Interventi di padre Espedito Dagostino, Fulvio Papi,
Carla Bianchi Iacono.
A conclusione delle giornate milanesi che hanno visto la dedica
del giardino di Largo Corsia dei Servi a padre David Maria Turoldo e dei
festeggiamenti che ne sono seguiti a San Carlo al Corso ad opera del “Comitato
di Odissea per Turoldo”, iniziamo la pubblicazione di una serie di interventi e
testimonianze sulla sua figura e sul suo operato.
Le foto sono di Fabiano Braccini.
Le foto sono di Fabiano Braccini.
TUROLDO E MILANO
Iscrivere
il nome di David Maria Turoldo nel cuore della “sua” Milano - può ben essere
considerato tale il sito di Largo Corsia dei Servi - è una iniziativa che
rievoca giustamente una presenza mai smentita o interrotta, una relazione coinvolgente,
di squisita qualità umana e di spessore “spirituale”, intendendo con tale
aggettivo non un’astrattezza o una superiorità, ma una discesa in campo di
elaborate risorse interiori e doti acquisite con passione. Questo luogo, legato
alla celebre “Corsia dei Servi”, evoca importanti “radici” della personalità
turoldiana, congiuntesi nel tempo con quelle del vecchio Friuli: la nobiltà
della povertà, poi divenuta “beatitudine” evangelica; quelle attinte dal
contatto con le ispirazioni fondamentali dell’Ordine dei Servi, come la
bellezza (la via pulchritudinis),
l’amicizia, l’armonia; e quelle acquisite attraverso la lotta per la libertà
nella Resistenza, e poi la sete di giustizia, l’amore per la pace, l’amore dei
poveri, il culto, potremmo definirlo, della povertà. L’arte oratoria infatti, o
la poesia e la cultura non hanno isolato padre David in uno spazio di immunità,
esentato dal coinvolgimento nella storia, nelle vicende di lotta in difesa dei
diritti, del lavoro, della qualità delle relazioni tra gli umani, in difesa
degli emarginati e degli sconfitti dal “sistema”, anzi scriverà anche di
“preghiera come lotta”! E soprattutto Milano per Turoldo costituisce un
riferimento continuo, un legame mai reciso, un amore mai tradito. La città,
spazio di incontro e confronto, la città laboriosa, intraprendente e
soccorrevole, generosa e rigorosa, città di impegno civile e di studio, città
custode e memore di un passato glorioso, su cui edificare il presente e
preparare il futuro...
In
uno dei «Salmi penitenziali per la Settimana santa del 1946» padre David
scrive:
Io non posso dimenticare
la città del mio
Sacerdozio,
l’amore che porto alle sue
strade
alle sue case abbattute...
E nella “sua” città
infine, proprio in Milano, la morte gli ha chiuso gli occhi il 6 febbraio 1992,
senza spegnerne tuttavia l’appassionata poesia e l’ardore della parola.
[Priorato di Fontanella,
Bergamo]
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Messaggio di Fulvio Papi
Un momento dell'inaugurazione del Giardino da sin. Fulvia Cimador del Fogolar Furlan in costume, la nipote di Turoldo Concetta, Gaccione, Quasimodo, Puma e altri amici |
È con profondo rammarico che vi informo di non essere in grado di partecipare personalmente alla manifestazione che ricorda la figura esemplare per tutti di padre Turoldo. Ma purtroppo le condizioni di salute non si possono scegliere.
Ringrazio
tutti gli organizzatori e i partecipanti. Ricordo padre Turoldo come
un’amicizia preziosa e lontana: la sua profonda fede religiosa invadeva con
amore, saggezza e donazione i confini della mondanità insegnando pietà,
impegno, libertà e giustizia.
Aggiungo
solo che dal suo insegnamento di vita oggi abbiamo bisogno come accadde in
altri tempi. È in questo spirito che mi considero tra di voi.
