di Guido Fogacci*
Venerdì 19 luglio 2019, come
avviene oramai da diversi anni, la Milano che non dimentica si è riunita in via
Benedetto Marcello davanti ai Giardini Falcone-Borsellino. Qui c'è una bella
magnolia, c'è la fotografia dei due magistrati, ci sono i nomi dei caduti della scorta incisi a futura memoria su un cippo. Sono intervenuti Lucilla Andreucci di
“Libera”, Nando dalla Chiesa, il procuratore aggiunto della Direzione
Distrettuale Antimafia Alessandra Dolci, Michela Ledi, Angela Portosi, Rosy
Tallarita, il sindaco di Milano Sala, il maestro Raffaele Kohler (che ha
riempito i momenti musicali alla tromba) e Guido Fogacci che ha coordinato il
tutto e ha letto il documento introduttivo che ospitiamo.
Oggi commemoriamo le vittime della strage di via
D’Amelio, che segue di soli 56 giorni quella di Capaci dove, il 23 maggio 1992,
vengono uccisi il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli
agenti della scorta Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani.
In questi minuti prima delle
16.58, quando suonerà la sirena, vi inviterei a ripercorrere alcuni fatti da
ricordare della vita di Paolo Borsellino nei giorni che precedettero la sua
morte. Fatti ancor più significativi alla luce delle sue dichiarazioni alla commissione
parlamentare antimafia, rese pubbliche nei giorni scorsi, in cui denunciava lo
stato di solitudine a abbandono nel quale i giudici di Palermo si trovavano a
lottare contro la mafia.
25 giugno 1992:
Paolo Borsellino, in un incontro pubblico, dichiara: “In questo momento, oltre
che un magistrato, sono un testimone e attendo di essere sentito sulla Strage
di Capaci dai colleghi di Caltanissetta”.
Borsellino non sarà mai
ascoltato come testimone.
28 giugno:
nell’aeroporto di Fiumicino, quasi per caso, Paolo Borsellino viene a sapere
che il suo capo Pietro Giammanco non l’ha avvisato che il tritolo per lui era
già arrivato in Sicilia.
Racconterà la vedova Agnese: “Paolo
perse le staffe, tanto da farsi male a una delle mani che, mi disse, batté violentemente
sul tavolo del procuratore”.
Fine giugno:
Paolo Borsellino piange davanti a due giovani pm, Massimo Russo e Alessandro
Camassa mentre dice a loro: “Un amico mi ha tradito”.
1° luglio:
Paolo Borsellino è a Roma, nella sede della Dia per interrogare, in tutta
segretezza, Gaspare Mutolo, ex boss che decide di pentirsi dopo la strage di
Capaci e che si fida soltanto di lui. Durante l’interrogatorio viene chiamato
al Viminale per incontrare il neoministro dell’Interno Nicola Mancino nel
giorno dell’insediamento ufficiale.
Borsellino torna nella sede
della Dia sconvolto. Si accende due sigarette alla volta, dice a Gaspare Mutolo
di aver appena visto Bruno Contrada e si lamenta con alcuni agenti di un
progetto per favorire la dissociazione dei mafiosi. (Contrada subirà anche una
condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa).
Borsellino annota nella sua
agenda grigia “Ore 18.30 Parisi. Ore 19.30 Mancino”.
Mancino negherà per oltre
quindici anni di aver incontrato Borsellino quella sera dicendo “Non sapevo
nemmeno che faccia avesse, non l’avrei proprio riconosciuto”. Il ministro
dell’Interno Nicola Mancino, quindi, non conosce il volto del magistrato più
famoso d’Italia. Non riconosce il volto di colui che accompagnava la bara del
suo amico Giovanni Falcone durante i funerali trasmessi da tutte le
televisioni.
La magnolia del Giardino (Foto: Odissea) |
In quei giorni Borsellino
confida alla moglie: “Mi resta ancora poco tempo per vivere” e intensifica
furiosamente i ritmi di lavoro per le sue indagini solitarie sui retroscena
della strage di Capaci annotando tutto nella sua agenda rossa.
