Taccuino
MONLUÈ
di Angelo
Gaccione
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L'abbazia di Monluè |
Ho sempre
immaginato che le abbazie disseminate lungo quelle ampie distese e quelle
pianure scarsamente abitate ricche di campi un tempo poco coltivati, con i loro
campanili in cotto svettanti verso il cielo, fungessero da veri e propri
segnali visivi, da mappe, da tracce di orientamento per viandanti e pellegrini.
In lontananza li si sarebbe potuti vedere ergersi da un terreno piatto come una
placida, immobile, distesa marina, e stagliarsi sullo sfondo azzurro estivo, o
schermati da un velo di nebbia ai primi umori autunnali. Proprio così mi sono
immaginato spesso la fuga da Milano di Renzo Tramaglino dopo l’assalto ai
forni, per sfuggire alla cattura e riparare in quel di Bergamo: una serie di
campanili di abbazie che lo hanno guidato, che lo hanno condotto. Ancora oggi
da Città Alta, dalla parte che guarda sul fondovalle, se la giornata e limpida
e sgombra, è possibile scorgere all’orizzonte il profilo dei grattacieli di
Milano, i suoi campanili, la sua “foresta” verticale. E così mi sono sempre
immaginato quella meraviglia che è l’abbazia di Chiaravalle con il suo
imponente campanile che emergendo improvviso dava conforto e rassicurava lo
sguardo al suo apparire. Così l’abbazia di Morimondo col suo minuscolo borgo
protetto tra le mura, così quella di Viboldone, così quella di San Lorenzo in Monluè,
dove non ero più stato da anni, e dove sono ritornato in un pomeriggio di
luglio vinto da un ineffabile, strano, malinconico, doloroso sentimento di
affetto.
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L'antico borgo |
Monluè,
detto Mons luparium, era stato per secoli un armonico, minuscolo, fertilissimo,
autosufficiente borgo agricolo fondato nel lontano 1267 da mercanti e religiosi
Umiliati, in quella parte di campagna che l’urbanizzazione selvaggia ha
successivamente inglobato, e poi schiacciato, tra un fianco della via Mecenate,
la Tangenziale Est, la via Fantoli che ha aperto un varco per raggiungere il
paesino di Linate costeggiando una dorsale della pista dell’Aeroporto Forlanini
e le acque inquinate del Lambro. Non lontano da qui, nel quartiere chiamato
appunto Ponte Lambro, c’è tuttora una Via degli Umiliati a ricordo della loro
presenza e della loro intraprendenza di frati agricoltori e mercanti, prima che
Carlo Borromeo secoli più tardi ne scioglierà l’ordine e ne incamererà i beni.
All’epoca il Lambro doveva essere limpido e le sue acque benedette per le varie
attività del borgo, fra cui la tessitura della lana ed il funzionamento del
mulino. Per fortuna la Seconda guerra mondiale lo ha risparmiato: gli
stabilimenti di produzione aeronautica della Caproni in zona, avrebbero potuto
far sorgere qualche malsano pensiero. Io questa zona ho potuto vederla ancora
nel suo pieno vigore, con le tante piccole industrie, la Montecatini, la Fabbri
editore e poi la Bompiani, la Sip, le case per i lavoratori. Nelle sere
d’estate non c’era ancora l’illuminazione lungo i campi che portavano a Monluè,
e per le coppiette di innamorati era una gioia. Non si sentiva parlare di
maniaci e di violentatori, e l’incoscienza giovanile e la baldanza facevano il
resto.
Io quel campanile così ardito l’ho amato subito, come le sue cascine disposte
a corte, il parco circostante, le casette a un solo piano con l’orto o un
piccolo giardino attorno, l’odore dello stallatico, alcuni vecchi mestieri che
resistevano, l’Antica Trattoria Monluè che risale al 1450, per me la più
romantica di Milano, assieme all’Antica Trattoria Bagutto che era quasi
attaccata all’ospedale “Le Quattro Marie” (ora Centro Cardiologico Monzino) col
suo enorme camino, fantastico d’inverno. E poi il pioppo secolare nel centro
della corte che gareggiava in verticale con il campanile di San Lorenzo, il
bell’edificio scolastico cinto di prati, le stradine che percorrevamo al sicuro
con biciclette improbabili. L’arrivo della Tangenziale ne ha decretato
l’agonia. Ha tagliato in mezzo il borgo, ha reso triste e disperato l’edificio
scolastico, ha lasciato l’abbazia come sospesa in un limbo, nascosta dalle barriere
in plexiglass anti-rumori che tuttavia continuano con il loro sottofondo
fastidioso e ossessivo, assalita com’è da un traffico inarrestabile e perenne,
oppressa dal rombo di auto, camion, tir, se già non bastasse quello minaccioso
degli aerei della vicina pista di Linate. E pensare che questo borgo con la sua
abbazia era simbolo di laboriosità e di raccoglimento; di meditazione e di
preghiera; di acque che fluivano quiete, di piante che stormivano, di suoni di
campane, di dolci cinguettii di volatili.
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La corte con le cascine |
Lo sviluppo ha cancellato tutto
questo, ha mortificato gli orti, fatto decadere le attività, disperso gli
abitanti. Non ci sono ora più di venti residenti, mi dice suor Gabriella, in
questo complesso rurale. Parti delle strutture, scuola compresa, sono occupate
da associazioni che si occupano di accoglienza per stranieri, di protezione per
richiedenti asilo. Per Salvatore, anziano pensionato di Acerra che si prende
cura di un ordinatissimo e lussureggiante orto e che mi ha regalato un cespo di
basilico, i residenti non arrivano a quindici. Ci vive dal 1974 e per lui qui è
come un angolo di paradiso. Decentrato com’è, dovete arrivarci per espressa
volontà: ora è più noto ai milanesi per l’Antica Trattoria e per le sue
prelibatezze culinarie, più che per l’abbazia. Chi viene da queste parti ci
viene per gli Studi Rai e televisivi, per gli show room degli stilisti, per i
locali alla moda. La via Mecenate è in parte sfigurata: i vecchi stabilimenti,
anche quelli bassi e dai tetti spioventi a mattoni che erano una preziosa
archeologia industriale, sono stati fatti alterare e sono divenuti
irriconoscibili.
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Il pioppo secolare al centro della corte |
Manomissioni ed azzardi si susseguono senza sosta. Da parte
sua l’abbazia è tenuta male; agli antichi fasti è subentrata un’aria dimessa e
di provvisorietà. Vi ho avvertito come una sinecura e ritornarvi mi ha fatto
male, me ne sono tornato più triste e più deluso. È un oltraggio alla memoria e
alla bellezza la marginalità a cui è stata ridotta e temo che ben poco venga
fatto anche dal circuito dei beni culturali. La lastra marmorea murata
all’interno con la scritta che rivela i restauri del tempio “dagli Umigliati
nel 1267 fatto sede della parrocchia nel 1584 alla prima forma
restituita… onde sia più augusto e caro…” suona come una beffa. Col tempo
le sue condizioni sono destinate a peggiorare, e se non si interverrà con
sollecitudine, la città tutta sarà responsabile di un tale disinvolto
abbandono. È immorale che noi posteri non sappiano preservare e custodire, i tesori
che le generazioni precedenti ci hanno così splendidamente consegnati.
ALBUM
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Foto 1 |
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Il campanile |
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La lapide interna all'abbazia |
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Particolare delle cascine |
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L'Antica Trattoria vista da fuori |
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Scorcio dell'Antica Trattoria |
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Grigliata alle Cascine Monluè |