“LA NOSTRA CASA È IN FIAMME”
di
Carla Maria Baroni
Pubblichiamo
l’ottimo intervento che la nostra amica e collaboratrice Carla Maria Baroni ha fatto
alla Biblioteca “Chiesa Rossa” di Milano lo scorso 19 dicembre 2019.
La
nostra casa è in fiamme: titolo incisivo, potente, quanto mai veritiero. Incendi
devastanti in Amazzonia, California, Svezia, Italia, Siberia, Congo, Indonesia,
Australia. La casa comune di tutti gli esseri viventi, come la definì papa
Bergoglio nella sua enciclica Laudato sì, per un verso brucia e dove non brucia
si allaga: si restringono e rischiano di essere sommerse dal mare non solo le
isole del Pacifico e dell’oceano Indiano e buona parte del Bangladesh, ma anche Venezia, Londra e New York: la città
più bella e caratteristica del mondo, la capitale imperiale dei secoli passati
e la capitale imperiale attuale, anche se la sua supremazia economico/politica
è contesa da Pechino.
Penso
allora a terra, aria, acqua e fuoco, i quattro elementi costitutivi del mondo
secondo i fisici filosofi della Grecia classica, quando - non a caso - fisica e
filosofia erano la stessa disciplina - e constato che cosa ne hanno fatto gli
umani nel corso della storia e soprattutto dalla fine dell’800 a oggi: li hanno
resi soprattutto elementi di distruzione, malattia, morte. Ormai sono
praticamente tutti concordi nel dire che l’epoca geologica attuale è quella
dell’Antropocene, quella in cui i mutamenti indotti dalle attività umane sono
stati talmente rilevanti da incidere sugli aspetti fisici del globo; accenna a
questo termine anche Greta Thumberg nel suo libro. Ma questo termine non è
corretto: non l’umanità nel suo complesso, non tutti gli esseri umani del
pianeta sono responsabili della situazione attuale. Lo sono gli esseri umani
che via via, a partire dalla fine del 400, hanno costruito il capitalismo come
sistema economicopolitico di dominio sulla quasi totalità del genere umano e
sulla natura. L’attuale epoca è più correttamente definibile Capitalocene,
quella plasmata dal dominio capitalistico e dal suo modo di produzione.
Intanto
qualche parola sul librò in sé, scritto da una giovanissima donna e da sua
madre: è la storia di una famiglia che, di fronte a gravi difficoltà, non si
chiude in sé ma si apre a voler conoscere i pericoli che minacciano la vita nella
casa comune e a cercare le modalità di azione per farvi fronte, sostenendo la
straordinaria intraprendenza della figlia Greta. È una bella storia, di cui
voglio mettere in luce soprattutto un aspetto. Il padre, attore, sceglie di
rinunciare alla propria carriera per favorire quella della moglie, cantante
lirica molto famosa, e nello stesso tempo prendersi cura delle figlie con seri
problemi di salute. Un uomo che sceglie la cura al posto della competizione. Un
esempio che forse poteva venire solo da un Paese scandinavo, in cui la cultura
di genere è assai più avanzata rispetto al resto dell’Europa e anni luce
rispetto all’ Italia.
Desidero
segnalare anche il libretto Il clima siamo noi. Lettera a tutti, di
Anuna De Wever e Kyra Gantois, due giovani belghe emule di Greta che, molto
positivamente, si sono attivate nel gennaio 2019 a Bruxelles iniziando in poche
persone e velocemente moltiplicandosi.
Greta
Thumberg, iniziando da sola a volantinare davanti al Parlamento di Stoccolma,
ha coinvolto via via milioni di ragazze e ragazzi in tutto il mondo; è divenuta
un simbolo, ottenendo una mobilitazione che probabilmente nessun adulto sarebbe
stato capace di suscitare. Molti l’hanno attaccata, chiamandola ragazzetta,
mocciosetta senza alcuna credibilità, e simili; non solo un individuo
inqualificabile come il presidente del Brasile Bolsonaro, ma anche, ad es., un
urbanista che scrive su un’importante newsletter milanese di impronta
progressista. Non l’avrebbero fatto se si fosse trattato di un ragazzo. Hanno poi
detto e scritto: chissà chi la manovra, chi c’è dietro di lei, chi le dà i
soldi. C’è una ragazza comunque straordinaria, sostenuta da madre e padre
intelligenti e benestanti, in collegamento stretto con le università di Uppsala
e di Stoccolma per gli aspetti scientifici e, molto probabilmente, con qualche
gruppo o ente che le fornisce i soldi per i viaggi, forse anche la Polaris, la
sua casa editrice svedese. Questi attacchi sono un segnale in più che Greta
Thumberg ha colpito nel segno e che dà fastidio.
