di Franco Astengo
“Arriva il Germanicum, la proposta di legge elettorale su cui lavorerà la
commissione affari costituzionali della Camera. Prevede 391 seggi assegnati con
metodo proporzionale, una soglia di sbarramento del 5 per cento, con un
meccanismo che permette il diritto di tribuna. La proposta cancella i collegi
uninominali del Rosatellum e di quella legge utilizza i 63 collegi
proporzionali e le 28 circoscrizioni. La proposta è stata depositata dal
presidente della Commissione affari costituzionali, Giuseppe Brescia, dei
5Stelle. In base a questo testo, il partito che non supera il 5% nazionale, ma
ottiene il quoziente in 3 circoscrizioni in 2 Regioni, ottiene seggi (il
cosiddetto diritto di tribuna). Il tutto in 3 articoli per 10 pagine.”
Dei 400 seggi della futura Camera, 8 spetteranno ai deputati
eletti all’Estero (nelle circoscrizioni Estere con metodo proporzionale), un
seggio va all’eletto in Valle d’Aosta in un collegio uninominale.
I 63 collegi plurinominali del Rosatellum servivano per eleggere
386 deputati, quindi funzionano anche per la nuova Camera formato “mignon”.
Stesso metodo per assegnare i 200 seggi del nuovo Senato:
quattro vanno ai senatori eletti all’estero, uno alla Val d’Aosta e i restanti
195 sono distribuiti ai partiti che nel resto d’Italia superano il 5%.
Ancora da decidere se l’elezione avverrà su liste bloccate
oppure se ci sarà il ripristino del voto di preferenza.
Un “Germanicum” adattato
soprattutto dal punto di vista dell’assegnazione di un diritto di tribuna (in
Germania c’è il doppio voto proporzionale, maggioritario e il diritto di
tribuna vale per chi conquista almeno 3 collegi) e al quale non corrisponde
comunque un Senato delle Regioni e il meccanismo della “sfiducia costruttiva”
come nel modello tedesco.
Alcuni dati per poter
meglio valutare la scelta di questo tipo di proporzionale con sbarramento. Prima
di tutto deve essere ricordato come il sistema parlamentare sia stato
articolato, al tempo dei partiti strutturati, su 8 formazioni politiche poi
salite di numero quando sono entrate in scena le contraddizioni post-materialiste
con conseguente esigenza di nuovi livelli di rappresentanza come nel caso del
ritorno al cleavage “centro-periferia” interpretato a suo tempo dalla Lega
Lombarda e della frattura ambientalista (con la formazione delle Liste Verdi:
elezioni 1987; i federalisti, salvo le presenze dell’SVP e - saltuariamente -
del PSd’Az trovarono già presenza istituzionale nel 1983 con la Liga Veneta di
Tramarin).
Il numero delle forze in
parlamento è poi lievitato con il “Mattarellum” per via delle ragioni di necessità
di estensione delle coalizioni, le liste civetta, lo scorporo e quant’altro per
poi tornare più o meno al numero consueto anche se in presenza di molti
sottogruppi nel “misto”.
Deve essere ricordato
come la possibilità di formare gruppo alla Camera al di sotto della soglia
prevista dei 10 parlamentari fu consentita per la prima volta dalla Presidenza
Ingrao nel corso della VII legislatura in favore dei radicali (4 deputati) e del
gruppo DP-PdUP (6 deputati).
All’esito delle elezioni
del 2018 si ebbero 32.841.705 voti validi, il quorum al 5% si sarebbe collocato
alla cifra di 1.642.085 voti: soglia superata dalla Lega, Forza Italia, Movimento
5 stelle, PD con un complesso di 27.189.605 voti utili a eleggere
rappresentanza.
Sarebbero rimasti
esclusi 5.652.100 voti validi resi inutili per l’assegnazione di seggi: il
17,21% sul totale.
