PARADISO S.P.A.
di
Angelo Gaccione
Paolo Maria Di Stefano |
Paradiso
S.p.A. Operazione annunzio, recita il titolo del nuovo libro di Paolo
Maria Di Stefano (Edizioni Tigulliana, pagg. 150 € 12,00), ed è un titolo
scopertamente chiaro. Del resto l’immagine di copertina non ammette dubbi di
sorta: il bellissimo e delicato dipinto di Guido di Pietro (il fra’ Giovanni da
Fiesole a tutti noto come Beato Angelico) non potrebbe essere più rivelatore:
si tratta dell’Annunciazione. La rivelazione dell’arcangelo Gabriele a
Maria della prossima maternità. Mi ha sempre stupito questa scena pittorica
allestita dal Beato, per la sua serena compostezza. Tutto avviene nella più
assoluta e familiare tranquillità, come se Maria si aspettasse la visita
dell’angelo alato e non ci fosse per lei alcuna sorpresa. Del resto l’ambiente
in cui il Beato la rappresenta non è per nulla dimesso e domestico, anzi. Il
colonnato ad archi a tutto sesto che delimita il cuore della scena è un
ambiente sontuoso, come i vestiti di Maria che siede su una specie di trono
dorato, e ha già l’aureola della santa. Tutto il contrario dell’Annunciazione
di Lorenzo Lotto che ero andato a vedere a Recanati. Il Lotto ce la
presenta spaventata e in fuga e con il povero gatto terrorizzato. E come
potrebbe essere altrimenti quando ti si fionda in casa un angelo esaltato e
nerboruto, e un vecchio barbuto - la cui figura emerge a metà da una nuvola -
ti indica minacciosa a braccio steso? Per la verità neppure Lotto cede alla
tentazione di cogliere la Vergine in un ambiente socialmente opulento. La donna
non ricama, legge; i suoi panni sono eleganti e costosi, la casa non è certo
quella della moglie di un falegname povero e male in arnese. Ma tant’è.
Il sottotitolo del libro di Di Stefano, coerente con quel Paradiso
S.p.A è: “Cronaca di un successo”. Tuttavia a giudicare dalle ultime
battute della “cronica” che chiudono il libro, forse sarebbe stato più coerente
sottotitolare “Cronaca di un insuccesso”. L’annuncio dell’arcangelo è
aulico: il frutto del suo ventre è benedetto perché la grazia del Signore è
entrata in lei: dunque la gloria a Dio nell’alto dei cieli è garantita; ma dove
reperire sulla terra uomini di buona volontà? E soprattutto quale pace in un
mondo che sin dal suo sorgere non ha visto e praticato che la guerra? Guerra
per guadagnarsi col sudore e la fatica la sopravvivenza; guerra per contendersi
il possesso dei beni naturali; guerra per il trono, guerra per l’altare, guerra
contro le altre creature del creato; guerra di fazioni, guerra contro i diversi
di pelle, di pensiero, di fede, di classi. Nel mondo e nella storia non c’è che
una sola costante; ed è una costante assoluta, perentoria, diffusa, pertinace: la
guerra. È lo stesso Di Stefano a riconoscere, seppure con una punta di ironia
che “(…) la produzione di uomini di buona volontà era in ritardo: il
solo punto debole della pianificazione celeste”. Il solo punto
debole, ma maledettamente invalidante l’intera pianificazione, l’intero
progetto della S.p.A. Celeste.
La copertina del libro |
L’operazione di marketing minuziosamente preparata, la
pianificazione rigorosa voluta nelle Alte sfere di cui il Presidente Uno e
Trino si fa garante presso i suoi collaboratori per il buon nome della Holding,
della Casa Madre, è organizzata in dettaglio. Tutto deve funzionare alla
perfezione e ciascuno deve muoversi all’unisono. Il progetto è di quelli da far
tremare i polsi: nientemeno che redimere il genere umano. Preparare l’avvento
sulla terra del figlio di Dio, farlo nascere da ventre di donna, e quel che è
peggio da una donna sposata, moglie di un umile falegname ebreo taciturno, ma
pacifico fino a un certo punto. Perché alla fine della fiera le corna sono
corna, e il pettegolezzo della comunità non è cosa da mandar giù come fosse un
bicchier d’acqua. Un progetto che necessita di un’organizzazione ferrea ed
efficiente, preparato con una campagna pubblicitaria all’altezza: all’altezza
in tutti i sensi, ovviamente. Bisogna mettere in moto le risorse più creative;
allertare i pubblicitari più persuasivi: si è o non si è un’impresa?
L’intrapresa e il suo prodotto necessitano di uno slogan che deve mirare con
efficacia e sintesi alla mente e al cuore. Lo slogan, come efficacemente scrive
Di Stefano, che di comunicazione di impresa è stato artefice in grandi Gruppi e
se ne intende, “è il cuore stesso della comunicazione”; parafrasando
McLuhan potremmo aggiungere che lo slogan è il prodotto stesso, l’incarnazione
del prodotto e della merce. Un’incarnazione materialistica, ma pur sempre
incarnazione. Non è più vera ai tempi nostri l’idea di Vittorini che è il
lavoro a giudicare il mondo; a giudicare il mondo è lo slogan, la pubblicità
ossessiva e pervasiva, e ne determina persino il comportamento, il modo di
pensare. E a questo dettato si attiene con rigore la pletora di pubblicitari, l’amministratore
delegato, il corpo delle risorse della burocrazia celeste. I briefing, come
avviene in tutte le riunioni di questo e dell’Altro Mondo, mettono in moto
psicologie e rivelano personalità. Ve ne sono di ridicole, di banali, di
esaltate, di autoritarie, di dotate di smodata autostima, di logorroiche; ma non
mancano i balbuzienti, i bislacchi, i compiacenti, i ruffiani e così via, come
dappertutto. Per stringere (perché il piccolo libro di Di Stefano si
interroga su troppi aspetti seri del Grande Libro sottoponendoli
ad una lettura ironica - che deve aver divertito non poco il suo estensore -,
ma anche a dati, vicende storiche e comportamenti dell’agire umano sulla terra
su cui sarebbe lungo soffermarci), la campagna pubblicitaria funziona e alla
fine lo slogan sarà pronto in tutta la sua efficacia. L’arcangelo può portare a
termine con successo la sua missione (l’annunzio), con soddisfazione generale.
Rimane però quel difetto: gli uomini di buona volontà e di pace non sono
riusciti bene. In fondo erano stati impastati di fango: una materia non proprio
spirituale.
Libro godibilissimo, letterariamente ben orchestrato e condito con la consueta ironia a cui da tempo, Paolo Maria Di Stefano, ha abituato i suoi lettori.
Libro godibilissimo, letterariamente ben orchestrato e condito con la consueta ironia a cui da tempo, Paolo Maria Di Stefano, ha abituato i suoi lettori.