Questo,
purtroppo, non basta e l’abbiamo visto dal risultato fallimentare della Cop 25
a Madrid, dopo un anno di mobilitazione giovanile entusiasmante. L’efficacia
del movimento planetario Fridays For Future dipenderà moltissimo da quanto
saprà durare e il risultato complessivo dipenderà anche, se non soprattutto, da
quanti e quali altri soggetti (partiti, sindacati, associazioni ambientaliste)
si mobiliteranno nella stessa direzione e con la stessa determinazione.
I
movimenti al loro sorgere sono sempre entusiasmanti, ma poi? Ad es., che fine
ha fatto quella cosa splendida che è stato il movimento No Global nato a
Seattle nel 1999? E dove è finita la gran massa dei ventenni e delle ventenni
di allora? Perché i movimenti che vogliono cambiare il mondo si spengono a poco
a poco? Perché non pensano a entrare nei partiti, a rinvigorirli, a
rivitalizzarli con il loro slancio? Perché non si accorgono che la forma
partito, in quanto struttura organizzativa, è l’unica che consente di durare
nel tempo? E invece pare che siano i
partiti in quanto tali l’avversario da tenere lontano come la peste;
l’avversario da ignorare o a cui contrapporsi, a prescindere da ciò che i
singoli partiti propongono e fanno, a prescindere dal fatto che i partiti non
solo tutti uguali e che ci sono anche partiti anticapitalisti con idee
chiarissime sul che fare. C’è nei movimenti per un verso un bisogno di purezza,
di identità, di omogeneità e coesione interna, di sicurezza, e per l’altro
verso una sensazione di onnipotenza che appanna la loro forza e che -tragicamente
- appanna anche la realtà dell’enorme squilibrio esistente nei rapporti di
forza tra i soggetti in campo, i movimenti e i potentati economico/finanziari.
L’avversario non sono i partiti anticapitalisti o anche più genericamente quelli
di sinistra, pur con i loro limiti, ma il capitalismo.
Si
sente spesso dire: Il capitalismo è in crisi. Ma ciò che è in crisi è la
sopravvivenza della vita sul pianeta, sono le condizioni di vita - addirittura
tragiche - di decine di milioni di persone soprattutto in quello che chiamavamo
Terzo Mondo e le condizioni di vita sempre più precarie anche nei cosiddetti
Paesi ricchi, con disuguaglianze e violenze crescenti. Il capitalismo, invece, è
sempre dominante, anche perché è capace di rinnovarsi e rigenerarsi in
continuazione; il capitalismo si è giovato grandemente della fine
dell’esperienza dell’URSS, che faceva da sponda ai movimenti operai
dell’Occidente, e si è rivitalizzato, rafforzato ed esteso usando la cosiddetta
rivoluzione informatica e la finanziarizzazione dell’economia.
Una
cosa a mio parere deve essere chiara: l’azione più massiccia e urgente da
intraprendere - e da subito -, con le energie e con le lotte di tutti e tutte,
è quella per bloccare il riscaldamento climatico, per diminuire il consumo di
energia e soprattutto per sostituire le fonti fossili con fonti di energia
rinnovabili. Può essere utile anche la cosiddetta “green economy”, basata sulla
ricerca della maggior efficienza in tutti i campi nell’uso delle risorse in
generale e dell’energia in particolare, e può essere molto utile anche il fatto
che gruppi finanziari comincino a investire nelle fonti rinnovabili,
disinvestendo da quelle fossili, per accaparrarsi risparmiatori dotati di
sensibilità ambientale.
