PIAZZA FONTANA: INGIUSTIZIA È FATTA
di
Angelo Gaccione
Guido Salvini |
Il
nutrito e documentato volume La maledizione di Piazza Fontana del
giudice Guido Salvini, a cui ha collaborato il giornalista Andrea Sceresini,
apre scenari nuovi sulla Strage di Stato e spiega perché i responsabili abbiano
potuto sfuggire alla giustizia.
Andrea Sceresini |
Sappiamo com’è andata: il 12
dicembre del 1969 la carneficina alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di
piazza Fontana a Milano, è come non fosse mai avvenuta. La bomba che ha
sventrato i locali e sparso brandelli di carne e sangue in ogni dove, non l’ha
messa nessuno, dunque nessuna condanna e nessuno in galera. A conti fatti
questo è l’esito, il risultato; e questo è quel che conta. E poiché i familiari
delle vittime hanno osato scomodare la Giustizia (quella sinistra figura che
l’iconografia rappresenta bendata perché essendo strabica guarderebbe da una
parte sola: sempre la stessa, quella dei potenti), è alla loro impudenza che è
toccato pagare le spese processuali. Ben gli sta. Non è successo nulla neppure
a qualche centinaio di metri da piazza Fontana, in via Fatebenefratelli sede
della Questura, qualche giorno dopo, dove un operaio, un ferroviere che a 15
anni si era fatto partigiano per restituire a questo mio indegno Paese la
democrazia dopo vent’anni di oppressione, di dittatura, di guerra, era entrato vivo. Avrebbe potuto essere
ammazzato dalle camicie nere, quel giovanissimo partigiano, come lo sono stati
altri giovani della sua stessa età o poco più, e i cui nomi sono incisi sulle
lapidi dei muri di Milano. Nomi che in buona parte sono sbiaditi e divenuti col
tempo quasi illeggibili; ma il Comune non se ne cura, le sue premure sono
rivolte ad elargire ambrogini d’oro e benemerenze civiche ad alcuni personaggi
che (come le pagine di questo libro di Guido Salvini e Andrea Sceresini: La
maledizione di piazza Fontana, documentano), hanno coperto di disonore il
Palazzo di Giustizia. Quel Palazzo di Giustizia che la giustizia ha negato alle
vittime di piazza Fontana e a quella di via Fatebenefratelli. Giuseppe Pinelli
- è questo il suo nome - in Questura è entrato vivo ed è uscito morto. Era
sopravvissuto alla dittatura quel giovane quindicenne, ma gli sarà fatale la
democrazia che aveva contribuito a conquistare. Anche la sua sposa aveva osato
disturbare la Giustizia, ed anche alla sua impudenza era toccato pagare le
spese processuali. Coloro che avevano provocato al marito “il malore attivo”
(non il volo dal quarto piano come sostengono i maligni e gli scettici:
come può volare un uomo che non ha le ali? Che logica è questa? Dove mai, se
non nella mitologia, si era sentito di un uomo volare?) non hanno versato
neppure un obolo di risarcimento.
La Banca Nazionale dell'Agricoltura |
A cinquant’anni da quegli eventi ecco i
risultati: “Sono state condotte cinque istruttorie, celebrati dieci processi,
dispiegate risorse ingenti, ma nessuna verità giudiziaria è stata scritta”.
Queste, riportate in corsivo, sono le parole del giudice Guido Salvini, il
giudice che ha condotto l’ultima istruttoria per l’ultimo processo sulla strage.
