UN NUOVO “CASO
ITALIANO”?
di Franco Astengo
Nelle more del post
–elezioni del 4 marzo si profila la possibilità del verificarsi di un nuovo
“caso italiano”, del tutto anomalo perlomeno rispetto al quadro europeo. Un
“caso italiano” ben diverso da quello degli anni ’60 – ’70 del secolo scorso,
allorquando la sinistra nel nostro assunse il ruolo di punta avanzata sotto il
predominio del Partito Comunista fondandosi socialmente su quella che era
considerata la classe operaia “forte, stabile, concentrata” fornendo così
dall’opposizione (almeno sul piano
nazionale, ma con robuste quote di governo nelle amministrazioni locali) un
eccezionale contributo alla modernizzazione e alla costruzione del welfare. Il
tutto in tempi di bipolarismo, sia interno, sia esterno.
Oggi
l’interrogativo che si pone è ben diverso.
Potrà
essere canalizzata nel quadro della “governabilità” una protesta diffusa (con
punte significative di vero e proprio “rancore sociale”: un “rancore sociale”
che emerge anche , ad esempio, in Francia e negli Stati Uniti esprimendosi in
forti conflitti locali) proveniente da diverse parti, al Nord come al Sud e
orientata da due forze politiche che hanno assunto nel frattempo precise
caratteristiche proprie sul piano dell’identità socio – geografica e della
struttura, obbedendo ai canoni imposti dall’innovazione tecnologica delle
relazioni sociali e offrendo l’immaginario della personalizzazione della
politica?
Tanto
più che questa “governabilità” resterà fortemente condizionata, in perfetta
continuità con le sue espressioni immediatamente precedenti, da un fortissimo
vincolo esterno rappresentato dalla politica monetarista dai “cerchi ristretti”
imposta dall’UE e accettata in Italia dalle forze politiche al punto da indurle
a modificare, in questo senso, la stessa Carta Costituzionale?
Una
protesta , quella espressasi nelle urne il 4 marzo, che si è anche espressa –è
bene ricordarlo – con una dimostrazione di ampia disaffezione e che proviene,
comunque, da una società sfibrata, sfrangiata, fortemente impoverita, percorsa
da paure di vario genere prima fra tutte quella riguardante i migranti.
Una
società dominata dall’egemonia, affermatasi ormai da un trentennio,
dell’individualismo consumistico nella quale si sono allentati i legami sociali
e la prospettiva di rapporto con la politica è stata mediata dalla corruzione e
dall’inefficienza del “pubblico”.
Come
reagirà questo particolare quadro sociale al richiamo della “governabilità” che
alla fine M5S e Lega Nord non potranno rifiutare restando all’interno – sostanzialmente
– del perimetro di compatibilità imposto dai loro predecessori. Quale sponda
cercheranno protesta e rancore di massa proprio nel momento in cui si sta
registrando un punto di vera e propria “cesura”, di arretramento storico e pare
prevalere il ritorno agli imperialismi e le democrazie liberali paiono
convertire il paradigma del governo con quello del comando? Un mutamento di
fronte così ampio come quello dimostratosi con il voto del 4 marzo non troverà
espressione in un adeguato radicale cambiamento delle opzioni di governo :
governo che alla fine, sui contenuti, non potrà far altro che cercare un
assestamento di stampo “doroteo”.
Il
“caso italiano” ancor oggi provvisto di un robusto punto interrogativo potrebbe
così evaporare rapidamente nel nulla delle ambizioni di nuovi “cerchi magici”
usi ad intendere la pratica politica come pratica per il potere.
Una
“elettoralizzazione della protesta” da parte di M5S e Lega che, alla fine,
potrebbe rappresentare uno dei più significativi esempi del – come si diceva un
tempo- “lavorare per il Re di Prussia”.
Svanirebbero
così i timori di tanti benpensanti (che conserveranno le loro cattedre, i loro
posti in redazione, i loro schermi televisivi) ma che ne sarà della ventata di
protesta e soprattutto quando si riuscirà ad affrontare il tema del nuovo
sfruttamento di massa imposto dai sempiterni padroni delle leve del comando che
oggi si esprimono nella chiusura di un recrudescenze sovranismo?
Il
lato oscuro di questa vicenda potrebbe essere rappresentato da un contraccolpo
secco a livello di scompaginamento sociale dovuto alla “delusione della
protesta” fornendo così lo spazio (attraverso il varo di una legge elettorale
fortemente maggioritaria) per l’aprirsi di un varco per un restringimento
effettivo nei margini di agibilità democratica e di spostamento d’asse dal
Parlamento al Governo.
La
prospettiva sarebbe quella di una sorta di “salazarismo soft”, fase del resto
che abbiamo già assaggiato tra il 2011 e il 2016 con l’azione presidenziale di
Napolitano e l’occupazione del potere da parte del “giglio magico e associati”.
Operazione
stoppata dall’esito referendario, attraverso il quale si aprì il vaso di
Pandora ma che oggi potrebbe tornare alla ribalta, magari con gli stessi
protagonisti del periodo centrale di quella fase rivestiti dell’immagine da
“Macron de noantri”. La debolezza strutturale dell’impianto politico presentato
dai presunti vincitori del 4 marzo (e la stessa debolezza della loro base di
confuso riferimento) lascia aperta la porta ad una pericolosa possibilità di
questo genere.
Unica
indicazione di conseguenza: massima vigilanza democratica.