INDUSTRIA DI GUERRA E
NUCLEARE
di Franco Astengo
Il deficit
della sinistra nella capacità di progettare una visione alternativa di società
e di modello di sviluppo sta misurandosi con una realtà molto difficile che l’attualità
ci pone di fronte ogni giorno. L’esito delle elezioni
USA ha portato in una situazione in cui l’effetto immediato sarà quello del rovesciamento
delle istituzioni sovranazionali compresa l’Unione Europea.
La condizione generale di
conflitto e di conseguente crisi energetica in relazione al modello di sviluppo
capitalistico impostosi negli ultimi anni sta portando a un disegno di
mutazioni già in atto: ad esempio guardando all’Italia Leonardo in joint
venture con il colosso Rheinmetall per la produzione di mezzi corazzati e l’attività
di Iveco Defense ma si coltiva anche l’idea di un piano segreto del governo per
riconvertire parte dell’industria automobilistica in industria bellica.
In
questo momento l’industria bellica appare essere quella dall’impatto più
positivo dal punto di vista del rendimento economico: uno studio del Senato
dimostrerebbe che per ogni euro di valore aggiunto creato dal settore Difesa,
si generano un euro e sessanta centesimi addizionali di valore aggiunto: il 71%
in più rispetto alla media nazionale. Tutto questo sistema però, almeno a
nostro giudizio, finirebbe con il convergere all’interno della filiera
produttiva tedesca per ragioni di materie prime, capacità tecnologica, know-how
complessivo.
Egualmente per quel che riguarda
il rilancio del nucleare definito di seconda generazione: in realtà rimangono
ferme tutte le ragioni “storiche” del rifiuto (in Italia suffragato anche da
due consultazioni referendarie), in primis il tema dell’allocazione delle
scorie e dell’intreccio inevitabile tra civile e militare. In ogni caso per
quel che riguarda l’Italia rispetto al tema nucleare rimarrebbe comunque una
difficoltà di approvvigionamento e di ritardo tecnologico. Il vero nodo di
questa situazione risale però alla difficoltà di espressione di un modello
alternativo a quello di un impianto industriale complessivamente orientato
verso la guerra, compresa l’evoluzione costante della tecnologia e dello
sviluppo scientifico come nel caso dell’utilizzo dell’AI.
Nasce da queste constatazioni la
proposta del “socialismo della finitudine” che si coglie l’occasione di
rilanciare in questa sede. “Socialismo della
finitudine” per ripartire dall’idea dell’impossibilità, rispetto a quello che
abbiamo pensato per un lungo periodo di tempo, di procedere sulla linea dello
sviluppo infinito inteso quale motore di una storia inesorabilmente lanciata
verso “le magnifiche sorti e progressive”. Il primo punto di un programma così
teoricamente impostato dovrebbe allora essere quello rappresentato dalla
progettazione e da una programmazione di un gigantesco spostamento di risorse
tale da modificare profondamente il meccanismo di accumulazione dominante
secondo i principi della programmazione democratica e una visione di “società
sobria” di forte tensione verso l’uguaglianza e fondata sull’intervento
pubblico in economia verso settori decisivi dell’industria, dell’ambiente, dei
trasporti, della scuola(la cui priorità di intervento dovrebbe essere quello di
affrontare il deficit cognitivo che assilla diversi settori sociali) della sanità.
Oggi il ritorno della guerra come prospettiva globale, il riferimento a
innovazioni tecnologiche in grado di mutare il quadro di riferimento sociale, l’emergere
di tensioni “dittatoriali” sconvolgono l’assetto consolidato in un momento in
cui si sta attraversando una forte difficoltà per quell’accelerazione nei
meccanismi di scambio che abbiamo definito come “globalizzazione” e di evidente
ripresa del nazionalismo. “Socialismo della finitudine” come elaborazione resa
al fine di realizzare un mutamento sociale posto nel senso del passaggio
dall’individualismo competitivo a una nuova realtà di responsabilità collettiva
per avanzare un disegno di mutamento nell’offerta politica.