Considerazioni
storiche e conservative
di
Vittoria Orlandi Balzari
È calato il sipario sulla
mostra “Il meraviglioso mondo della natura” e sulla ricostruzione fisica
di quello che un tempo era lo spazio che conteneva originariamente le tele del
Grechetto, come storicamente chiamate, più correttamente le tele di Orfeo
circondato da una miriade di animali di ogni latitudine conosciuta nel
Diciassettesimo secolo, quando gli enormi dipinti furono realizzati. Domani,
forse, come tutti ci auguriamo, verrà rivelato dove saranno traslocate le
suddette tele in attesa del necessario e urgente restauro soprattutto per
consolidare la superficie pittorica che cade o si solleva in più punti. Ancora
più misteriosa sarà la destinazione finale delle tele, ma di questo l'assessore
Dal Corno ha assicurato che per sceglierla verrà istituita una commissione di
esperti di vari settori. Come studiosa da molti anni delle tele di Orfeo mi
sento in dovere di fare alcune considerazioni storiche e conservative, come ho
già accennato durante il dibattito pubblico avvenuto il 17 giugno scorso a
Palazzo Reale.
La
prima considerazione ci viene dal fatto che la famiglia Verri, acquistando il
Palazzo Lonati Visconti nel 1760 e di conseguenza anche gli apparati decorativi
definiti “amovibili”, si è resa conto sempre di più dell'importanza artistica
di quello che veniva informalmente chiamato “Salone dipinto”, tanto da
comparire nella prima edizione della Nuova Guida di Milano del Bianconi (1787). Un documento inedito, che ho mostrato
al pubblico in occasione del dibattito, dimostra come i Verri in pochi decenni siano
passati dal riconoscimento dei dipinti del Salone di Orfeo come opera d'arte e
non mera tappezzeria, alla consapevolezza che tale sala, pur di privativa
spettanza, avrebbe dovuto essere accessibile e visitabile a chiunque lo
desiderasse, quindi con un esplicito intento di rendere fruibile al pubblico un
bene privato proprio per la sua importanza artistica. Il documento in
questione, datato 1835 e firmato da Gabriele Verri, unico figlio maschio del
celebre Pietro, cita che dovrà essere permesso “a tutti quelli che bramassero
vedere le pitture nel Salone frà la Scala e l'Anticamera il potervi entrare ed
osservarle mediante avviso”.
Pare
che questo invito sia stato apprezzato soprattutto da artisti di ambito
storicistico e scapigliato come hanno dimostrato i dipinti di Leonardo Bazzaro,
Gioacchino Banfi e Francesco Colombi Borde che hanno ritratto il salone di casa
Verri e che mi hanno permesso di ricostruire con sicurezza tre delle quattro
pareti della Sala, lasciando il dubbio, ancora oggi irrisolto, della parete
finestrata (infatti quando nel 2013 gli informatici dell'università
dell'Insubria hanno ricreato virtualmente la sala suddetta secondo le mie
indicazioni, hanno lasciato invariata tale parete).
Sempre
in base a tale importanza, anche affettiva, l'ultima erede di casa Verri,
Carolina sposata ad Alessandro Sormani Andreani, quando si trovò a vendere il
Palazzo della sua famiglia, volle che venissero staccate le tele e sottratte al
compratore. Purtroppo le tele, oltre a questo primo stacco, hanno dovuto subire
un altro “trauma” conservativo per essere rimaste in un deposito di Palazzo
Sormani per trent'anni. Uno dei figli di Carolina Verri, oltre a voler
aggiungere al proprio cognome Sormani Andreani anche quello della madre,
altrimenti estinto, ha deciso di riesumare le tele e utilizzarle per decorare
l'unico salone del palazzo che avrebbe in qualche modo potuto contenerle,
purtroppo parzialmente. Infatti non solo le pareti erano un poco più corte
rispetto al Salone dipinto di Palazzo Verri ma era completamente diversa la
parete finestrata. Questa difficoltà oggettiva ha costretto allora l'architetto
Majnoni a creare una sorta di puzzle e i restauratori ad integrare le tele in
modo da dare un senso di omogeneità all'insieme. Grazie a questo intervento il
Salone del Grechetto, ormai così ribattezzato, ha mantenuto questo aspetto di
magica wunderkammer o, come amo definirla, di diorama pittorico, anche dopo lo
stacco (nuovamente e fortunatamente per evitare i disastri dei bombardamenti) e
la rimessa in loco nel dopoguerra (con l'aggiunta fastidiosa di listelli di
legno per fissare le tele tra loro togliendo il senso di unità che avevano prima
della guerra) e finalmente reso un bene pubblico come sala conferenze della
Biblioteca centrale comunale (nella quale è stato commutato Palazzo Sormani)
che da più di 50 anni ospita le più importanti iniziative culturali legate al
modo della scrittura e dell'editoria, ma anche dell'arte e della musica. Un
luogo amato dai cittadini, che tutti conoscono come Sala del Grechetto senza
bisogno nemmeno di cercare su google maps l'ubicazione.
Il
vero problema ora resta il restauro: come da me più volte dimostrato, la
rappresentazione delle tele è frutto di sovrapposizioni, dato che in più punti
traspaiono elementi incongruenti dai fondali (barchette tra le nuvole, o
pappagalli appollaiati nel cielo, o enormi pesci sott'acqua che destabilizzano
la prospettiva). Ciò significa che se il restauro non si limiterà alla giusta
ripulitura dallo sporco e al necessario consolidamento sia della superficie
pittorica sia del supporto ma sarà invasivo, sottraendo gli strati più
superficiali (ergo gli adattamenti compiuti nel 1907), il risultato sarà
talmente fuorviante da rendere impossibile la ricollocazione delle tele nel
salone di Palazzo Sormani.
Come
studiosa potrei essere felice di una simile operazione (già ampiamente
adoperata per il Cenacolo di Leonardo) perché potrei vedere finalmente il
primitivo aspetto del ciclo di Orfeo come lo vollero i committenti, la famiglia
Visconti di Carbonara, e, nell'ipotesi di un nuovo allestimento, godere della
spazialità ricostruita. Ma da cittadina e da storica dell'arte sono convinta
che la strumentazione tecnologica di indagine che hanno a disposizione gli
esperti di restauro odierni può egregiamente permettere di conoscere i vari
interventi che si sono sovrapposti nel tempo senza minimamente intaccare
l'aspetto attuale (come è stato fatto negli ultimi anni per i quadri di
Caravaggio) e attraverso la realtà aumentata poter egualmente permettere ai
visitatori di palazzo Sormani di vedere le tele come erano in origine.
Inoltre
dei totem a touchscreen come già ci sono al Castello Sforzesco e una
fruibilità pubblica anche al di fuori degli eventi presentati nel salone
permetterebbero alla biblioteca Sormani di continuare ad usare come sempre tale
spazio per gli eventi in programma e permettere ai visitatori di accostarsi
sempre più spesso a questo bene pubblico che appartiene all'intera
cittadinanza.
Domani
ne sapremo di più.