Le scrive alla pagina 427 del suo ponderoso libro che di pagine ne ha ben 611. Leggendolo
attraverso i documenti esibiti, le intercettazioni acquisite, i pezzi di
interrogatori rivelatori, le testimonianze dei protagonisti, le ammissioni
provenienti da fonti differenti e confrontate per verificarne i punti di
contatto, gli elementi di coerenza, la rabbia vi monta alla testa perché non
riuscite a spiegarvi se in questo giubileo in cui tutti saranno assolti e i
colpevoli potranno farsi beffe della giustizia, abbia prevalso l’ignavia
superficiale dei dilettanti o la più ottusa stupidità. Che aggettivo usereste
voi per un processo di strage in cui non viene prestata alcuna attenzione
proprio all’elemento che la strage ha causato, cioè l’esplosivo? E come
giudichereste la decisione di una Procura che non si preoccupa di farlo
analizzare da un suo perito, un esperto di esplosivo, e di accettare
pecorescamente quanto affermato dalla consulenza della difesa degli imputati? “Eppure
i pubblici ministeri avevano sotto gli occhi la gelignite iugoslava ad alto
potenziale, il Vitezit, un plastico in grado di causare effetti devastanti”,
scrive Salvini. E di questo genere di esplosivo a disposizione delle cellule
neonaziste venete, avevano parlato diversi membri di quelle cellule: “Digilio,
Siciliano e altri testimoni” (pag. 407). E come giudichereste il
comportamento tenuto nei confronti di un pentito come Martino Siciliano, ex
militante di Ordine Nuovo, collaboratore dall’ottobre del 1994? Nel maggio del
1998 aveva potuto lasciare il Palazzo di Giustizia senza che qualcuno se ne
preoccupasse, e rientrare tranquillamente in aereo in Colombia. Siciliano non
era un testimone qualunque: aveva fatto parte di quel mondo, e aveva confermate
le rivelazioni di Carlo Digilio sul camerata Delfo Zorzi. Digilio aveva
incontrato Zorzi in un parcheggio alla periferia di Mestre e questi gli aveva
mostrato un bagagliaio con cassette zeppe di esplosivo: “(…) doveva trasportare
queste cassette a Milano” aveva detto Digilio ai magistrati, e siamo ai primi di dicembre
del 1969. Ma sentiamo anche le parole di Siciliano: “Delfo Zorzi, nella
notte di Capodanno del 1969, confidò a me e a Giancarlo Vianello che la strage
di piazza Fontana non era stata compiuta dagli anarchici. Ci fece capire che
era opera nostra, di Ordine Nuovo”. È solo un assaggio di
quanto troverete in questo indispensabile libro.
Giuseppe Pinelli |
Non sappiamo se davvero, come recita il titolo del libro di
Antonella Beccaria e Simona Mammano, la strage di piazza Fontana si poteva
evitare. Non si era voluto tener conto delle rivelazioni del professor
Guido Lorenzon; non si era dato ascolto a quanto rivelato da Livio Iuculano, men
che meno alle indagini del commissario Pasquale Juliano. Tuttavia Salvini
scrive: “(…) colpire e rendere inattive le cellule neofasciste padovane
sarebbe stato facile per degli investigatori determinati. Sarebbe
bastata qualche intercettazione, qualche accertamento in più e qualche
pedinamento e servizio di osservazione dei loro movimenti per arrivare anche al
decisivo casolare di campagna”.
Il casolare nei pressi di Paese, come si scoprirà in seguito, e dove i bombaroli custodivano armi ed esplosivo. Si era ancora a mesi prima della strage, allo stillicidio di attentati che l’avevano preceduta, e si poteva neutralizzarli, ma si era voluto ostinatamente guardare in un’unica direzione. I depistatori avevano poi preso in mano la regìa e fatto il resto.
Il casolare nei pressi di Paese, come si scoprirà in seguito, e dove i bombaroli custodivano armi ed esplosivo. Si era ancora a mesi prima della strage, allo stillicidio di attentati che l’avevano preceduta, e si poteva neutralizzarli, ma si era voluto ostinatamente guardare in un’unica direzione. I depistatori avevano poi preso in mano la regìa e fatto il resto.
Guido Salvini |
Ma dopo, anni dopo, quando le falle dell’omertà si erano
aperte, perché l’indagine si è interrotta? Perché i testimoni sono stati
dimenticati? Perché si è dato avvio ad una guerra contro un magistrato del
Palazzo di Giustizia di Milano, gli uomini migliori che lo supportavano, le
componenti pulite che con il loro impegno investigativo e la loro
collaborazione leale avevano impresso una svolta decisiva per giungere almeno alla verità giudiziaria? C’è stato un periodo in cui il quotidiano ‘la Repubblica’
ha messo in prima pagina per mesi una serie di domande poste all’allora
presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Sarebbe magnifico e
democraticamente salutare, se oggi riprendesse a fare lo stesso nei confronti
di quei magistrati ancora in vita responsabili della Procura di Milano,
chiamandoli in causa con nomi e cognomi e formulando loro una serie di domande
secche. Il libro di Salvini e Sceresini porta come sottotitolo: L’indagine
interrotta. I testimoni dimenticati. La guerra tra i magistrati; ecco, c’è
materia bastevole per formulare con estrema semplicità le domande necessarie per chiedere conto.
