di
Franco Astengo
L’anno
del trasformismo e non l’anno delle “Sardine”: questa la scelta (probabilmente
controcorrente) per definire questo 2019 che se ne sta andando. O
meglio la “miseria del trasformismo” se ci riferiamo alle tante piccinerie che
agitano oltre misura il sistema politico italiano: trasformismo inteso come
conservazione di grandi e piccole porzioni di potere.
I
riferimenti riguardanti l’esercizio del trasformismo in questo 2019 risultano
chiari ed evidenti:
1. Resta un esempio classico
il passaggio di governo avvenuto nei giorni tumultuosi (almeno a giudizio dei
media) del Ferragosto. Ancora una volta il trasformismo è rimasto lo strumento
“classico” a rappresentare quasi un punto identitario nel sistema politico
italiano. Beninteso, a partire dal connubio Cavour-Rattazzi realizzato nel
Parlamento Subalpino fino all’ultima operazione giallo-rosa del Conte 2 le
finalità del trasformismo di volta in volta d’occasione, possono anche
risultare nobili e utili a sventare pericoli maggiori. Resta però il dato
costante della manovra di palazzo che finisce oggettivamente a indebolire la
credibilità del sistema soprattutto nel livello di giudizio generale circa la
coerenza del ceto politico alimentando sempre e comunque il qualunquismo, altro
male storico della società italiana a partire dalle sue classi dirigenti (il
gramsciano “sovversivismo delle classi dirigenti”);
2.Ancor più gravi, dal punto
di vista dell’indebolimento del sistema, le molteplicità di scissioni che hanno
caratterizzato questo 2019 sotto l’aspetto della vita parlamentare: scissioni
che, in alcuni casi, si sono nuovamente avventurate sul terreno dell’impropria
esaltazione di concetti personalistici seguendo modelli, tra l’altro,
abbastanza tramontati nella visione dell’opinione pubblica;
3.Si può sicuramente
giudicare come un’operazione trasformistica di rilevanti dimensioni il
mutamento di finalità e di denominazione della Lega passata dalla posizione
separatista a quella nazionalista con vocazione sovranista. Data la necessità
di ridurre la vecchia Lega Nord a una sorta di “bad company” attraverso la
quale far finta di saldare i debiti accumulati con una precedente sciagurata
gestione (del resto anche reiterata nel passato più recente) il passaggio al
nazionalismo appare quanto mai strumentale e opportunistico al punto tale da
consentirci di definire - appunto - l’intera operazione come trasformismo di
basso profilo.
Tutti
ricordano le tante scissioni del passato, a sinistra come a destra, ma non può
non essere segnalato l’abbassamento radicale nei diversi “oggetti del
contendere”.
Le
scissioni si verificano a livello parlamentare, senza alcuna verifica nel
territorio, sfruttando seggi parlamentari ottenuti soltanto attraverso
l’automatismo della posizione in lista.
Ci
troviamo ormai, in buona parte delle occasioni di questo tipo, nel pieno della
soddisfazione dell’ipertrofia dell’ego.
Un
sistema quello italiano all’interno del quale si notano profili bassi, ripicche
sterili, incapacità di visione.
Tutto
questo tramestio, fin qui descritto molto schematicamente, è oggettivamente
fattore di conservazione allontanando dalla possibilità di definire obiettivi
di cambiamento.
Servirebbe
definire un traguardo di livello “sistemico” (come quello che fu fissato
nell’Assemblea Costituente) andando oltre le differenze progettuali,
programmatiche e anche di visione personale: essere all’altezza del cambiamento
d’epoca che stiamo vivendo.
Limitandoci
al piccolo del sistema politico italiano (senza dimenticare il quadro europeo e
quello più ampio a dimensione planetaria) l’occasione da cogliere dovrebbe
essere quella di entrare davvero nella logica del cambiamento d’epoca rivedendo
schemi e modelli e soprattutto valutando come l’esercizio della politica oggi
sia ormai ridotto a mero esercizio comunicativo.
Il
ritorno dell’esercizio politico a fatto di cultura e pensiero potrebbe
rappresentare un traguardo di natura costituente attraverso cui ridefinire la
natura di una visione “accettata” della democrazia.
Dal
punto di vista di questo intervento la preoccupazione maggiore riguarda stato e
condizione della sinistra principiando, sotto quest’aspetto, dalla necessità di
coltivare e mantenere una “memoria storica”.
Il
compito che spetta alla sinistra oggi deve essere quello di tradurre la memoria
in una nuova identità per quanto possibile unificante rispetto alle divisioni
del passato.
Un’identità
da definire attraverso un’effettiva capacità di afferrare e affrontare la
complessità di contraddizioni che la modernità ci sta presentando.
Il nostro compito primario rimane quello di
un’offerta di alternativa concreta al dominio della miseria della logica di
scambio che adesso è contrabbandata come esercizio dell’agire politico.
L’alternativa
allo stato di cose presenti dovrebbe rappresentare il livello di elaborazione e
di proposta da raggiungere: un livello per il quale potrebbe ancora valere la
pena di impegnarci per recuperare visione di senso e dimensione di
partecipazione e di presenza.
Al
di sotto non si può andare e non è proprio il caso di arrenderci al mercantilismo
dell’oggi per l’oggi e all’idea dell’eterno presente.
Appare assente infine una seria valutazione di
quanto il trasformismo abbia pesato e stia incidendo sulla credibilità e sulla
solidità del sistema.
Un
sistema democratico la cui fragilità nel rapporto sociale dovrebbe
rappresentare la prima preoccupazione per tutti i soggetti politici.