberalismo nel Risorgimento e nella
fase successiva.
Gramsci
affronta, infine, il tema finanziario e scrive: “La
quistione finanziaria rende molto interessante il problema della così
detta indissolubilità tra Trattato e Concordato proclamata dal
pontefice. Ammesso che il papa si trovasse nella necessità di
ricorrere a questo mezzo politico di pressione sullo Stato, non si
porrebbe subito il problema della restituzione delle somme riscosse
(che sono legate appunto al Trattato e non al Concordato)? Ma esse
sono così ingenti ed è pensabile che saranno state spese in gran
parte nei primi anni, che la loro restituzione può ritenersi
praticamente impossibile. Nessuno Stato potrebbe fare un così gran
prestito al Pontefice per trarlo d’imbarazzo e tanto meno un
privato o una banca. La denuncia del Trattato scatenerebbe una tale
crisi nell’organizzazione pratica della Chiesa, che la solvibilità
di questa, sia pure a grande scadenza, sarebbe annientata. La
convenzione finanziaria annessa al Trattato deve essere pertanto
considerata come la parte essenziale del Trattato stesso, come la
garanzia di una quasi impossibilità di denuncia del Trattato,
prospettata per ragioni polemiche e di pressione politica.”
Fin
qui esposto per sommi capi il giudizio gramsciano sul concordato
considerato appunto, in quel momento, “stampella per il potere”. Ben
diverso il quadro che, nel merito, si presenterà nel dopo guerra
quando, all’interno di una Repubblica democratica che si stava
costituzionalizzando, si presenterà il nodo dell’inserire i Patti
Lateranensi nell’ordinamento dello Stato: il PCI deciderà per il
“sì”, anteponendo la propria “funzione nazionale” e la pace
religiosa (oltre ad un evidente calcolo politicista riguardante i
rapporti con la DC) al tipo di critica di fondo elaborata a suo tempo
da Gramsci. A questo punto ci sarebbe ancora di discutere sul divario
tra tattica e strategia ,se mai nella politica del PCI di allora,
quella del “partito nuovo”, questa contraddizione la si potesse
rilevare distintamente, ma questo discorso oggi ci porterebbe troppo
lontano.