Taccuino
LA CASA DEGLI OMENONI
di Angelo Gaccione
La Casa degli Omenoni |
Dopo il Duomo e la Galleria forse il palazzo più fotografato di
Milano e la Casa degli Omenoni. Tra l’altro, spazialmente è quasi contigua ad
entrambi: sbucando in Piazza della Scala, uscendo dalla Galleria e seguendo il
profilo dell’enorme palazzo della Banca Commerciale Italiana (ora sede
espositiva delle Gallerie d’Italia), appena superato il Palazzo Marino e
svoltando in via Case Rotte, dietro la chiesa di San Fedele, la “Casa” ve la
trovate lì, all’imbocco di via degli Omenoni n. 3. È una strana piccola via
questa degli Omenoni, costituita da appena due edifici che si fronteggiano e
contrassegnata da due soli numeri civici, il 3 e il 2. La “Casa” è al 3 e
spicca con i suoi 8 enormi telamoni disposti lungo la facciata. Gli otto
“omoni” ne fanno indubbiamente una facciata singolare e a questo deve il
successo dei tanti che la fotografano o vi si fanno fotografare. L’architettura
ci informa che il telamone ha una funzione di sostegno strutturale (lo si
adopera al posto della colonna o della lesena), ma può rivestire anche una
funzione decorativa. Qui è proprio questa la ragione che appare più evidente
nelle otto sculture realizzate da Antonio Abondio. Costruita nella seconda metà
del Cinquecento (1565), la data incisa sul frontone può depistare perché porta
1722. Può darsi che questa data si riferisca a dei rifacimenti posteriori, ad
uno dei passaggi di proprietà, o alla numerazione civica in vigore nei secoli
successivi. I riferimenti alla classicità nascono invece dall’amore che per
quella cultura ebbe il Cinquecento. La mitologia ci svela che Telamone era
figlio di Eaco e di Endeide e fratello di Peleo. Dalla voce contenuta nel Dizionario
di mitologia classica (Libreria Meravigli Editrice 1985) curato da
Paola Crescini, Luigi Della Peruta e dall’amico Franco Fava, scomparso
prematuramente, apprendiamo che Telamone si sposò almeno tre volte, che commise
un fratricidio e che come guerriero partecipò non solo alla spedizione degli
Argonauti, ma persino alla guerra di Troia. Proprietari ne furono Leone Leoni e
suo figlio Pompeo che oltre ad abitarla, ne fecero il loro laboratorio di
scultura e un luogo prestigioso, ospitandovi le loro preziose collezioni
d’arte. Un tempo anche il famoso Codice di Leonardo, ora custodito alla
Biblioteca Ambrosiana di piazza Pio XI, è transitato da questa abitazione.
Leone era stato nominato scultore ufficiale della Zecca di Milano, ma dalle
cronache non pare fosse stato uno stinco di santo, visto che la sua vita
avventurosa ed estrema gli procurò qualche assaggio ai remi delle galere
pontificie. Doveva avere un carattere alquanto “leonino” visto che leone lo era
nel nome e nel cognome (nomen omen), e che di leoni ne ha fatti inserire a
profusione sotto il cornicione. Persino una allegoria della Calunnia
sbranata dai leoni. Ad ogni modo, come ci informa il Vasari, Leoni “ha con molta spesa condotto di bellissima architettura un
casotto nella contrada de' Moroni, pieno in modo di capricciose invenzioni, che
non n’è forse un altro simile in tutto Milano”. E singolari e “capricciosi”
appaiono questi otto telamoni che non mi sazio mai di ammirare, ogni qual volta
percorro i cinquanta passi della via che immette nella settecentesca Piazza
Belgioioso. Piazza Belgioioso è un rettangolo formato dall’omonimo palazzo
realizzato dal Piermarini per il principe Alberico XII di Belgioioso, e dal
neoclassico Palazzo Besana che gli sta di fronte con le sue imponenti otto
colonne doriche, ora sede di una famosa banca. Tutta la zona è piena di grandi
banche.
La Calunnia sbranata dai leoni |
Nel palazzo Belgioioso ha sede quello che viene considerato il più
antico ristorante di Milano, il “Boeucc”, nato nel 1696. Frequentato dai
Carbonari nel 1848 durante i moti rivoluzionari, allora era una semplice
osteria popolare, una rivendita di vini. Oggi esibisce con una nota di
orgogliosa civetteria il suo elegantissimo blasone retrò. La Casa del Manzoni
(oggi Centro Studi dedicato al romanziere) fa da quinta verso il fondo e si
salva grazie al cotto dei suoi elementi decorativi, altrimenti sarebbe oppressa
dai due mastodontici palazzi. Sul fronte opposto il rettangolo è separato dalle
arcate che immettono in piazza Meda con i portici e i preziosi pavimenti e dove
troneggia il Disco, la scultura solare realizzata da Arnoldo Pomodoro
nel 1980. Purtroppo piazza Belgioioso non è fruibile: su un lato è transennata
da cippi e catene (la parte prospiciente di cui è proprietaria la banca) e non
ci si può sedere; si presenta solo come un luogo di transito con il traffico
che vi scorre nel mezzo. Come ho anticipato più sopra, la via degli Omenoni si
compone di due soli numeri civici. Il numero 2 è costituito da un unico palazzo
di stile in voga negli anni Trenta. Non sono riuscito a conoscerne il
realizzatore né parlando col portiere, né chiedendo ad una delle attuali inquiline;
lo stile è tuttavia identico a quello degli edifici vicini progettati da Pier
Giulio Magistretti, Piero Portaluppi, Giovanni Greppi, e tutti affacciati su
Piazza Meda.
Questa architettura col tempo è diventata molto più
dignitosa di come il dibattito sul fascismo ce l’aveva presentata, forse perché
la ricostruzione post-bellica dagli anni Cinquanta in poi non ha brillato né
per postulati teorici, né per resa inventiva, né per solidità. Banale e priva
di idee, e lasciamo pure da parte i dati speculativi e di offesa al territorio.
Quella nata durante gli anni del Regime (di devastazioni urbane il fascismo ne
ha fatte a iosa) almeno obbediva a una sua idea e a un suo delirio.
La galleria ha persino un tetto
ligneo; a me piace percorrerla così al coperto lungo la via Adalberto Catena
che costeggia la piazza Meda fino alla via Verri. In genere lo faccio per
giungere al numero 10 dove Pietro, il grande illuminista, aveva avuto casa.
Nessuna notizia all’ignaro passante ricorda che qui nacque “l’Accademia dei Pugni”
o la rivista “Il Caffè”, in compenso dei negozi di lusso di via Monte Napoleone
e dintorni, i turisti dello shopping internazionale sanno tutto.