Il giorno del funerale delle vittime |
La terza parte di questo volume si intitola La guerra tra
magistrati. Preferisco non parlarvene; mentre leggevo ho dovuto fare un
notevole sforzo per non vomitare. A lettura finita mi sono chiesto che cosa
penseranno i familiari delle vittime della strage quando si imbatteranno in
queste pagine; che cosa penseranno gli studenti a cui gli educatori cercano di
trasmettere l’amore della legalità e della giustizia. A mio modo sono un
educatore anch’io; nel mio lavoro di scrittore c’è anche un libro per ragazzi,
un libro di fiabe con un profondo substrato morale. Il tema della giustizia non
può mai mancare in un libro di fiabe per ragazzi, ed essa, la giustizia, deve
uscire trionfante per arginare il male e risarcire la bontà e la rettitudine.
Se trionfasse il male, la malvagità, l’arbitrio, il ragazzo ne rimarrebbe
ferito nella parte più fonda. Verrebbe guastata sin da subito la sua anima, sporcata
per sempre. Non maturerebbe più alcuna fiducia verso la giustizia, i rapporti
leali fra gli uomini, il consesso sociale. In quel libro di fiabe la giustizia
opera sempre, senza ferocia, anche verso i più infami, la sua opera
risarcitoria, di ristabilimento di un ordine morale che il disordine
dell’illegalità ha generato. Non mi faccio illusioni: so che la stragrande
maggioranza degli uomini non ha alcuna fiducia verso la giustizia e i suoi
officianti. E tuttavia come uomo e come intellettuale non voglio perdere la
speranza; non voglio accogliere dentro di me il pessimismo di quegli anziani
che in Calabria, ancora bambino, mi ripetevano di diffidare perché la bilancia
della giustizia è truccata e la benda che porta sugli occhi è trasparente, sa
bene dove guardare.
Guido Salvini |
Il terzo capitolo del libro di Salvini darebbe ragione a
loro, ed avrebbe potuto intitolarsi: “Il Palazzo del disonore”. Così ora è
divenuto per me quel sinistro Palazzo di Marmo di Corso di Porta Vittoria, dove
si è consumata per un ragguardevole numero di anni quella che Salvini ha
definito “storia cupa, di vergogna umana, politica e
giudiziaria”. Non è stata solo una guerra dichiarata ad un singolo
magistrato che faceva il suo dovere; è stata una guerra dichiarata alle vittime
innocenti della strage di piazza Fontana, ai loro familiari, ai cittadini
milanesi, alla parte pulita del popolo italiano.
Le conseguenze
Ugo
Cavicchioni è morto a Verona nel 2009
Giovanni
Ventura è morto in Argentina nel 2010
Gianni
Casalini è morto a Padova nel 2012
Marco
Foscari è morto a Maiorca nel 2013
Carlo
Digilio è morto a Bergamo nel 2015
Ivano
Toniolo è morto a Luanda nel 2015
Marco
Pozzan è morto a Padova nel 2016
Nessuno
li ha cercati prima che morissero, così come nessuno ha disturbato quelli
ancora in vita o riparati all’estero. Con alcuni ci ha provato Salvini: li ha incontrati più e più volte, riuscendo a vincere la loro diffidenza. Gli esiti di quegli incontri e di quei colloqui sono ora riportati ampiamente nel suo libro. Sono confessioni e testimonianze di protagonisti diretti che illuminano zone d'ombra, svelano i retroscena, aprono nuove piste, offrono conferme. Salvini non si è arreso, anche se oramai, a distanza di cinquant’anni, la verità pare non interessare più.
Una modesta proposta
Da più parti si lamenta la mancata conoscenza, fra gli studenti delle scuole superiori, di quanto è avvenuto il 1969 a Milano. All’inerzia dei vari Ministri dell’Istruzione potrebbero supplire facilmente i dirigenti scolastici e i consigli di classe con decisioni autonome (visto che la libertà di insegnamento è uno dei cardini della Costituzione) e introdurre libri come questi di Salvini e di tanti altri autori. I titoli non mancano ed in questi anni la bibliografia si è notevolmente arricchita.
Guido
Salvini con Andrea Sceresini
La
maledizione di piazza Fontana
Chiarelettere
Editore 2019
Pagg.
611 € 22,00