di
Giorgio Macario [i]
Giorgio Macario |
Contaminazioni
biografiche nel percorso autobiografico
Vi sono libri che si leggono, seduti su un piccolo
sgabello
Dinanzi a un banco di scuola. (…)
Ve ne sono che gli uomini saggi disprezzano
Ma che entusiasmano i fanciulli. (…)
Ve ne sono che, a leggerli sembrano rilucere,
Carichi d’estasi, deliziosi di umiltà.
Ve ne sono che s’amano come fratelli
Più puri e che han vissuto meglio di noi. (…)
A. Gide, ‘I Nutrimenti terrestri’, 1897
Le modalità con le quali i libri
possono ‘prenderci’ sono varie e diversificate, e il cuore delle sollecitazioni
in tema che vorrei portare oggi da ‘non specialista’ in un contesto di
‘specialisti’, riguarda il quanto e come le parole scritte dall’altro (e quindi
anche la sua biografia che comunque tende a trasparire dalle scritture di
ciascuno) incontrino la vita (e le scritture) di ciascuno di noi. Occupandomi
da psicologo e psicosociologo, oltre che da formatore, della metodologia
autobiografica da ormai una trentina di anni, sarà questa l’ottica visuale che
farà da sfondo alle mie brevi riflessioni. E, alla ricerca di prossimità,
dovendo partire da qualcosa che possa sentire ‘Immediatamente vicino’, ho
scelto di prendere spunto, nell’ambito del ‘Livres de chevet de Montaigne à
Mitterand’, dalle riflessioni ivi contenute di uno dei ‘poeti di oggi’, Stefano
Raimondi, che non casualmente condivide con me l’appartenenza al Consiglio
Scientifico della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari, e che fa
riferimento al libro da comodino come un tassello autobiografico che “dice di
noi attraverso una mediazione narrativa, poetica, saggistica.” In questa
direzione, ritengo che uno dei possibili contributi del ‘libro da comodino’ sia
quello di offrire la possibilità di connettere le decine, centinaia, migliaia
di fili-idee che uno o più di tali testi ci hanno consentito di maturare,
collegando ciò che in gioventù e nella prima adultità consideriamo non
collegabile, le molte storie-lavori-affetti delle nostre vite che tendono a
viaggiare su linee parallele. Accade infatti, in certe fasi della vita - anche
prima di quanto si pensi con la diffusione della scrittura di sé in età
infantile, in preadolescenza e in adolescenza- di poter cercare di connettere,
di trovare nessi, snodi significativi che rendano avvicinabili i nostri diversi
percorsi di vita.
Anche i libri che leggiamo -la letteratura, ma non solo, se
consideriamo il ruolo che ad esempio i fumetti e le narrazioni fantasy si sono
conquistati- o ri-leggiamo, i diversi libri sul comodino (o i libri cui spesso
ricorriamo pur non portandoli fisicamente sul comodino) entrano a far parte di
questi snodi essenziali. Perché è il flusso vitale delle nostre letture (come
nel corto di animazione, della ‘Lessmore Production’, che ha vinto l’Oscar nel
2012, “The fantastic flying books of Mr. Morris Lessmore”) che fa rivivere riflessioni,
indicazioni, quesiti che qualcuno ha depositato in un ‘classico’ (o in un testo
semi-sconosciuto) che si rivitalizza proprio in quanto letto e riletto. Non a
caso, nel breve filmato di animazione citato, gli stessi dispositivi medici che
vengono messi in campo per ridare vita ad un vecchissimo libro quasi
abbandonato sugli scaffali alti della biblioteca, si rivelano inefficaci
lasciando il posto alla lettura del vecchio ‘classico-dimenticato’ da parte del
protagonista come cura efficace che gli restituisce la vita.
