di
Giulia Contri*
Giulia Contri al centro della Foto |
Ossessione
dei soprusi dei potenti, o desiderio di alleanza tra conviventi?
A
me che faccio la psicoanalista un testo narrativo interessa per la modalità
percettiva e stilistica insieme della realtà tipica del narratore.
Il
testo di Gaccione mi ha interessato per aver proposto soprusi, misfatti,
atrocità interni ad una società contadina chiusa, violenta, arcaica, e per
averlo fatto con una modalità e uno stile al servizio di una ripetitività coatta
dei conflitti tra individui e tra classi, cui gli uomini pare non riescano a
sottrarsi.
Gaccione
tali coatti conflitti li rigetta con una condanna silenziosa, che traspare dall’oggettività
del suo narrare.
Ecco
allora i ‘galantuomini’ feroci con i sottoposti, e poi i sottoposti feroci con
i dominatori, senza soluzione di continuità.
Sono
i titoli stessi dei racconti della raccolta a dirci di questa ferocia
bilaterale di individui e di classi gli uni contro gli altri armati: “La faida”,
“Il supplizio”, “I giustizieri”, “I due furfanti”, “I cannibali”, “Il veleno”: anche
“L’innocente”, che assume come protagonista un individuo che non si muove con
la logica della ferocia, si ritrova necessariamente vittima della stessa in
quanto imperante nella società.
Lo
stile e il procedimento narrativo comune un po’ a tutti i racconti è quello già
caratterizzante il primo, “L’incendio di Roccabruna”: al sopruso intollerabile
del potente nei confronti del debole si oppone la risposta reattiva della
vendetta, altrettanto distruttiva, dei violentati.
Purtroppo
la ribellione è l’unica risposta pensata dai sottoposti, individui di una
classe debole a fronte di una classe potente, che poi però tra loro si
schiacciano senza pietà.
C. Azzola - G. Contri L. Cantelmo - F. Ravizza alla Libreria Zivago in occasione della presentazione del libro di Gaccione |
Con
le vittime del potente resta sul terreno il rudere scheletrico del castello del
violentatore incendiato dai violentati: a mostrare anche metaforicamente l’annichilimento
totale dei contendenti.
Certo
la storia mostra che nei secoli le rivolte dei deboli in risposta ai soprusi
dei potenti non hanno mai spostato, almeno nel breve periodo, gli equilibri
della società: dopo l’eccidio di Roccabruna del 1806, nel caso, ci dice
Gaccione, in cui i roccabrunesi si alleano con i banditi fuorilegge che “incendiano”,
“violano”, “squartano” chi ha, chi possiede, i borbonici approfittano della
rivolta per ristabilire l’antico dominio.
E
sono i “minchioni” che con i loro sconsiderati comportamenti “fanno camminare
il mondo dei furbi”, afferma ancora il narratore (nel caso a seguito di una
credenza fanciullesca mostrata dai roccabrunesi in una certa circostanza): a
dire che le masse non vanno spesso storicamente al di là della reattività del
momento, spalancando così le porte ai profittatori della loro debolezza.
È
stato detto nella Postfazione da Giuseppe Bonura che Gaccione ha l’ossessione
del male: la ripetitività infatti delle azioni sadiche oggettivamente descritte
nei suoi racconti - si tratti di sgozzamenti, massacri, stragi, orrendi omicidi
tra famiglie diverse o all’interno di una stessa famiglia - sarebbe lì a dimostrarlo.
Le
ripetitività di faide di tipo mafioso, di associazioni per delinquere, di
intese assassine che caratterizza il suo narrare, ci fa capire che Gaccione
conosce il male per l’infinito suo riproporsi nel pensiero di ciascuno di noi
oltreché nella storia.
La copertina del libro |
Per
averlo voluto e volerlo, insomma, anche lui nei propri rapporti, il male, e non
importa se non nelle stesse forme distruttive mafiose.
E
per la difficoltà di vincerlo, personalmente e politicamente, con intese,
accordi, alleanze, che a quella volontà malefica facciano da contraltare.
Il
male di cui ci parla Gaccione ha a che fare, insomma, con quella pulsione di
morte del pensiero individuale di cui tratta Freud: pulsione asfittica, che
imprigiona nel provincialismo riduttivo e omicida della famiglia chiusa gli
uomini, e fa loro rinunciare all’universo degli altri con cui costruire un
pacifico e fruttuoso rapporto vedendone la convenienza.
*Psicoanalista della Società Amici del pensiero
Sigmund Freud di Milano