CROLLO DELLE
NASCITE
di Fulvio Papi
Lo so, come tutti, che la campagna governativa a
favore delle nascite ha spesso alla base questo ragionamento: siamo (ma per
quanto?) una società di vecchi, se non avremo una quantità sufficiente di
giovani che con il lavoro producono ricchezza, come si potranno pagare le
pensioni? Tuttavia è un argomento molto generico che dovrebbe essere studiato
tenendo conto di tutte le variabili possibili che, a cominciare dall’emigrazione,
non sono elementi trascurabili. Ha invece un carattere di evidenza il rapporto
tra robotizzazione della produzione e quantità necessaria di forza lavoro in
una nuova situazione produttiva. In generale si osserva che la robotizzazione della
produzione richiede pochi esperti, e rende inutile una quantità di forza
lavoro. Le conseguenze sono ovvie: aumento della disoccupazione, diminuzione
della possibilità di consumo, una sovrapproduzione quasi certo. E, in genere,
una sproporzione tra produzione di ipotetica ricchezza e bisogni sociali
collettivi, la cui soddisfazione potrebbe avvenire con una distribuzione
politica della ricchezza prodotta. Queste mi paiono più frasi letterarie che
ragionevoli previsioni. Sempre che i robot siano molto diligenti, e non càpiti
come in quel supermercato dove un robot nel calcolo ha creato il caos tra le
centinaia di persone che aspettavano la loro scelta, una situazione da film
comico, una specie di sviluppo di Tempi
moderni di Chaplin. Tuttavia questo del rapporto popolazione-produzione mi
pare un argomento di comprensibile retorica, ma non sufficiente per spiegare le
iniziative politiche per favorire un incremento delle nascite. Se non fosse
così sarebbe incomprensibile la situazione francese dove l’autorità politica
paga i pannolini, ma non l’acquisto delle opere di Racine, Flaubert, Proust, etc.
Credo che l’incremento delle nascite appartenga a una specie di prestigio
nazionale per cui non deve diminuire il numero di individui che sanno cantare
la Marsigliese. E qui, ad essere intriganti, quale “senso” della Marsigliese sarà
all’origine del canto? Il prestigio nazionale è pur sempre una variabile
storica, se pure lenta, ma inevitabile, e comunque affidabile ad altri simboli.
L’incremento delle nascite deve avere un suo correlato simbolico dal punto di
vista sociale. Poiché, come evento privato, ha il suo pieno senso nella felice
partecipazione dei genitori e prossimi parenti. Il problema attuale è dunque
tutto nella relazione tra l’apparire al mondo e aumentare il numero dei cittadini di quella
nazionalità come espressione materiale del suo prestigio. Pochi tuttavia
direbbero che esiste una dimensione simbolica che deriva dalla interpretazione
attuale della propria storia. Il generale De Gaulle, quando parlava di una
Europa delle patrie, aveva in mente proprio questo modello. Cerchiamo di farci
venire in mente tutti i cambiamenti storici che sono avvenuti negli ultimi
cinquant’anni, e anche quelli che, magari drammaticamente, saranno
prossimamente necessari. Ha ancora, o avrà ancora, un senso pieno la nostra
storia di Stati? O una nascita pubblicamente apparterrà già a un orizzonte
simbolico più ricco, o, comunque, differente. A testimoniarlo non ci vuole
molto, è sufficiente seguire le pubbliche trasformazioni del linguaggio che
derivano dalle mutazioni tecnologiche che sono state il mercato più attivo del
capitalismo contemporaneo in unione con la dittatura della Rete. Così più che
gli aiuti per l’incremento quantitativo delle nascite (che fa piccole gioie di
consumo politico) vedrei volentieri una rigorosa attenzione al valore simbolico
(qualitativo) di una nascita nel nostro mondo contemporaneo, dove è difficile
avere una identità che non venga imposta dalle leggi invisibili del
mercato o da dimostrazioni turistiche
del territorio. So che non esistono per questo scopo, né i pannolini, né temo,
la sensibilità vera di un ceto politico dirigente.