Ma
la soluzione degli attuali problemi riguardanti complessivamente territorio,
ambiente, salute potrà essere data solo dal superamento del sistema
capitalistico mediante la generalizzazione della lotta di classe. È emblematico
il caso dell’Ilva di Taranto e delle migliaia di Ilva in tutto il pianeta, che
seminano inquinamento e morte mentre producono profitto e merci, in parte
inutili e spesso dannose.
Il
capitalismo però è un sistema di dominio maschile, pensato e attuato da menti, corpi
e ormoni maschili. Le società delle origini, matriarcali e spesso nomadi, erano
società egualitarie, senza classi e senza alcuna oppressione di genere. E il
tragico paradosso è che l’evoluzione delle forme di società, anche con i loro
aspetti negativi, è stata avviata proprio da una conquista delle donne. Le
donne delle origini, meno impegnate nella caccia rispetto agli uomini in quanto
dedite alle attività di cura, prendendo spunto dalla vegetazione spontanea e
provando e riprovando a usarla e a riprodurla, hanno progressivamente dato vita
all’agricoltura. L’agricoltura ha consentito la formazione di surplus
alimentari e di persone che potevano dedicarsi ad altro rispetto al lavoro
manuale dei campi, e che si sono appropriate di questo surplus, costituendo
gruppi dominanti. La costituzione di questi gruppi dominanti ha sostanzialmente
coinciso con l’avvento del patriarcato.
Ora
è sotto gli occhi di tutti e di tutte che cosa è diventato il nostro comune
pianeta dopo millenni di patriarcato e secoli di capitalismo. È quanto mai
urgente immettere nel governo del mondo ai vari livelli i desideri e i valori
delle donne, le loro priorità, la loro forza, che va compiutamente risvegliata
e attivata. A questo proposito è anche utile far conoscere sempre più e meglio
l’apporto che alcune donne in particolare hanno dato alla cura della vita sul
pianeta, oltre ai milioni, ai miliardi di donne che nel tempo hanno coltivato e
continuano a coltivare la terra. Tuttora la maggior parte delle persone che nel
mondo coltivano la terra sono donne.
Inizio
con ELLEN SWALLOW RICHARDS, chimica statunitense, la prima donna che ottenne
una laurea al Massachusetts Institute of Technology di Boston nel 1873,
considerata fondatrice dell’ecologia e dell’ingegneria ambientale in quanto per
prima compì un lavoro d’indagine sulle risorse idriche del suo Stato, produsse
le prime tabelle di purezza dell’acqua e stabilì i primi standard di qualità
delle acque. Scrisse 15 libri, oltre ad articoli e relazioni, si occupò anche
della qualità dell’aria e della progettazione di edifici più sani e sicuri e
diede vita all’ “ecologia umana”, nuova disciplina composta da due branche
principali: l’educazione ambientale e l’educazione alimentare.
Proseguo
con RACHEL CARSON, biologa statunitense che nel 1962 pubblicò Primavera
silenziosa, un corposo saggio che per la prima volta si occupava degli
effetti dell’uso in agricoltura degli insetticidi chimici e delle altre
sostanze inquinanti e cancerogene: effetti letali sugli esseri umani, sugli animali
e sulle piante. A seguito di questo saggio, nel 1970 si ottenne la messa al
bando del DDT. I grandi gruppi chimici la definirono “isterica”, oltre che
esagerata… (la messa al bando del DDT non risolse il problema dei pesticidi: ne
furono inventati altri, perché il capitalismo è un mostro dalle mille teste
pensanti, e ancor oggi, ad esempio, stiamo lottando, anche qui a Milano, per la
messa al bando del glifosato).
CAROLYN
MERCHANT docente di storia, filosofia ed etica dell’ambiente all’Università della California a Berkeley,
con il suo La morte della natura. Donne, ecologia e rivoluzione
scientifica del 1980 contestò la visione meccanicistica e deterministica della natura
frutto del pensiero di Galilei, Newton e Cartesio, funzionale al capitalismo nascente.
