SOCIETÀ CHIUSA,
SOCIETÀ APERTA,
DEMOCRAZIA
di Franco Astengo
È capitato tante volte,
nel corso degli anni più recenti, di reclamare un aggiornamento della teoria
classica “delle fratture”.
La
teoria delle “fratture” è stata elaborata dal politologo norvegese Stein Rokkan
in collaborazione con Seymour Martin Lipset . Una teoria attraverso la quale
s’individuano quattro fratture sociali (“cleavages” in inglese) della società
moderna che secondo lui erano state la causa della nascita dei partiti come li
abbiamo conosciuti almeno fino alla fase della globalizzazione. I cleavages
sono delle fratture che mettono in conflitto gruppi sociali. Possiamo
catalogarli secondo il tipo di conflitto che esiste tra loro in base all’asse
(territoriale o funzionale) e in base alla rivoluzione (nazionale e
industriale) in cui sono implicati. L’intento della richiesta di aggiornamento
che era stata avanzata almeno dall’affermarsi di un’elevata “complessità
sociale” era quello di collegare le fratture “storiche”, in particolare quella
“capitale/lavoro” all’emergere di nuove fratture definite “post-materialiste”
(in particolare quella di genere e quella ambientale). Lo scopo di questa
richiesta di aggiornamento era quello di determinare una nuova base teorica e
una diversa capacità di lettura della società al fine di realizzare un
rinnovamento nei partiti rendendoli adeguati a interpretare ciò che stava
cambiando nell’assetto sociale, adeguando anche la loro struttura che stava
inesorabilmente scivolando nella “liquidità” del partito personale, comitato
elettorale separato da qualsiasi radicamento nel concreto della società. Questo
intendimento non si è realizzato, anzi il rischio che stiamo correndo è quello
che un aggiornamento si stia in effetti verificando ma posto su di un terreno
arretrato sul quale potrebbero definirsi condizioni per un ritorno a una
costruzione di strutture politiche del tipo di quelle precedenti alla prima
rivoluzione industriale.
È
in atto, infatti, una vera e propria crisi profonda di quella che abbiamo
definito “democrazia liberale” fondata sul suffragio universale e i Parlamenti
e una ripresa di discorso attorno ad idee del tipo “democrazia dei notabili”,
di voto limitato e di una forma di governo basata sulla personalizzazione e
l’appoggio di piccoli gruppi di potere non sottoponibili a una verifica di
massa (si è scritto di “fascismo senza dittatura”).
Un
quadro che potrebbe ulteriormente modificarsi se si pensa a ciò che sta
accadendo sul terreno della mediazione politica che si realizza attraverso il
web e che viene identificata come superamento della democrazia rappresentativa
da parte della democrazia diretta veicolata esclusivamente dal dibattito via
social network.
Una
situazione della quale stiamo verificando la pericolosità leggendo le notizie
che ci arrivano nel merito della vicenda Facebook e soprattutto dell’idea di
una “democrazia diretta” veicolata esclusivamente attraverso il web.
La
torsione individualistica dell’assetto sociale, fondata sul consumismo che si è
realizzata in Occidente a partire dagli anni’80 del XX secolo e lo scontro tra
questa e lo scompaginamento seguito dalla caduta del bipolarismo dei blocchi
(da qualcuno scambiato come l’apertura di una sorta di “età dell’oro” e come
“fine della storia) ha rappresentato la causa prima dell’involuzione dei
soggetti di intermediazione politica fino a far pensare che, per governare
un’inedita complessità sociale, si rendesse necessario un taglio della domanda
e quindi l’assunzione di una responsabilità politica fondata sulla
“governabilità” intesa quale fine esaustivo della politica. Una concezione
della “governabilità” che alla fine ha portato a uno scontro con tutti i
tentativi di natura globalista attraverso i quali si è cercato di affrontare il
mutamento di paradigma che il procedere dell’innovazione tecnologica
soprattutto nel campo della comunicazione stava imponendo. Queste opzioni
globaliste che -oggi come oggi- appaiono in grandissima difficoltà di fronte al
riproporsi addirittura dell’emergere, nelle grandi potenze, di tensioni di tipo
imperialista. L’aggiornamento della “teoria delle fratture” e, di conseguenza,
della base teorica sulla quale stanno formandosi i soggetti politici che
agiranno verso la seconda fase del Secolo XXI, si sta insomma verificando attorno
al nodo “società chiusa/società aperta”; un nodo che molti intendono per “sovranismo/globalismo”.
Un
dualismo che dovrebbe sostituire compiutamente quello tra capitale e lavoro e
successivamente nella modificazione del
rapporto tra struttura e sovrastruttura con l’ingresso in scena di quelle che
sono state definite “fratture post-materialiste”.
La
situazione politica italiana appare contrassegnata in questo senso e potrebbe
anche funzionare da laboratorio. Chi intende contrastare il tentativo egemonico
di imporre il ritorno alla società chiusa intende fare fronte
semplicisticamente attorno al concetto di “società aperta” attraverso la
proposizione di un liberalismo dalla Popper.
Si
è mosso in questo senso Antonio Polito con un suo articolo apparso nei giorni
scorsi sulle colonne del “Corriere della Sera”.
