di
Franco Astengo
Savona.
Il prossimo 12 Dicembre ricorreranno i cinquant’anni dalla strage di Piazza
della Fontana, momento di snodo fondamentale nella storia della democrazia
italiana. Un evento drammatico non ancora chiarito fino in fondo se non nella
sua identità esecutiva che, al momento, si cercò di indirizzare dal punto di
vista dell’impatto pubblico coinvolgendo, come tutti ricordiamo, gli anarchici:
tentativo spezzato da una forte resistenza democratica che vide in prima linea
anche settori molto significativi del mondo dell’informazione.
Per
quindici anni, dal 1969 al 1984 l’Italia apparve al mondo intero immersa in una
crisi caratterizzata dal succedersi di stragi e atti terroristici che provocarono
più di 360 vittime e circa 4.500 feriti: non si possono però dimenticare gli
anni precedenti, quelli della feroce repressione poliziesca delle lotte operaie
e contadine fino al drammatico Luglio ’60 nella vicenda italiana del dopoguerra.
Sono
stati gli anni che si collocano storicamente tra l’emergere della contestazione
studentesca e delle lotte operaie e lo stabilizzarsi della situazione politica
con l’ascesa al potere del leader socialista Bettino Craxi alla guida di una
coalizione di pentapartito che resse fino al crollo del vecchio sistema
politico nei primi anni’90.
La
vicenda del terrorismo però ha le sue radici in un periodo antecedente e anzi
percorre tutto il cinquantennio dalla Liberazione in avanti coincidendo, in
sostanza, con la fase della guerra fredda.
Il libro del giudice che ha riscattato le vergogne della Procura di Milano |
È
giusto, ancora in questo momento, chiarire ancora una volta il quadro d’insieme
entro cui si è collocata quella stagione. In particolare è indispensabile
spiegare in che senso si parlava allora di “doppio stato” o “stato parallelo”
giacché molte diverse accezioni si sono diffuse nel corso di questi anni, in
particolare dopo la pubblicazione nel 1989 di un importante saggio di Franco De
Felice con il quale si propose il tema del “doppio stato” e soprattutto della
“doppia lealtà” alla Costituzione e all’Alleanza Atlantica.
“Doppia
lealtà” che avrebbe contrassegnato il comportamento di una parte della classe
dirigente italiana e che spiegherebbe appunto la partecipazione di quegli
uomini alla “strategia della tensione” proprio a partire da Piazza della
Fontana per arrivare al rapimento Moro.
La
categoria di “doppia lealtà” introdotta da De Felice fu assunta peraltro come
fondamentale nella proposta di relazione del presidente della Commissione
stragi Pellegrino nel dicembre 1995.
Il Palazzo di Ingiustizia |
Quali erano gli obiettivi degli epigoni dello “Stato duale”? Sfruttando l’idea dell’esistenza di un pericolo d’invasione dall’Est fin dagli anni’50 e poi in quelli ’60 si pensò a un tentativo di instaurare nel nostro Paese un regime militare sull’esempio greco o turco.
Poi
l’avanzata delle lotte operaie e studentesche alla fine del decennio e la
pressante richiesta di una più ampia democratizzazione del Paese portarono,
proprio in coincidenza con piazza della Fontana, all’idea che occorresse
arrestare quel flusso, stabilizzando gli equilibri politici italiani
all’interno di un quadro moderato secondo l’impostazione sostenuta dai governi
degli Stati Uniti, dall’alleanza atlantica e delle loro organizzazioni militari
e di spionaggio. L’obiettivo fu conseguito ma si trattò di un obiettivo
parziale, di “sostanziale tenuta”. Per “lorsignori” occorreva andare ben oltre.