Ma ritornerei ai ‘libri che ci prendono’ del titolo, per
pagare un doveroso contributo al recente testo di Massimo Recalcati ‘A libro
aperto. Una vita è i suoi libri’, che ci dice “I libri che ‘ci prendono’, sono
i libri che hanno evocato le schegge della nostra ‘lalingua’, i frammenti
sepolti e ardenti del nostro passato. Tuttavia, solo se leggo davvero me stesso
-come insegna Agostino nelle sue Confessioni- potrò ritrovare l’eco
della mia lalingua, la presenza dell’Altro in me, sin nelle mie viscere. I
confini del libro allora si dilatano in me, proprio mentre il libro mi porta
presso di sé.”[ii]
Solo un accenno al fatto che è stato Jacques Lacan, ci ricorda Recalcati,
ad aver battezzato la nostra prima lingua, la lingua del corpo poiché fatta di
‘schegge del corpo’, come ‘lalingua’, inarticolata, non alfabetica, singolare,
fatta di atmosfere, affetti, immagini e non solo, che “ciascuno ha incontrato
agli esordi della sua vita attraverso la parola viva di chi lo ha accolto e
cresciuto.”[iii]
L’interesse legato alla vita ed ai suoi libri, specialmente ai libri di
riferimento (fra questi anche, ma non solo, i ‘libri da comodino’) è
strettamente connesso al fatto che questi contribuiscono in modo determinante a
dare una forma singolare alla propria vita, a segnarci nelle nostre esperienze,
a consentirci di ritrovare pezzi di noi stessi, dimenticati o non ancora
conosciuti. Rappresentano quindi una sorta di autobiografia, poiché vi
rintracciamo pezzi di noi stessi (authòs), richiamando parti della
nostra vita (bìos), e scrivendone in senso letterale o metaforico (graphein).
Ma dove possiamo rintracciare le contaminazioni biografiche al
proprio percorso autobiografico, dato che -ci ricorda ancora Recalcati-
“leggere significa anzitutto essere letti dal libro, esporsi alla
lettura del libro”? Essenzialmente nel fatto che sono i libri ad offrire al
lettore un proprio contributo biografico, e se nella seconda parte della sua
riflessione Recalcati ricostruisce l’influenza nella propria vita di testi di
autori lontani e vicini nel tempo (fra gli altri, da Omero a Rigoni Stern, da Sartre
a Freud e Lacan), è nella prima parte che si possono rintracciare diverse
riflessioni sulla funzione del libro con interessanti squarci su librerie e
biblioteche interpretate come inconscio del soggetto; su pazienti bibliofili
che tendono a sostituire la vita con i libri; sulla forza del libro come forza
del desiderio, per non citare che alcuni dei temi da lui trattati.
Ritornando al tema centrale del ‘libro sul comodino’ come
strumento di riflessione per indagare il rapporto fra individuo e lettura, è la
stessa introduzione al volume oggi al centro dell’attenzione che apre ad un suo
valore non solo intellettuale, bensì anche emotivo, affettivo ed intimo. Lo fa
Alessandra Preda rievocando -in modo non dissimile dalle riflessioni prima
fatte risalire da Recalcati a Lacan- “(…) la memoria della prima emozione di
lettura e dello spazio originario in cui ha preso forma, fino a risalire al
rituale dell’infanzia”, e assegnando al ‘libro sul comodino’ il ruolo di
“compagno fedele del viaggio nel buio, sulla soglia del mondo dei sogni, o
forse oltre”.
E se è vero, come riferisce Roland Barthes in Critica e
verità, che in merito alla relazione che è possibile intrattenere con
l’opera letteraria, la lettura si differenzia dalla scienza della letteratura e
dalla critica per non avere con il testo un rapporto mediato dalla scrittura,
favorendo un contatto immediato con l’opera letteraria, è altresì da
considerare che il fatto che il ‘libro sul comodino’ abbia conquistato quel
posizionamento lo rende, per ciò stesso, una parte del proprio percorso
autobiografico. Anche non considerando le sottolineature, l’apposizione di
segnapagina o le notazioni di proprio pugno che nel tempo possono essere state
apportate al testo originale, la sua stessa rilevanza è strettamente connessa
al considerarlo una propria estensione verso concetti e riflessioni se non
compiutamente fatti propri, quantomeno vissuti come possibile implementazione
delle proprie conoscenze o rafforzamenti autorevoli delle proprie convinzioni.
