I nostri fantasmi, la "post-verità" e la
compassione.
La questione
dell'immaginario nella società contemporanea
nella ricerca
di Attilio Mangano.
di Franco Toscani
La copertina del libro |
Alla fine degli anni Ottanta
Attilio Mangano accennava, in una intervista data ad Angelo Gaccione, alla
stagione politico-culturale di quel tempo che vedeva il ridimensionamento o il
riflusso della grande spinta e tensione dell'immaginario avviatasi nel '68 (si vedano le "risposte" di
Mangano in A. Gaccione (a cura di), La
crisi della ragione e le ragioni della crisi. Gli anni Ottanta fra caduta della
razionalità e incubo nucleare, Edizioni Nuove Scritture, Milano 1987, pp.
21-26).
Lo
scenario internazionale attuale non è certo confortante. Quali riflessioni
possiamo svolgere oggi, cercando di riprendere criticamente il discorso sui
"fantasmi" e sugli "spettri", sull'immaginario della
società contemporanea? Quali sono le paure e le speranze prevalenti
nell'immaginario contemporaneo?
Purtroppo
qui bisogna dire con chiarezza che - nella situazione internazionale odierna,
caratterizzata da crisi economica, persistenza di privilegi, ingiustizie e
diseguaglianze sociali enormi a livello planetario, strapotere delle oligarchie
economico-finanziarie, inquinamento globale e devastazione della terra,
terrorismo diffuso, venti di guerra, nazionalismi ovunque riemergenti, torsioni
populiste, autoritarie e xenofobe, vaneggiamenti autarchici, etc. - i
"fantasmi" che ci attraversano e riguardano profondamente sono per lo
più inquietanti e allarmanti.
Il
dominio odierno della ratio
strumentale-calcolante, dell'ideologia neo-liberistica/ capitalistica,
dell'efficientismo/funzionalismo che tutto controlla, manipola, misura e riduce
a quantità non sa che farsene dell'immaginario creativo, del pensiero critico,
delle libere soggettività e tende a operare una colonizzazione
dell'immaginario, a imporre un controllo totale attraverso un'incessante
trasformazione e innovazione tecnologica.
L'immaginario
prevalente, tutto avvolto nelle sue macchinazioni e irretito in ciò che Martin
Heidegger chiamerebbe il dominio del Gestell,
sembra aver perso la caratteristica vitale ed energetica di fresca
anticipazione/precorrimento del futuro e pare invece aver accentuato la
tendenza all'accettazione del cattivo esistente, all'appiattimento su chiusure
identitarie, al rifiuto di ogni apertura, confronto e accoglienza
dell'alterità.
Oggi
siamo ben lungi dal valorizzare la ricchezza delle differenze, anzi ci
riguardano molto di più la paura della diversità, il rifiuto dello straniero e
dell'incontro con l'altro. E' un immaginario paralizzante, regressivo e debilitante
quello oggi più diffuso, appiattito sull'esistente, catturato da fantasmi
nocivi, dalla brama di arricchimento e di potenza, subalterno agli interessi e
al comando dei gruppi dominanti, agli imperativi del Dio-mercato, del tutto
opposto all'immaginario energetico e vitale, generoso e aperto al novum, rivolto all'affermazione della
giustizia sociale e alla salvaguardia dei beni comuni, che caratterizzò - pur
attraverso non pochi errori, contraddizioni e ambiguità - la generazione e le
lotte del '68 e degli anni Settanta.
