LIBRI
O IL DISARMO O
LA CATASTROFE
di Angelo Gaccione
Il libro di Manlio
Dinucci dovrebbe stare sui banchi di tutte le scuole, ma soprattutto nelle mani
dei decisori politici e istituzionali, di chi si accinge a governare il Paese,
e di quanti, addetti all’informazione e impegnati nell’ambito della cultura,
svolgono il ruolo fondamentale della conoscenza.
Manlio Dinucci |
A fine lettura di queste
trecento pagine del libro di Manlio Dinucci Guerra
nucleare. Il giorno prima, sottotitolo ammonitorio e sconfortante: Da Hiroshima a oggi: chi e come ci porta
alla catastrofe (Zambon editore, 2017) le domande sono sempre le stesse.
Com’è possibile che dopo due tremende guerre mondiali l’umanità non abbia
imparato nulla? Com’è possibile che non
ci si renda conto che con l’esistenza delle armi nucleari siamo entrati in
un’altra era? Un’era in cui è divenuta tragicamente concreta la possibilità di
cancellare l’intero genere umano, annientare ogni forma di vita animale e
vegetale, azzerare la linea temporale della storia. La quantità e qualità di
armi accumulate, la potenza distruttiva di cui le hanno dotate la scienza e la
tecnologia al servizio della morte, è divenuta così spaventosamente abnorme,
che non c’è altro spazio per il pensiero di questo nostro tempo, se non per
quello che pone al centro della sua meditazione, l’assioma ultimativo con cui
il filosofo Bertrand Russell e il fisico Albert Einstein ammonivano il mondo: O
l’umanità distruggerà gli armamenti o gli armamenti distruggeranno l’umanità. Che
cosa deve accadere ancora? Quante devono diventare sullo scacchiere mondiale le
guerre guerreggiate perché se ne prenda atto? E il numero degli Stati nucleari
quanti devono diventare? A che numero devono arrivare gli ordigni nucleari custoditi
negli hangar delle basi militari italiane, perché le piazze trabocchino di
uomini e donne indignati? Fino a che punto deve essere messa sotto i piedi la
nostra Costituzione nata dal sacrificio della Resistenza, prima che la rivolta
morale si diriga in massa davanti a Palazzo Chigi, al Parlamento, al Quirinale,
per ricordare che in nessun punto di quella Carta costata sangue, è scritto che
la nostra patria debba ospitare sul suo territorio bombe nucleari, missili,
armi di distruzione di massa? Che nessun soldato italiano debba andare a
uccidere e morire fuori dalla sua nazione e che è fatto divieto di aggredire
qual si voglia Paese in maniera unilaterale, come da anni stanno facendo i
governi di questa che indegnamente definiamo democrazia? A partire dall’Unità
d’Italia, non c’è stato una sola aggressione nei confronti del nostro Paese; in
compenso siamo stati sempre noi ad aggredire, e quando il fascismo è morto i
costituenti hanno saggiamente deciso che
l’Italia avrebbe dovuto risolvere le controversie internazionali in modo
pacifico e senza più guerre. Avrebbero dovuto avere più coraggio e disarmare
unilateralmente, impiegando le risorse della “difesa” per le spese sociali, ora
che Hiroshima e Nagasaki avevano mostrato che nessuna difesa sarebbe stata più
possibile, se per difesa intendiamo l’incolumità delle popolazioni civili,
della salvaguardia del patrimonio industriale, degli ospedali, delle scuole,
dei beni architettonici, delle abitazioni, e così via.
La copertina del libro |
Quella occasione, ahimè
si è persa. Ora tuttavia è un altro tempo: è il tempo di “un mondo al bivio”,
come ci allerta Dinucci col suo terribile e documentato libro. Il tempo di un
possibile inverno nucleare, del club dei paesi nucleari divenuto più ampio,
delle “valigette nucleari” di Russia e Usa che fanno la spola con i loro
presidenti da un capo all’altro del mondo, degli incidenti che vengono nascosti
all’opinione pubblica, dell’inquinamento radioattivo, della continua rincorsa
verso l’arma totale per il primo colpo con l’illusione idiota di farla franca,
del tentativo di militarizzare lo spazio, dei sommergibili sempre in movimento,
di alleanze che si disfano e si ricompongono pericolosamente, di
destabilizzazioni di intere aree, di escalation sempre più irresponsabili e
provocatorie, di nano-tecnologie, armi laser ed elettromagnetiche, di robot e
di droni, il cui controllo diviene vieppiù aleatorio, di commercio di sostanze
chimiche e batteriologiche, di spionaggio ossessivo, di affidamento della
sicurezza a computer sofisticati ma non per questo invulnerabili e sicuri.
Allora di fronte a tutto questo, alla possibilità di cancellazione totale della
vita e dell’intero creato, come sottolinea il papa, a questo cambiamento
epocale che tende verso la catastrofe ultimativa, è necessario un mutamento
radicale del nostro pensiero e del nostro agire, come ci esortano le pagine del
libro di Dinucci, perché la lancetta dei minuti si sta avvicinando pericolosamente
al buio della mezzanotte nucleare. Alcune cose possiamo farle subito noi
italiani per alleggerire il clima delle tensioni internazionali. Noi non siamo
il Costarica, siamo la quinta potenza economica del mondo, e un nostro
possibile disarmo avrebbe un impatto straordinariamente positivo in ogni dove.
Il prossimo governo che si insedierà, potrebbe intraprendere alcune misure
minime, ma foriere di sviluppi magnifici. Potrebbe creare quel Ministero per la
ricerca della Pace al posto di quello della Difesa che non è stato possibile
avviare all’indomani della formulazione della Carta Costituzionale, e fare
dell’Italia il luogo aperto al mondo per redimere crisi e controversie,
ospitando in una città simbolo come Assisi, delegazioni e diplomazie interessate.
Potrebbe spostare il 50% del personale militare in un corpo preposto alla cura
e al controllo del territorio (incendi dolosi del patrimonio forestale, rifiuti
tossici, discariche abusive, cura del suolo, controllo dei corsi d’acqua,
abusivismo edilizio). Sospendere l’acquisto dei cacciabombardieri destinando i
miliardi di euro alla riorganizzazione efficiente di questa struttura di cui ho
accennato più sopra, avviare l’uscita dalla Nato e rimuovere gli ordigni
nucleari dalle nostre basi, ripristinando in tal modo il dettato costituzionale
violato. Va da sé che la nostra Repubblica non dovrebbe più impiegare i 70
milioni di euro al giorno che stiamo spendendo per la difesa, ma razionalizzarne
l’impiego fra spese socio-sanitarie, dell’istruzione, e supporto a quelle
imprese che dovranno convertire la loro produzione bellica in settori economici
più dinamici e in ricerche negli ambiti che coniugano valore sociale e
possibilità espansive. Su questa buona strada il Paese istituzionale e i corpi
sociali, dovrebbero proseguire il cammino fino alla completa estinzione
dell’apparato militare, valorizzandone competenze e tecnologie per irrobustire
i ranghi della Protezione Civile e farne un efficace baluardo di pronto
intervento e di cura, per il fragile assetto idrogeologico del nostro
bellissimo e martoriato Paese.