Come ci dice Lina Bolzoni nel suo recente testo Una
meravigliosa solitudine [iv]-
“leggere è un’esperienza vitale che, attraverso l’incontro con il mondo intimo
di chi scrive, consente di arricchire e ridisegnare se stessi”. D’altra parte
leggere o meglio ri-leggere il/i propri testi di riferimento, i propri libri
sul comodino, certamente mitiga i rischi dell’esposizione al nuovo,
rassicurandoci con il ripetersi del già conosciuto dei tempi dell’infanzia, ma
non per questo li annulla perché è lo stesso affinamento delle nostre capacità
di avere sguardi ‘altri’ che ci può far scoprire nuovi itinerari laddove
prefiguravamo la presenza di più rassicuranti strade già percorse.
Giorgio Macario |
Nell’intreccio fra questo tema e i miei interessi
autobiografici e formativi, ho ricordato un passaggio del testo di Michela
Murgià, Chirù, quando l’autrice fa dire alla sua protagonista “Nell’atto
stesso di insegnare a qualcuno quel che sapevo, riconoscevo la superbia insita
nel ruolo della docenza, l’idea intimamente violenta che l’altro fosse una
creta della cui forma potevo contribuire a determinare la qualità.” [v]
Ho quindi pensato al possibile ruolo del/dei ‘libri sul comodino’
come orientatori nell’insegnamento, ma anche nel rapporto educativo o in quello
terapeutico, con la possibilità di estendere ad altri le maggiori sicurezze da
noi acquisite con la lettura di quello specifico testo, oltre a lasciar loro
uno spazio di espressione, esternalizzazione e parziale superamento delle
proprie problematiche ancora senza nome. È chiaro che in questo caso il proprio
percorso autobiografico assume una doppia valenza di contaminazione biografica:
in primo luogo verso il contributo biografico presente nel testo scritto, che
fa si che si crei un incontro fra me e chi lo ha scritto - certo nella
convinzione che - con Baumann citato da Ezio Raimondi- “è proprio dell’io
morale non essere mai sicuro della correttezza dell’interpretazione.”[vi];
ma in seconda istanza è la mia stessa passione, il fatto che il libro l’ho
letto non solo con la mente ma anche con il cuore, che mi può condurre al
pensiero di offrire l’opportunità di una seconda contaminazione biografica a
chi in qualche modo si aspetta un mio contributo di insegnamento, di
orientamento educativo, di supporto psicologico o quant’altro. Va da sé che in
questo caso, il mio ‘libro da comodino’ rientra compiutamente nella metafora
del libro come un mare, proposta da Recalcati, che individua il libro come un
mare sempre aperto, che apre e non chiude il mondo, esemplificazione della
inesauribilità della lettura. La specificità che viene a crearsi nel nostro
caso è che l’apporto biografico dello scrittore del testo sarà comunque
arricchito dal nostro contributo autobiografico di lettura, e potrà determinare
o meno nel destinatario della nostra proposta di lettura, una nuova contaminazione
biografica del suo peculiare percorso autobiografico.
D’altronde, secondo Ezio Raimondi, “Se lo scrittore è
l’origine, il passato ricostruito dell’opera, il lettore si impone quale
progetto o postulato per comprendere e riflettere l’appello con cui l’opera si
indirizza al collettivo della socialità non meno che al futuro.”[vii]
La modalità citata di doppia
contaminazione biografica appare in tal modo come una delle possibili prassi
volte a indirizzare un’opera ‘al collettivo della socialità non meno che al
futuro’.
E questo può accadere anche perché possiamo considerare il
‘libro da comodino’ come una promessa che si basa sulla nostra volontà
di portarlo in giro e rispetto al quale -unitamente a Emanuele Azio Ferrari-
possiamo chiederci: “Cosa posso farci con un libro? Come passare dalla lettura
all’esperienza di renderlo cosa viva, fare in modo che da me passi ad altri, e
navighi come una barca di carta verso nuove terre?”[viii]
A volte, poi, è lo stesso posizionamento del ‘libro da comodino’ che può
non essere determinante, se può accadere che “A casa mia, adesso che mi guardo
meglio intorno, i libri non finiscono mai. Il loro posto è dappertutto:
anche sotto il letto, sui braccioli del divano, abbandonati sul pavimento.”[ix]
Un ultimo
riferimento vorrei dedicarlo ad alcune riflessioni che tengono insieme le
sollecitazioni proposte da Duccio Demetrio sulla lettura e il desiderio di
scrivere anche molto precocemente, sulle orme di Marcel Proust [x],
alla sperimentazione di percorsi di
scrittura autobiografica nella scuola primaria, documentati recentemente in una
pubblicazione da me curata con una collega, dal titolo ‘Nati per scrivere’.