Fulvio Papi
[Milano, 10 giugno 2019]
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David Maria Turoldo
di Carla Bianchi Iacono
Carla Bianchi Iacono |
Milano
Auditorium San Carlo 25 giugno 2019
Nella
prima metà degli anni Cinquanta, con i nonni paterni, la mamma e i miei tre
fratelli più grandi andavamo la domenica in Duomo alla messa celebrata da David
Maria Turoldo, non sempre, ma in quelle domeniche libere dagli impegni che
prevedevano le “uscite con gli scout” Asci ed Agi, di cui tutti e quattro
facevamo parte. Ricordo la sua voce “tonante”, accompagnata dalla leggera
cadenza della lingua friulana che rendeva l'insieme così dolce e musicale e
nello stesso tempo persuasiva e pregnante.
Il
papà non c’era perché era stato fucilato nella strage del poligono di tiro del
Cibeno, vicino al campo di concentramento di Fossoli, il 12 luglio 1944. Furono
scelti 67 internati politici, fra i più rappresentativi della Resistenza del
Nord; fra quei 67 era inserito il suo nome.
Con
il passare degli anni ho capito perché i miei nonni avevano una vicinanza
ideale con padre David; era l'antifascismo e il conseguente impegno nel
combatterlo che David e Camillo De Piaz, suo confratello e amico sin dai banchi del
collegio, hanno vissuto pienamente nel periodo più cruciale della guerra, dopo
la caduta del fascismo e la successiva nascita della R.S.I.
La
Resistenza non si poteva non fare: era una necessità, la necessità di “non tradire più l'uomo”; Resistenza era la
scelta dell'umano contro il disumano, del bene contro il male, del giusto
contro l'ingiusto; ciò che valeva e che dovrebbe sempre valere, era da che
parte stare, se si è appunto dalla parte giusta; e che cosa c'è di più grande e
di più importante della necessità che assumere la dimensione di una scelta?
A
quei tempi era necessario portarla avanti con fedeltà, anche fino all'estremo
sacrificio. E proprio di quei giorni che Camillo De Piaz, David Turoldo ed
altri amici danno vita ad un foglio clandestino: “l'Uomo” in una stanza del
vecchio Convento di Santa Maria dei Servi in San Carlo, e il primo numero esce proprio
l'8 settembre del ’43.
Nel
bellissimo libro di Giuseppe Gozzini, Sulla frontiera padre Camillo
ricorda con sue parole:
“(...) l'8
settembre è stato un punto di riferimento carico di significati... quel
ritrovarsi innumerevole, molteplice, corale “di un volgo disperso” e
tradito, quel grandioso momento di verità e di identificazione nella sventura, nell'umiltà,
nel reciproco soccorso, nella misericordia, ma anche nella speranza di una
rinata, e per taluni nuova ed esaltante, volontà di resistenza e di
riscatto....”.
E
poi, l'incontro e l'amicizia basata su un'intesa intellettuale con Eugenio
Curiel, il giovane professore di Fisica, comunista, approdato a Milano per fondare il “Fronte della gioventù”, esperienza
breve ed intensa che ha segnato una stagione irripetibile e stupenda, come è
stata la Resistenza stessa in alcuni suoi aspetti: di incredibile altezza
morale e mai più ripetuta, ma anche di bassezze indicibili.
Il
Fronte della gioventù è stato prevalentemente fondato sull'unione di tutte le
componenti dei rinati partiti politici in particolare: “(...) l'unione
del popolo non si fa senza l'unione delle masse cattoliche... Sul terreno
dell'azione partigiana, come nella fabbrica e nel villaggio, il cattolico si è
incontrato forse per la prima volta con un comunista e nella fraternità degli
sforzi e della sofferenza comuni, sono cadute incomprensioni e diffidenze, si è
dissolto il fardello di menzogne accumulato dal fascismo...”.
È
uno degli ultimi scritti di Curiel pubblicato sul libro, già citato, di
Gozzini. Purtroppo le vicende del dopoguerra non hanno lasciato lo spazio ad un
approfondimento sulle vicende importanti avute dalla formazione unitaria del
“Fronte della gioventù” che è stato il primo atto tangibile del dialogo tra
i due grandi schieramenti politici della gioventù italiana.