A
quel punto, infatti, al momento dell’implosione del sistema e del procedere
dell’egemonia del tipo di specie capitalistica (legata a precise istanze
presenti nell’enorme processo di finanziarizzazione dell’economia poi definito
come
“globalizzazione”)
insediatosi anche ai vertici della Comunità Europea si è proceduto allo
smantellamento della democrazia italiana attraverso vie diverse da quelle
terroristiche. Atti terroristici non sono comunque ancora mancati all’interno
della lotta/collusione/trattativa fra la criminalità organizzata (che mantiene
comunque il controllo di vaste aree del Paese anche attraverso l’infiltramento
occulto in vari settori economici) e poteri dello Stato. La base di riferimento
di questo smantellamento della democrazia repubblicana è stata costruita prima
di tutto attaccando la sovrastruttura istituzionale così com’era stata
concepita con la Costituzione.
Non è stata una tragica morte, è stato un omicidio, e così bisogna definirlo |
In
questo senso ci si è mossi con l’adozione del sistema elettorale maggioritario
nel 1993 e l’elezione diretta di Sindaci e Presidenti di Provincia e di Regione
e si sta ancora cercando di realizzare spostando la “centralità del parlamento”
attraverso artifizi oggi connotati da un’istanza di presunta “democrazia diretta”
e di adeguamento alle novità di raccolta di un apparente consenso realizzata
attraverso gli strumenti tecnologici.
Il
tutto era già stato ben rappresentato dal documento di “Rinascita Nazionale”
redatto dalla loggia massonica P2 nel 1975.
In
realtà a questo punto ci sarebbe da aggiungere un punto di riflessione che fin
qui in pochi hanno affrontato.
Nel
corso del dopoguerra si è tanto parlato di “doppiezza togliattiana” per
indicare una sorta di bi-frontismo del PCI, da una parte legato al sistema sovietico
e dall’altra in linea con i principi della Costituzione Repubblicana.
Tanto
è vero che in Italia funzionarono per tanti anni due concezioni di schieramento
all’interno del sistema: la prima che delimitava il campo di governo attraverso
l’esercizio della “conventio ad excludendum”, l’altra contrassegnata
dall’esistenza del cosiddetto “arco costituzionale” formato dai partiti che -
appunto - avevano votato il testo della Costituzione alla fine del 1947 e
attraverso il quale continuava a esercitarsi una “solidarietà nazionale”
riferita ai grandi temi del funzionamento delle istituzioni rappresentative.
Ma
si è sempre parlato poco di “doppiezza democristiana”: da una parte il partito “democratico”,
quello dei “professorini” della sinistra tendente, dopo il centro sinistra,
alla “terza fase” morotea e dall’altra il partito “conservatore”, bloccato
attorno alle parti più retrive della gerarchia cattolica, all’alta burocrazia
di Stato erede diretta di quella fascista, agli alti gradi dell’esercito, alle
parti più intransigenti della Confindustria oltre che ai legami con settori dei
servizi segreti confinanti anche con parti della criminalità organizzata e
pronti a incontrarsi con Gelli all’Excelsior o al Grand Hotel.
La foto del massacro alla Banca di Piazza Fontana |
Tutto
frutto della “logica dei blocchi” o da parte della DC dentro ad una logica di
conservazione del potere fondato su di un feroce dominio di classe, legame con
le parti più oltranziste della politica USA con connessione diretta tra Patto
Atlantico e Unione Europea: insomma all’interno della realtà del “regime
democristiano” di matrice clericale e conservatore?
Interrogativi
che ancora pesano, che ci fanno pensare come lo “stato duale” in realtà fosse
direttamente connaturato proprio con il regime democristiano: l’analisi delle
vicende legate ai 55 giorni del rapimento Moro, nove anni dopo la strage di Piazza
della Fontana, lo dimostra ampiamente sollevando anche il tema del mutamento di
quadro rispetto al confronto tra “partito della fermezza” e “partito della trattativa”
che caratterizzò a quel tempo la fase politica segnando una faglia decisiva
nell’intero sistema politico.
Si
tratta di non demordere dal “cercare ancora”.