Articolo
dove si rilancia il pensiero del filosofo austriaco e i suoi avvertimenti a non
trasformare la “società aperta” in una “società astratta” come sarebbe avvenuto
nel corso di questi anni attraverso l’adozione acritica dell’innovazione
tecnologica che (ne scriveva appunto già Popper) potrebbe condurre ad una
società “depersonalizzata” esposta , quindi, ai colpi dell’idea di un potere
sovrano fortemente concentrato come sola possibilità adatta per governarla. Il
nostro compito allora non potrebbe essere altro che quello di lottare per
difendere la “società aperta” che, secondo l’autore, “resta il sistema migliore
per il benessere dei popoli che dobbiamo preservare a ogni costo anche da chi,
di volta in volta, vince le elezioni”. Polito cita Pericle : “si tratta di
legare l’individualismo con l’altruismo perché ci è stato insegnato di non
dimenticare mai che dobbiamo proteggere gli umili”.
Una
difesa della “società aperta” che chissà come potrà essere realizzata nel
momento in cui pare riaprirsi nuovamente la faglia Oriente/Occidente e sta
riformandosi, attorno al sovranismo di Trump, un nucleo d’acciaio della NATO
con la Gran Bretagna della Brexit, la Francia e la Germania. Assistiamo
comunque a una difesa della “società aperta” le cui motivazioni di
riaffermazione paiono dimenticare l’esistenza di una “frattura” ancora
determinante: quella relativa allo sfruttamento derivante prima dalla
contraddizione “capitale-lavoro” e, in secondo luogo, dal soffocamento
capitalistico sulle contraddizioni post-materialiste.
Sfruttamento operante ben oltre le condizioni materiali di lavoro che colpisce l’insieme di una società sfibrata e ripiegata sulle proprie contraddizioni, alle quali non riesce (nell’insieme di una proposta di lettura della realtà sociale e politica) a fornire un senso e un’indicazione di prospettiva. Si è così’ determinato un vero e proprio “allargamento sociale” delle condizioni di classe ben oltre la fabbrica e i campi tanto per indicare luoghi fisici della rivoluzione industriale. Deve essere in nome dell’estensione del peso della condizione di classe a livello globale che riteniamo non si tratti, dal nostro punto di vista almeno, di difendere la “società aperta” ma, invece, di costruire le condizioni politiche perché possa affermarsi una radicale alternativa di sistema nel senso di una proposta di liberazione dallo sfruttamento globale. Il tema della liberazione dallo sfruttamento globale deve rimanere centrale nell’impostazione politica delle forze di opposizione che è necessario organizzare e rendere efficaci nella loro azione di radicamento e di proposta proprio perché la “società aperta” capitalistica rimane fondata sull’immutabilità di inaccettabili disuguaglianze che provocano sopraffazione. La capacità di immediatezza nella rappresentazione dei bisogni sociali rappresenta probabilmente la chiave per elaborare una prima efficace azione di resistenza a questo modificarsi nei termini dell’agibilità democratica. Sono già avvenuti tentativi in questo senso all’interno di un “caso italiano” che si rinnova e si rovescia nei suoi termini (opposti a quelli dell’avanzamento sociale verificatosi nel corso dei “trenta gloriosi”): pensiamo al “salazarismo soft” del governo Monti - Napolitano e al tentativo di riforma costituzionale di Renzi respinto dal voto popolare il 4 dicembre 2016. Tentativi che proseguiranno: all’interno e al di fuori del web.
Sfruttamento operante ben oltre le condizioni materiali di lavoro che colpisce l’insieme di una società sfibrata e ripiegata sulle proprie contraddizioni, alle quali non riesce (nell’insieme di una proposta di lettura della realtà sociale e politica) a fornire un senso e un’indicazione di prospettiva. Si è così’ determinato un vero e proprio “allargamento sociale” delle condizioni di classe ben oltre la fabbrica e i campi tanto per indicare luoghi fisici della rivoluzione industriale. Deve essere in nome dell’estensione del peso della condizione di classe a livello globale che riteniamo non si tratti, dal nostro punto di vista almeno, di difendere la “società aperta” ma, invece, di costruire le condizioni politiche perché possa affermarsi una radicale alternativa di sistema nel senso di una proposta di liberazione dallo sfruttamento globale. Il tema della liberazione dallo sfruttamento globale deve rimanere centrale nell’impostazione politica delle forze di opposizione che è necessario organizzare e rendere efficaci nella loro azione di radicamento e di proposta proprio perché la “società aperta” capitalistica rimane fondata sull’immutabilità di inaccettabili disuguaglianze che provocano sopraffazione. La capacità di immediatezza nella rappresentazione dei bisogni sociali rappresenta probabilmente la chiave per elaborare una prima efficace azione di resistenza a questo modificarsi nei termini dell’agibilità democratica. Sono già avvenuti tentativi in questo senso all’interno di un “caso italiano” che si rinnova e si rovescia nei suoi termini (opposti a quelli dell’avanzamento sociale verificatosi nel corso dei “trenta gloriosi”): pensiamo al “salazarismo soft” del governo Monti - Napolitano e al tentativo di riforma costituzionale di Renzi respinto dal voto popolare il 4 dicembre 2016. Tentativi che proseguiranno: all’interno e al di fuori del web.