Nel
mondo in cui viviamo, per liberarci dall'illusione pericolosa dell'immodificabilità
del presente, sarebbero più che mai necessarie quella "utopia
concreta", quella nuova sinistra
e tensione in avanti dell'immaginario
sociale che con Mangano e tanti altri sognammo sin dagli anni Sessanta/Settanta
del XX secolo, ricordandoci però del monito
di Bronislaw Baczko a proposito delle utopie in quanto forme, fra le altre, di
immaginario sociale: "Lo storico delle utopie lascia di buon grado agli
utopisti stessi l'incombenza di immaginare il futuro dell'utopia; indovinarne
il passato è per lui una fatica sufficiente. Se tuttavia egli dovesse lanciare
un monito, egli riprenderebbe forse le parole di Berdjaev: le utopie sono oggi
più che mai realizzabili. Non nel senso che le fantasie dei romanzi utopici
possono diventare realtà, ma in un altro. Come tutti gli immaginari sociali, le
utopie sono oggi più che mai manipolabili,
principalmente mediante le moderne tecnologie di comunicazione, i poderosi
strumenti della propaganda, etc. La loro 'riuscita' storica può dunque venire,
oggi più che mai, fabbricata,
particolarmente dai poteri e dalle forze totalitarie che mirano a monopolizzare
e a sequestrare l'immaginazione sociale" (B. Baczko, voce "Utopia", trad. it. di C. De
Marchi, in Enciclopedia Einaudi, vol.
14, Einaudi, Torino 1981, p. 917).
Il
monito di Baczko rivolto (all'inizio degli anni Ottanta del XX secolo) a non
monopolizzare e a non sequestrare l'immaginazione sociale è ancora validissimo
oggi, nella nostra società sirenico-spettacolare e consumistica, che ha
certamente oltrepassato le vecchie forme di totalitarismo, ma che ha introdotto
nuove forme, più sofisticate, di colonizzazione dell'immaginario e pure nuove
forme di alienazione e di barbarie.
Nel
2016 l'Oxford Dictionary s'è
arricchito di un nuovo termine, "post-truth"
("post-verità") - a quanto
pare risultata "parola dell'anno" -, la cui fortuna attuale sta a
indicare innanzitutto il discredito in cui è caduta la verità, nonostante i
numerosi omaggi formali che le vengono tributati.
Attilio Mangano |
Troppo
rari sono ancora la dedizione, la cura e l'amore autentico per la verità in
un'epoca ricca di gaglioffaggine, opportunismo e cinismo. Oggi ciò che conta
non è infatti essere, non è dire o "fare" la verità, ma soltanto la
verosimiglianza, il fare in modo che qualcosa o qualcuno sembri vero, senza che lo sia propriamente. Ciò che importa è
dunque, innanzitutto e per lo più, apparire, mascherarsi, sembrare, calcolare,
fingere, adulare, sedurre, attrarre, mentire bene, manipolare, simulare,
persuadere, propagandare, illudere e illudersi. Registriamo così nella politica
e nella pubblicità odierne un grande revival
della retorica insegnata dalla
sofistica nell'antica Grecia.
Il
nostro è il tempo della "post-verità" e dello ψεῦδος, in cui la menzogna e tutto ciò che si sostituisce
alla o si spaccia per verità tendono a prendere il sopravvento.
E' ferma convinzione dello scrivente che
siamo già entrati nell'era della "post-verità", in cui la verità
umana essenziale è sempre più irrilevante e ciò che conta sono i fatti
interpretati arbitrariamente ad libitum,
è l'opinione, la forza massmediatica e politica di persuasione, la
manipolazione e l'orientamento dell'opinione pubblica e del consenso attraverso
performances oratorie televisive,
etc. .
E' quella che Remo Bodei ha chiamato la
"degradazione della verità a semplice opinione", noi potremmo anche
parlare dell'attuale predominanza massiccia della δόξα e dell'apparenza sull'ἀλήθεια. Sempre Bodei si chiede giustamente se - con
l'attuale fortuna della "post-verità"
- non siamo già entrati anche nell'era foriera di pericoli e di sventure della
"post-democrazia" (cfr. R. Bodei, Vivere
online. Riflessi politici dell'essere connessi virtualmente, "il
Mulino. Rivista bimestrale di cultura e di politica", n. 2, marzo-aprile
2017, Anno LXVI, n. 490, pp. 205-209).
Bodei
scrive infatti a questo proposito: "Occorre (...) chiedersi se la
democrazia esista ancora o non si viva già nell'età della post-democrazia, che
assume il volto del populismo, della smobilitazione e dell'infantilizzazione
delle masse, dell'autocrazia elettiva, del conformismo, della degradazione della
verità a semplice opinione e dell'inaridimento della facoltà di giudicare,
spesso paralizzata da paure diffuse ad arte. Con il loro tasso di insicurezza e
di complementare bisogno di rassicurazione e di protezione, tutti questi
fattori rendono gli individui meno razionali e creano uno stato d'animo di
allerta mista a rassegnazione.