Il
Campo di Fossoli era un secondo punto di riferimento della mia famiglia con
padre David. Nei primi anni del dopoguerra il Campo di Fossoli, ormai sgombrato
dei prigionieri e con le baracche vuote, viene occupato da don Zeno Saltini con
i suoi “piccoli apostoli”, orfani di guerra, abbandonati, senza mezzi per
sopravvivere; dentro il campo, dove erano ancora visibili i segni dell'orrore e
della deportazione nasce la futura Nomadelfia, “la città dell'amore fraterno”,
“dove la fratellanza è legge”, una “repubblica comunitaria” con una sua propria
costituzione che sancisce la comunione dei beni. Tutto ciò faceva storcere il
naso alle varie Curie e ai cattolici benpensanti, che non vedevano di buon
occhio l'impresa, perché molto vicina a una sorta di comunismo che all'epoca
non era ben visto dal mondo cattolico.
Nascono
problemi notevoli non solo per la conduzione economica di Nomadelfia, ma anche
perché i poteri costituiti a cominciare dalla D.C., con Scelba a capo, fino al
segretario del Sant'Ufficio, cercarono in tutti i modi di fermare l'impresa.
Alla
fine del 1949 Nomadelfia fa parlare la stampa e riscuote le simpatie di firme
importanti del giornalismo: Rusconi, Buzzati, Porzio, Benedetti.
Presso
la Corsia dei Servi nasce così il Comitato Fondi per Nomadelfia, di cui David e
Camillo ne sono i promotori e si prodigano con molto entusiasmo coinvolgendo alcune
famiglie della borghesia intellettuale milanese.
Fra
alti e bassi, fra processi e riduzione allo stato laicale di don Zeno,
Nomadelfia si trasferisce nelle due tenute sopra Grosseto regalate da una
discendente della famiglia Pirelli, per avviare un'attività agricola della comunità.
Ancora oggi Nomadelfia è laggiù.
Anche
per padre David, dopo il ciclone di Nomadelfia, non ci sarà più posto a Milano:
anzi neppure in Italia; non tornerà più nel Convento di san Carlo. E dopo aver
vagabondato per l'Italia e per il mondo, si ritira nell'Abbazia di sant'Egidio
di Sotto il Monte.
La
stessa sorte per padre Camillo; poco tempo dopo dovrà andar via da Milano,
ritornando nella sua terra d'origine, in quella terra di frontiera, a Madonna
di Tirano.
La
loro amicizia, iniziata sui banchi del collegio, durerà per tutta la vita, fino
alla morte, nonostante la lontananza di David. E subito dopo padre Camillo,
vincendo la timidezza che gli rendeva difficile parlare in pubblico, esce allo
scoperto. Organizza numerosi incontri in memoria di padre David, spinto soprattutto
dal desiderio di proteggerlo dalla schiera dei celebratori dell'ultima ora, e
dal rischio di farne “un innocuo santino”.
Nel
1985 all'Itis “Castelli” di Brescia Padre David tenne una conferenza sulla
“Lotta di liberazione in Italia” intitolata “Cari ragazzi la
resistenza non è finita”.
Ve
ne leggo un brevissimo pezzo, il finale: “(...) tra i morti della
resistenza vi erano seguaci di tutte le fedi, questa è cosa che dovreste
tramandare, voi! Ognuno aveva il suo Dio, ognuno aveva il suo credo, e
parlavano lingue diverse, e avevano pelle di diverso colore, eppure nella
libertà e nella dignità umana si sentivano fratelli. Volevano costruire un
mondo giusto, dove tutti gli uomini vivano del proprio lavoro, dove ogni uomo
conti veramente per “uno”. Ecco io vorrei che questo fosse il vero messaggio:
la Resistenza non è finita, è stata frutto di pochi precursori, che avevano
seminato durante un ventennio ma è stata anche una più vasta semente per
l'avvenire. E non dobbiamo scoraggiarci.