Il cortile dell'Università Statale |
Da
un lato, come afferma Proust “la lettura può diventare una sorta di terapia
quando ci aiuta a entrare nelle ragioni profonde del nostro io”, il libro che
ci affascina ci aiuta ad uscire dalla immobilità, e ci permette di crescere,
pensare e interrogarsi su chi siamo quale che sia la nostra età. Oltre al fatto
che “dentro i libri che ci piacciono, che andiamo a rileggere ogni tanto come
se volessimo ripassare sempre dagli stessi posti per sentirci a casa, c’è
qualcosa che ci assomiglia”. D’altra parte la stessa possibilità di ‘farsi
prendere da alcuni libri’, fino a trasformarli in ‘libri da comodino’ nelle
fasi più adulte della nostra vita, sembra poter dipendere dal coltivare fin da
molto presto una capacità narrativa in grado di accompagnare il sapere del
racconto, aprendo “ dimensioni dell’apprendimento dall’esperienza, anche da
parte dei piccoli, che offrono possibilità del darsi voce; del ‘non sentirsi
senza una storia’; di percepire la ricchezza del pensiero e delle emozioni; di
riconoscere il talento dell’ascolto di sé e degli altri maturando il rispetto
della propria e altrui memoria.”[xi]
Una veduta dell'Università Statale |
Concluderei
citando ancora Lina Bolzoni, che in una recente intervista, afferma: “Il
dialogo che la lettura crea - con i grandi autori, da Petrarca a Machiavelli,
a Tasso, a Montaigne - ha inoltre una funzione essenziale: grazie a quel
dialogo si riconosce il proprio io, si costruisce una memoria da cui trarre ciò
che serve per scrivere opere nuove.”[xii]
Opere nuove che, in una visione allargata del metodo autobiografico come
possibilità di compiuta espressione di sé e in costante dialogo con i propri
‘libri da comodino’, possano orientare non solo alla realizzazione di sé
stessi, bensì anche alla generatività e sostenibilità del possibile incontro
con gli altri; opere capaci di rendere inscindibile il legame fra percorso
autobiografico e sensibilità biografica.
[i] Psicologo, psicosociologo
e formatore. Membro della Direzione Scientifica e del Consiglio Scientifico
della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari. macario.g@gmail.com – giorgio.macario@lua.it
[ii] Massimo Recalcati, A
LIBRO APERTO: Una vita è i suoi libri, Feltrinelli, Milano, 2018, pag. 58.
[iii] Massimo Recalcati, 2018,
op.cit., pag. 52.
[iv] Lina Bolzoni, Una
meravigliosa solitudine, Einaudi, Torino, 2019.
[vi] Zygmut Baumann, citato in
Ezio Raimondi, Un’etica del lettore, Il Mulino, Bologna, 2007, pag. 68.
[vii] Ezio Raimondi, 2007, op.
cit., pag. 23.
[viii] Emanuele Azio Ferrari, IL
POSTO DEI LIBRI. Per una biblioteca del cuore, Mimesis, Milano, 2019, pag.
91.
[x] Duccio Demetrio, “Un
percorso dedicato alla pedagogia autobiografica, ispirato a Marcel Proust”,
pubblicato in tre puntate sul Portale Sesamo - Didattica Interculturale, il 18
ottobre, il 31 ottobre e il 14 novembre 2019.
[xi] L. Danieli, G. Macario, NATI
PER SCRIVERE. Il paesaggio fuori e dentro di me. Percorsi di scrittura
autobiografica nella scuola primaria, Mimesis, Milano 2019, pag. 21.
[xii] Silvana
Mazzocchi, Lina Bolzoni: “Vi racconto il piacere della lettura”, La
Repubblica, 2 ottobre 2019.
Il testo che segue è stato presentato da Giorgio
Macario all’Università degli Studi di Milano il 25 novembre 2019, nell’ambito
del Seminario di APICE ‘Il libro di una vita’. “Odissea” lo
ringrazia per la disponibilità.