Nei
meccanismi di protezione e garanzia dei cittadini qualcosa si è rotto: è come
se una caduta delle difese immunitarie avesse lasciato maggior spazio di
manovra alle potenze della seduzione, per cui le analisi, i ragionamenti e i
progetti si trasformano in storytelling,
in narrazioni che si sovrappongono alla realtà, la mascherano o, addirittura,
la sostituiscono" (R.
Bodei, Vivere online. Riflessi politici
dell'essere connessi virtualmente, cit., p. 209). Perciò,
fra le altre cose, oggi ci serve soprattutto tornare a valorizzare il pensiero
critico, ad amare la verità e - da un
punto di vista insieme etico, antropologico e politico - riscoprire e
valorizzare la compassione.
Recensendo
nel 2002 il bel libro di Saverio Caruso L'ospite
luminoso. Sulla compassione (2002), Attilio Mangano ravvisa nell'
"ospite luminoso della sociabilità umana un tratto umanissimo e di portata
universale", di cui rivendica la religiosità
laica, al di là di ogni interpretazione meramente pietistico-religiosa del
termine compassione (cfr. S. Caruso,
L'ospite luminoso. Sulla
compassione, Il Grandevetro/Jaca Book, Milano 2002 e A. Mangano, La com-passione o il sentimento
dell'essere-in-comune: perché è luminoso l'ospite?, "dalla parte del
torto", Anno V, n. 19, Parma, inverno 2002/2003, p. 9. Cfr. anche A.
Mangano, Un breviario laico?,
"dalla parte del torto", Anno V, n. 20, Parma, primavera 2003, p. 3).
Nel
libro di Caruso - purtroppo quasi completamente ignorato dalla cultura
ufficiale e dal "circo massmediatico" (come lo chiamerebbe Costanzo
Preve) - Mangano coglie "una rivisitazione accorta di come silenziosamente
la compassione emerga nella letteratura intera del secolo come ricerca di una
resistenza al male e capacità di ridare senso al mondo distrutto bestialmente
da guerre, inimicizie, odi, crudeltà e genocidi, e come sia essa - la
compassione infine - a saperla cogliere, il passaggio
dominante della nostra epoca che gli scrittori e gli artisti ci lasciano in
eredità" (A. Mangano, La com-passione o il
sentimento dell'essere-in-comune: perché è luminoso l'ospite?, cit.)
A partire dal soffrire insieme e
dall'universalità del dolore, si può pure condividere, farsi prossimi, andare
incontro, essere solidali, resistere e opporsi - insieme agli altri - al male.
Si può anche riscoprire il senso dell'umana società, dell'umano consorzio,
dell' 'ospite luminoso', di una
vecchia e spesso abusata parola come socialismo.
Proprio il socialismo libertario è la
stella polare di Attilio Mangano e del suo maestro Stefano Merli.
I
termini socius e societas, che sono alla radice del socialismo, non implicano alcun
annullamento delle differenze, alcun collettivismo astratto e totalitario, ma
"presuppongono sempre l'alleanza, l'accordo, il patto tra soci diversi, in
cui l'individuo e la differenza non vengono annullati da ciò che
è-in-comune" (A. Mangano, La com-passione o il
sentimento dell'essere-in-comune: perché è luminoso l'ospite?).
Oggi
non ci serve un rivoluzionarismo meramente verbale, ma
l'immaginario/prefigurazione d'una nuova civiltà ed etica planetaria, d'una
democrazia radicale, d'una società aperta, conviviale, solidale, ecologica, più
giusta e libera, capace di salvaguardare la pace, l'umanità dell'uomo e la
terra.
Non
ci è però consentito crearci facili illusioni o riposarci in vagheggiamenti
velleitari, dovendo invece affrontare i duri, aspri dati della realtà. Le gravi
e penose difficoltà del presente non devono tuttavia impedirci di mirare -
sempre concretamente e quotidianamente, con la lotta, la dedizione e il coraggio - a un altro mondo possibile.