GOVERNO/NON
GOVERNO
di Franco Astengo
Premesso che al momento
attuale appare del tutto azzardato pronunciare vaticini circa la formazione del
nuovo Governo (e ricordato anche, un po’ per celia e un po’ per non morire che:
“il governo qualunque esso sia è sempre il comitato d’affari della borghesia”)
vale la pena sottolineare almeno tre punti che sembrano caratterizzare la
situazione politica nel dopo-voto del 4 marzo 2108:
1) Le forze politiche si
trovano nell’impasse dell’aver costruito una campagna elettorale come se si
fosse votato con una formula maggioritaria e non con un proporzionale per i
2/3. L’assenza di alcuna proposta sul piano degli schieramenti politici nel
dopo – voto adesso pesa, in un quadro di promesse elettoralistiche che (come si
era ben rilevato alla vigilia) risultano non solo incompatibili fra loro ma
impossibili da soddisfare anche solo parzialmente. Una “logica del
maggioritario” che emerge dalla richiesta del partito di maggioranza relativa
che con il solo 32% pretenderebbe di esercitare una funzione egemonica nella
formazione dell’esecutivo;
2) Non esiste più lo
schema centrodestra/centrosinistra. Chi si è richiamato al centrosinistra
alla fine si è trovato del tutto marginalizzato: il PD se n’è guardato bene
reclamando per sé il “voto utile” ma senza indicare alcuna prospettiva di
schieramento futuro. Ed era evidente anche lo spostamento d’asse che si stava
verificando in quello che per mera convenzione è stato definito
centrodestra(dal punto di vista dei contenuti espressi la definizione “centro”
appare ormai del tutto superflua), ma che aveva mutato completamente pelle
rispetto alla tradizione accumulata nei venticinque anni correnti dal’94 a oggi
(difatti il richiamo a quella data, pure tentato dallo stesso Berlusconi, non
ha funzionato e hanno fatto una brutta fine anche gli epigoni del centrismo e
dell’appoggio ai governi Renzi -Gentiloni). Il fatto è che (lo ribadiamo) non
c’è più il bipolarismo solo assetto del sistema, utile per definire due
schieramenti nell’alternanza. Alternanza che dunque non è più verificabile come
opzione possibile. Nella sparizione del bipolarismo si avverte anche un certo
declino del meccanismo della personalizzazione;
3) Sarà comunque difficile
uscire, nella prospettiva della costruzione di una maggioranza di governo,
dallo schema impostato per l’elezione dei Presidenti delle Camere, tanto più
che c’è chi rivendica il ritorno a una presunta “centralità del Parlamento”.
Nello smarrimento generale della memoria è il caso di ricordare che la
“centralità del Parlamento” (formula togliattiana: “Parlamento come specchio
del paese”) può essere attuata soltanto attraverso l’adozione di una formula
elettorale proporzionale ,tale da consentire l’espressione istituzionale delle
più importanti espressioni politico-culturali presenti nel Paese e senza
l’invenzione di coalizioni posticce utili soltanto a conseguire il primato in
collegi uninominali “first-past-the-post”. L’esistenza dei collegi uninominali
a fianco delle liste plurinominali (pasticcio attuato per poter disporre ancora
una volta di un parlamento di “nominati”), in quest’occasione, ha rappresentato
un vero e proprio monumento all’incultura politica di chi ha redatto il
dispositivo. Al più, tornando al tema del governo futuribile, lo schema usato
per eleggere i presidenti d’Aula potrà essere variato nel senso di qualche
reciprocità d’astensione (il richiamo al 1976 è d’obbligo, anche se le
proporzioni del tripolarismo in quel frangente erano molto diverse tra le forze
più consistenti e vigeva ancora la “conventio ad excludendum”). Ma quello
dell’estate di quarantadue anni fa (si votò il 20 giugno) e del governo
Andreotti, monocolore della “non sfiducia” potrebbe rappresentare un richiamo
storico in una qualche misura plausibile. Infine, tornando all’attualità, non
sono da escludere scissioni o riallineamenti, sempre all’ordine del giorno in
tutto l’arco dello schieramento politico quando il tema è quello del governo e
gli equilibri precari e delicati.