SCAFFALI
di Gabriella Galzio
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Antonella Doria
Le Conversazioni di Antonella
Doria
Con quest’ultimo libro di poesia di
Antonella Doria: Conversazioni sull’Orizzonte, edito da Book
Editore (2023), siamo proiettati in un orizzonte letterario e artistico che
trascende la sua personale esperienza poetica, un orizzonte ricco di
riferimenti e figure di ispirazione di cui la sua poesia si è nutrita in un
dialogo fitto, immaginifico ed esistenziale. L’Autrice si richiama, infatti,
alle grandi del pensiero e della poesia, quali Anna Achmatova, Maria Zambrano,
Amelia Rosselli, Jolanda Insana, Gwyneth Lewis, insieme alle sue DonneLuna, con
la “materia madre” di Frida Kahlo o la voce struggente di Violeta Parra o la
prima fotografia rivoluzionaria di Tina Modotti; cui si affiancano anche alcune
voci di grandi come Pessoa, Mandel’stam, Dino Campana, van Gogh o poeti
italiani contemporanei come Lumelli o Pagliarani. Tanto per indicare
l’orizzonte letterario e artistico sul quale si affacciano le sue
conversazioni.
La poesia di Antonella Doria si irraggia fuori di sé come poesia civile di
fronte alla “cloaca del mondo” e al tempo stesso si accende di una luce intima
di ritorno a sé e di dialogo con le Ombre alla presenza della Luna (“La Luna lo
sa…”, “la luna m’è testimone”). E forse proprio questa intimità meditativa
rivolta a un Altro è sottesa al termine colloquiale “conversazioni” -
etimologicamente - quel trovarsi amichevolmente insieme, quel porgere
dialogante il suo lascito, la sua “lettera al mondo” sulle orme della Dickens.
E che Antonella Doria sia sempre stata in buona compagnia di autori
significativi è una caratteristica che l’accompagna sin da giovane età, autori
che sono stati le sue radici simboliche, a fronte di un’infanzia forse
sradicata. Vi è infatti il richiamo alla memoria di luoghi siciliani come
Lampedusa o Palermo, terra adorata dei vespri siciliani, o il Golfo
di Carini o la forza dell’aforisma di Buttitta, ma le conversazioni sono
plurali e sospese su un indefinito orizzonte, tali le voci della poesia mai del
tutto risolte o compiute, ma tese a una trascendenza immanente, come
testimoniano questi tre versi:
“Rimane la vita…rimane questo
sguardo d’attesa sull’orizzonte
questa compassione infinita… …”
![]() |
Antonella Doria |
I versi ci dicono, infatti, che figura
centrale di questo sguardo è la compassione, quella che tutto accoglie, anche
il dolore, e lo trasfigura in arte o preghiera. E questa compassione è presente
anche quando lo sguardo è rivolto a nord, a Milano, ai luoghi liguri come
Valdonica o Tellaro e, più su, al Musée d’Orsay di Parigi, al Van Gogh Museum
di Amsterdam, alla National Gallery di Londra, dove prevale uno sguardo
artistico e un dialogo intenso di fervore mistico con l’opera splendente di Vincent.
Lasciata alle spalle la magnifica trilogia di Millantanni, viene
spontaneo chiedersi quali siano gli elementi di continuità e quali invece di
novità di questo libro. Innanzitutto, sarà utile precisare che le poesie qui
raccolte coprono il periodo che va dal 2000 al 2021, e dunque almeno per un
tratto costeggiano Millantanni (le cui poesie coprono il
periodo che va dal 1995 al 2010), mentre altre, le più recenti, la
oltrepassano. Sono dunque poesie esuli da quel progetto, rimaste in attesa di
essere riconosciute in una nuova progettualità. Quale? Intanto va detto che in
questo libro, che pure prende avvio da note elegiache di chi sente che “affiora
a la fine dei giorni”, c’è tanto fuoco, soprattutto un fuoco mistico, l’ardore
erotico-mistico che permea il rapporto con la figura di Vincent van Gogh.
E poi c’è il fuoco incendiario in cui “Palermo brucia”, sprigionato da fatti veri, come raccontato dalla
stessa Autrice: i mafiosi, per recuperare terreni alla loro speculazione
edilizia, mandavano giù dai monti che circondano Palermo delle ruote di sterpi
e altro a cui avevano appiccato il fuoco; ruote che incendiavano tutto al loro
passaggio...
Inutile dire che la sezione dedicata a Palermo tocca un apice di poesia civile
risolta in chiave visionaria di grande intensità. Popolo e Storia sono i grandi
referenti di Doria attraverso le parole di Buttitta, ma “l’urto della
Storia”, ”la musica della Rivoluzione” sono affidati ad un
“Maternale” rivolto alle Madri e ad Anna Achmatova, che pronuncia per ben tre volte
(a inizio, a metà e a fine strofa) come fosse un mantra: ‘Tu che sai
dire… … Dillo’.
Più in generale, in termini stilistici, in questo libro tende a prevalere la
forma del poemetto per anafora a inizio strofa: “capita a volte, capita a
molti, capita sempre” oppure vedi la ripetizione “la Luna lo sa…la Luna lo
sa”…o ancora “Vincent… Vincent… Vincent…” e così via, nella necessità, forse
l’ossessione, di ribadire.