Per quel che riguarda il
diritto di tribuna a esso avrebbe avuto accesso soltanto Fratelli d’Italia (del
resto non lontano dalla soglia con1.429.550 suffragi) superando il 5% in tre
circoscrizioni (Friuli 5,31%, Lazio 8,90%, Lazio 2 6,63%) mentre LeU ha
superato il 5% soltanto in Basilicata con il 6,44%.
Per tentare un paragone
con il passato confrontiamoci allora con i risultati del 1976 (sempre riferiti
alla Camera dei Deputati): ci trovavamo allora al massimo della forza del
sistema dei partiti e in particolare dei 2 grandi partiti di massa divisi dalla
“conventio ad excludendum” (il “Bipartitismo imperfetto” di Giorgio Galli) e
della “prima volta” al voto per le elezioni politiche dei diciottenni (che
avevano già votato alle elezioni amministrative del 15 giugno 1975).
Il 20 giugno 1976 si
ebbero 36.705.878 voti validi su 40.426.658 di iscritte e iscritti nelle liste (90,79%).
Il quorum al 5% si
sarebbe quindi collocato a 1.835.293 (circa 200.000 voti in più rispetto al
2018.)
Adottando lo
sbarramento al 5% sarebbero entrati alla Camera soltanto 4 partiti, esattamente
come sarebbe avvenuto nel 2018 a conferma di una certa continuità nelle
dinamiche del sistema politico: DC 14.209.519; PCI 12.614.550; PSI 3.540.309 e
MSI 2.238. 339 per un totale di 32.602.717 (5 milioni di voti in più rispetto
al 2018, a dimostrazione di un secco calo nella partecipazione intervenuto
gradualmente nel frattempo): esclusi quindi 4.103.161 suffragi, circa 1.500.000
suffragi in meno rispetto al 2018.
In quel ormai
lontano 1976 nessuna formazione al di sotto del 5% avrebbe ottenuto il diritto
di tribuna: il PSDI, infatti, aveva superato la soglia del 5% soltanto in due
circoscrizioni (Cuneo - Alessandria - Asti e Udine - Gorizia - Belluno) e il
PRI in una soltanto (Bologna - Ferrara - Ravenna - Forlì).
Insomma lo
sbarramento al 5% tende a dimezzare la rappresentanza parlamentare
tradizionalmente presente in Italia in corrispondenza delle principali
sensibilità politico-culturali presenti nel Paese (la presenza istituzionale
delle più importanti sensibilità politico-culturali aveva ispirato la scelta
del proporzionale adottata dall’Assemblea Costituente e stesso criterio era
stato seguito nel ripristinare quella formula dopo il fallimento della legge
con premio di maggioranza nelle elezioni del 7 giugno 1953).
Da ricordare
ancora che la formula oggi in discussione si applicherebbe in vigenza della
riduzione del numero dei parlamentari: 400 deputati e 200 senatori.
Il tutto
salterebbe naturalmente in presenza di scioglimento delle Camere e di indizione
dei comizi. Si può affermare che lo sbarramento al 5% produrrebbe una secca riduzione
dei margini di presenza democratica senza peraltro garantire la governabilità:
del resto non è neppure certa la semplificazione dell’aula, si assisterà
probabilmente al fenomeno di alleanze interne alle liste più grandi per poi assistere
al determinarsi di mini-scissioni all’inizio o nel corso della legislatura con
la ripresa di autonomia dei soggetti confluiti per forza maggiore. Tutto ciò
avviene in un momento di grande fibrillazione dal punto di vista del quadro
istituzionale: modifica della formula elettorale, incertezza sulla possibilità
di svolgimento del referendum confermativo proprio attorno alla legge
costituzionale che fissa il numero dei parlamentari (pare ci siano defezioni
nei firmatari) e attesa per la pronuncia della Cassazione sull’ammissibilità
del referendum presentato dalla Lega per introdurre surrettiziamente il
maggioritario secco.
Ci sarà da stare
attenti e da mobilitarsi ancora una volta per la riaffermazione dell’impianto
di democrazia repubblicana previsto dalla Costituzione.