10 luglio:
Paolo Borsellino incontra a Roma il comandante del ROS Antonio Subranni. Il
collega Diego Cavaliero dirà che quel giorno Borsellino aveva “l’aria assente”.
13 luglio:
Paolo Borsellino confida a un agente della scorta: “Sono turbato per voi,
perché è arrivato il tritolo per me e non voglio coinvolgervi”.
15 luglio:
Paolo Borsellino sta male, dopo una giornata di intenso lavoro rientra a casa
in preda a conati di vomito e dice alla moglie Agnese: “Sto vedendo la mafia in
diretta. Mi hanno detto che Subranni è punciutu”, cioè affiliato a Cosa nostra.
16 luglio:
Paolo Borsellino interroga a Roma Gaspare Mutolo, che accetta di verbalizzare
le accuse a Bruno Contrada.
17 luglio:
Paolo Borsellino passa in Procura, chiude i verbali di Mutolo in cassaforte,
poi abbraccia a uno a uno i colleghi. Dinanzi alla loro meraviglia risponde
“Perché vi stupite? Non vi posso salutare?” Poi si confessa e fa la comunione.
18 luglio,
sabato: Ricorda Agnese: “Andai a fare una passeggiata con mio marito sul
lungomare di Carini, senza essere seguiti dalla scorta. Paolo mi disse: “Mi
ucciderà la mafia, ma solo quando altri glielo consentiranno”… Da settimane mi
diceva che “c’era un colloquio tra la mafia e parti infedeli dello Stato” e che
“aveva visto la mafia in diretta”, parlandomi di contiguità tra la mafia e
parti infedeli dello Stato.
19 luglio ‘92,
domenica. Paolo Borsellino è al mare con la famiglia a Villagrazia di Carini.
Dopo pranzo rientra a Palermo
per la consueta visita all’anziana madre, in via D’Amelio, mai transennata
nonostante i ripetuti allarmi di pericolo attentato. Alle 16.58, mentre preme
il citofono, una Fiat 126 imbottita di tritolo esplode. Insieme a lui muoiono
gli agenti della scorta Agostino Catalano (di 42 anni), Emanuela Loi (di 25
anni), Vincenzo Li Muli (di 22 anni), Walter Eddie Cosina (di 31 anni) e
Claudio Traina (di 27 anni). Paolo Borsellino aveva 52 anni.
Paolo Borsellino viene
assassinato dall’esplosivo mafioso e dal cinismo di un’Italia ignava che l’ha
visto morire senza far nulla.
Ma non fu solo ignavia,
purtroppo. Ora sappiamo che lo Stato trattò coi mafiosi. Nel processo sulla
trattativa Stato-mafia i giudici di primo grado (20.04.2018) hanno condannato, oltre ai mafiosi, anche gli ex
generali Antonio Subranni e Mario Mori e l’ex colonnello Giuseppe De Donno del
Ros dei Carabinieri a 12 anni e - sempre a 12 anni – l’ex senatore e fondatore
di Forza Italia Marcello Dell’Utri, peraltro già agli arresti perché condannato
a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa.
Le bombe del 1993 di Firenze
(5 morti), Milano (la strage di via Palestro, il 27 luglio del 93, 5 morti) e
Roma servono per intimorire ancor più l’interlocutore istituzionale, cioè la
controparte di un dialogo segreto e scellerato.
Mentre gli innocenti muoiono,
la latitanza del capo mafia Bernardo Provenzano continuerà per 43 anni.
Oggi, il boss Matteo Messina
Denaro è latitante da 26 anni.
Grazie.
*Scuola di Formazione Antonino Caponnetto
Note
Intervento liberamente tratto
dai seguenti libri:
Uomini soli di Attilio Bolzoni, Melampo editore
Il patto sporco di Nino Di Matteo e Saverio Lodato, Chiarelettere
Padrini fondatori di Marco Travaglio e Marco Lillo, Paper First