E tutto questo pur nella continuità del CorpoParola cui Doria ci ha abituato,
ovvero quella parola materica, pregna di corporeità, capace da sola di
stagliarsi sulla pagina e farsi mondo che ti pare di toccarlo. Emblematici
questi versi:
“Vincent
Tu conosci l’ossessione
del Poeta…questo amore
passione morbosa al
CorpoParola… … questo
Diamante in bocca
alla Tigre… …”
Così come vi è continuità con la
struttura del verso, anche graficamente franta, per la presenza di pause o
puntini di sospensione tra singole parole o sintagmi; laddove l’ultimo sintagma
del verso è spesso concatenato con il primo sintagma del verso successivo
tramite enjembement consentendo il fluire della versificazione, cosicché, nonostante la frantumazione, la strofa si tenga. E
infatti, Doria, è il Poema che cerca, comunque la dimensione poematica, “il PoemaInfinito”. Quello che ho definito ‘poemetto per anafora” è una
struttura formale che attraversa l’intero libro e che emerge con maggiore
compiutezza proprio nella sezione “Palermo Palermo”, dove si ha anafora del
primo e anche dell’ultimo verso, con un incedere cadenzato che fa pensare a
laiche litanie, compresa la numerologia magica del 9 musaico, tante sono le
strofe che compongono il poemetto (solo a titolo d’esempio, qui di seguito l’incipit e
il finale di due strofe):
“Poi…un mmare
/…/
Palermo…brucia!”
“Poi…la Città
/…/
Palermo…brucia!”
Tra gli elementi stilistici degni di nota
di “Palermo Palermo” si presti attenzione anche alla narratività visionaria che
si coniuga ora al passato remoto (Poi…vennero guerrieri di fuoco; Poi …vedemmo
falò), per poi intensificarsi nell’infinito presente (Poi…giungere
gente…fuggire…venire) che getta anche noi nell’infuriare della fuga, per
approdare infine al sonno della trance (“Questo in
sonno vissi”).
E a proposito del tanto dibattuto Io poetico, rispetto a Millantanni,
vi è una certa continuità di quella "estraneità narrativa"
dell'io che scompare nell'animazione del mondo. In Millantanni,
tuttavia, per un attimo questa estraneità viene meno, con un io che riappare in
primo piano forte e chiaro nel momento dell'impegno: "vedrai andrò/ scalza
su aspri sassi", e dunque con un io spirituale ed epico; mentre in Conversazioni
sull’Orizzonte assistiamo quasi a sorpresa - e qui mi riferisco al
poemetto dedicato a Van Gogh - alla presenza forte di un Tu, all’emergere
progressivo di un io, che si salda infine in un noi, in un abbraccio
erotico-mistico, e con una chiusa di sapore saffico.
E a proposito del tanto dibattuto Io poetico, rispetto a Millantanni,
vi è una certa continuità di quella "estraneità narrativa"
dell'io che scompare nell'animazione del mondo. In Millantanni,
tuttavia, per un attimo questa estraneità viene meno, con un io che riappare in
primo piano forte e chiaro nel momento dell'impegno: "vedrai andrò/ scalza
su aspri sassi", e dunque con un io spirituale ed epico; mentre in Conversazioni
sull’Orizzonte assistiamo quasi a sorpresa - e qui mi riferisco al
poemetto dedicato a Van Gogh - alla presenza forte di un Tu, all’emergere
progressivo di un io, che si salda infine in un noi, in un abbraccio
erotico-mistico, e con una chiusa di sapore saffico.
“Vincent
Tutto questo Oro
malìa dà alla mente
tua mia nostra la
follia trema nel giallo
/…/
e…l’oro di un Fuoco
mi assale” (p.41)
Nella III parte, forse la più
recente, l’Io poetico appare infine proiettato alla ricerca di una rinascita:
“in pagine mai scritte/ cerco un Poi/…/ mi risvegli a/ Vita Nova un
eros vero”. Già emerso in Millantanni, il richiamo dantesco ritorna
anche qui, anche se ora la ricerca di “una lingua arcaica forse/
[è] una forma di resistenza”, e l’eros è invocato perché ci “salvi da morte
certa”. Del resto i tempi sono incupiti, è “il tempo delle Belve”, e l’anafora
quasi ossessiva ”per certi versi” getta uno sguardo frantumato ai recenti
barbagli transumanisti – i robot per lenire la solitudine dei vecchi, gli
scommettitori di esistenze della Silicon Valley, la Specie senza antenne…
- e da questa stramata ”geografia interiore”, “per il poeta con le ali
tagliate” ci vuole coraggio a scrivere poesia: “il coraggio/ da
leoni fa Poesia spesso/ il salto della
quaglia è suo/ mestiere”; quest’ultima poesia, quasi una summa –
non a caso conclusiva dell’intera raccolta - è una dichiarazione di poetica in
versi che dice della “natura liricaonirica” dei versi di Doria di fronte alla
natura tragicomica della vita:
“Per certi versi … …
il coraggio
da leoni fa Poesia spesso
il salto della quaglia è suo
mestiere … gli attrezzi gli
strumenti volta a volta
comici o laconici vengono
a conclusione fruttano
frasi brevi spazi bianchi
per sua natura liricaonirica
altrimenti è una tragedia
un’esistenza comica … …”