La rivoluzione scientifica del XXVII secolo aveva infatti sostituito la
concezione della natura come organismo vivente con la natura come macchina,
come risorsa da conoscere per controllarla e per sfruttarla. Partendo dal
parallelismo officiato dal pensiero dominante tra la natura - vista come femmina e quindi
imprevedibile e da tenere sotto controllo - e la donna - vista come natura e
quindi come irrazionale, inaffidabile e comunque da controllare e utilizzare -
Merchant ripercorre criticamente la
storia del pensiero scientifico, contestando l’ideologia dell’oggettività e anche
mettendo in luce importanti figure femminili cancellate dalla storia ufficiale,
e percepite ai loro tempi come anomale e trasgressive. Propone quindi i valori necessari a ribaltare
i concetti di dominio e di sfruttamento per riattivare un rapporto organico e
collaborativo con la natura di cui, come esseri umani, facciamo parte.
GRO
HARLEM BRUNDTLAND, la prima ministra norvegese che presiedette e condusse in
porto la Commissione mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo, la quale redasse il
rapporto Il futuro di noi tutti, presentato all’Assemblea generale delle
Nazioni Unite nel 1987: rapporto assai ben documentato su tutte le minacce che
incombevano e incombono tuttora, in misura sempre maggiore, sulla sopravvivenza
del genere umano e dell’ambiente in cui vive, con le opportune raccomandazioni
per affrontarle.
LAURA
CONTI, medico, scienziata, scrittrice, comunista, analizzando la fuoriuscita
della diossina dall’Icmesa di Seveso nel 1976, fondò l’ambientalismo
scientifico in Italia. Nel 1980 fondò la Lega per l’Ambiente, l’attuale
Legambiente. Il suo libro fondamentale, Questo pianeta del 1980,
contesta le illusioni sulle illimitate capacità degli esseri umani di risolvere
i problemi ambientali con la tecnologia e le illusioni sulla illimitata
capacità della natura di rigenerarsi e si scaglia in particolare contro
l’agricoltura industrializzata. Con la sua frase/manifesto “vogliamo un
pianeta, non vogliamo una stella!” avvertiva che la permanenza della vita sulla
terra era in pericolo e proponeva quattro programmi non rinunciabili: la lotta
agli inquinamenti, il recupero e la stabilizzazione dei suoli, la difesa dei
patrimoni genetici, il programma energetico.
WANGARI
MAATHAI, keniana, biologa, attivissima alla Conferenza di Rio de Janeiro su
Ambiente e sviluppo nel 1972, per molti anni viceministra dell’Ambiente e
fondatrice del Green Belt Movement, che dal 1977 in poi ha piantato più di 45
milioni di alberi nel suo Paese. Scrisse vari libri e ricevette numerosi
riconoscimenti internazionali, tra cui, nel 2004, il Premio Nobel per la Pace
in base all’assunto che solo il ripristino e poi la cura dell’ambiente possono
garantire alle popolazioni del mondo una vita dignitosa per tutti e tutte e,
quindi, la pace. Non può mancare un accenno a VANDANA SHIVA, anche se è quella
oggi - qui da noi - maggiormente nota e tenuta in considerazione: fisica
quantistica ed economista, dirige il Centro per la Scienza, Tecnologia e
Politica delle risorse naturali di Dehra Dun in India. Ha scritto moltissimi
saggi di estrema importanza. considerata la teorica più nota di una nuova
scienza: l’ecologia sociale.
Ci
furono e ci sono tuttora moltissime altre: scienziate; dirigenti di
organizzazioni internazionali; attiviste, soprattutto in India ( la signora di
Narmada contro la diga sul fiume omonimo e le donne del movimento Cipki che
abbracciavano gli alberi per non farli tagliare) e nel Centro e nel Sud America
(a difesa della terra, delle foreste e delle acque, contro l’apertura di nuove miniere e contro la privatizzazione dei
sistemi idrici, talora assassinate a causa delle loro lotte per la vita di tutte
e tutti); le ecofemministe, da Francoise d’Eaubonne in poi (Il femminismo o
la morte, Parigi, 1974), secondo cui il patriarcato e il capitalismo
sfruttano il corpo e la vita delle donne così come l’ambiente e la Terra.
Concludo
con la constatazione che Angela Guidi Cingolani – la prima donna che prese la
parola nel 1946 in un’assemblea nazionale istituzionale in rappresentanza della
metà femminile del popolo italiano– rivolse ai colleghi uomini: “peggio di quel
che nel passato hanno saputo fare gli uomini, noi di certo non riusciremo mai a
fare!”