Puma, Longo, Di Mineo, Arzuffi, Natale.
A
Padre David Maria Turoldo
Anch’io
ho abbracciato la Croce,
nella
coscienza di abbracciare
prima
l’uomo e poi la fede,
perché
la fede è un incremento
della
bellezza di vivere.
Anch’io
ho scelto l’umano contro il disumano,
nella
coscienza di donare umanità alla terra,
perché
si può salvare l’universo
con
la capacità di incontrarsi, traducendo l’amore
di
Dio in esperienza di vita.
Anch’io
ho condiviso l’attesa coi barboni -visionari istintivi-,
sotto i portici della metropoli e attorniati da cartoni,
con
sbadigli di fame d’amore, nei tramonti di Milano.
Altra
vita!
Notti,
vissute da nessuno
con
occhi allegri e mani sporche.
Io
e gli altri senza dialogo, come nottate senza sogni,
che
aspettano che sia finita,
prendendo
la loro stessa fine per la fine dell’uomo.
Anch’io,
Padre Turoldo, ho subito una condanna
da
quelli senza nome, che mi hanno messo al tappeto.
Ma
mi sono rialzato, come ti sei rialzato tu,
perché
abbiamo riscattato la vita con la fede,
perché
nessuno può spostare una montagna
se
non se stessa.
Pippo
Puma
***
LA
MIETITREBBIATURA
Erano
mesi in cui, noi, si diventava tutti africani,
dacché
il rito
della
mietitrebbiatura si svolgeva,
dall’alba
al tramonto, a torso nudo.
(A
quei tempi, il corpo a corpo coi campi
s’ingaggiava
con la falce. Al cui tagliente
essi
cadevano in manipoli. Che
noi,
poi, la schiena sempre rotta
dall’angolo
retto del corpo, raccoglievamo
in
covoni. E, questi, in biche.
E,
spesso, neppur della sinistra le dita
risparmiate
venivano
dai
denti di quel tagliente. Per i quali,
pur
se ancor meno spesso,
falciare
il grano poteva essere, con nostro
grande
ribrezzo, anche mietere serpenti.
Si
trebbiava, menando in tondo,
noi
in piedi sul ceppo,
la
treccia per l’aia, e separando, infine,
paglia
e pula dal grano, con forca,
ventilabro,
e brezza di mare.
E
mentre
le biche
facevan
da palchi
a
raganelle e cicale
per
le loro estive esecuzioni orchestrali,
e
nella
paglia, di quelle già trebbiate,
a
guardia del grano, dormivano i cani,
ai
nostri sudori:
un
mare di stille
su
stoppie ed aiate,
s’abbeveravano
a frotte la notte i grilli).
E,
ogni anno,
noi,
poi,
si
doveva aspettare
l’inverno,
per tornare, con la pelle, di nuovo europei.
(Nicolino Longo)
DELICATEZZA
Il Dolore
Esige delicatezza
Chi lo conosce
Avverte
IMPARA
Il Dolore
Chi impara
A guardarlo
In faccia
Lo accoglie
CORPO
In luoghi irreali
Sospeso nel tempo
Infuso nella sua nudità
Riappare nell’infinito
Trionfo della polvere
IL MIO NOME È VOCE
Il mio nome è Voce
Per salvarmi
Rifiuto il silenzio
Chiedo tempo
Per lacrimare
Per aspettare
Per confidare
Mi commemoro da sola (o)
Prima di andare a morire
Annitta Di Mineo
In
memoria di Padre David Turoldo
(Scritto a Fontanella del Monte dopo un
incontro personale
sulla situazione politica
del momento con padre David
nella sua biblioteca)
Fino a quando?
Fino a quando dovremo aspettare
con l’angoscia nel cuore
e la morte negli occhi
e le mani artigliate
e le braccia protese
a rapire gli istanti futuri
perché i giorni che verranno
siano nostri e di tutti?
Fino a quando dovremo aspettare
perché il tetro presente diventi passato.
E il sangue versato sulle strade
si trasformi nel vago ricordo
di sogni di fiori purpurei.
E il rimbombo di esplosioni omicide
in echi di cori lontani?
Fino a quando dovremo aspettare
perché le ore anguste
non abbiano più
il sapore
di mandorle amare,
e il vento vendemmi
grida festose di bimbi
e il deserto dia pane
e le acque la vita
e la terra sia madre?
Forse là, dietro i nembi
del nero presente,
l’aurora?
O forse è qui
dentro il nostro presente
anche in ceppi e in catene
che seminiamo la vita
ed esplode il futuro.
Oliviero Arzuffi
Aprile 1976
Per padre Turoldo
Masso rimosso
sepolcro aperto
al cielo
Pasqua passaggio
dalla morte alla
vita:
vera
Liberazione.
Giuseppe Natale
Pasqua – 25
Aprile 2019