di Valeria Di Felice
Ci sono due tipologie di città
nell’immaginario di ognuno. Le prime sono quelle che vivi quotidianamente, che
entrano in contatto con il tuo respiro biologico, necessario, fisico; sono
quelle in cui ti muovi, agisci, sperimenti un tempo paziente e ordinario
sopravvivendo alla costante immersione nel frastuono della vita di tutti i
giorni. Poi ci sono le città che alimentano la tua casa interiore, che nutrono
ideali, sogni, desideri, in cui vieni in contatto con te stesso, scopri la tua identità,
ti accorgi di esistere con la promessa di imparare a vivere (se mai si possa
imparare a vivere!).
Ad un certo punto accade che inizi a interagire con lo spazio
intorno a te, non ti limiti ad attraversarlo ma lo trasformi da terra a mondo:
associ un ricordo a una panchina, dai un nome a un albero, rievochi il profumo
di una strada. Insomma, cerchi nel luogo qualcosa che possa rappresentare una
parte di te per vederla meglio! Ed ecco che le cose iniziano ad avere un nome,
ma non quello denotativo, comune a tutti. Un nome che sia il riflesso del tuo
linguaggio intimo. Questi nomi iniziano a suggerirti parole nuove, magari
parole che conoscevi ma che avevi dimenticato o che ritenevi poco importanti
per la tua geografia interiore. E poi accade che inizi a dialogare con questi
luoghi che tu stesso hai scelto e hai reso parlanti, inizi a interrogarli, ad
amarli, a detestarli, a ribellarti contro di loro, a difenderli. In poche
parole, inizi a viverli perché è lì che tu senti la vita.
A volte queste città-luoghi (le prime e le seconde)
coincidono, altre volte no.
Partiamo dal luogo delle origini, in cui sono cresciuta fino a
diciannove anni: Martinsicuro. Con i suoi 16.000 abitanti, si affaccia sul mare
Adriatico e sulla foce del fiume Tronto, che fino a circa un secolo e mezzo fa
divideva il regno borbonico dallo Stato del Papa. Terra di confine tra Marche e
Abruzzo, è sempre stata nel mio
immaginario di giovane e adolescente una parentesi selvaggia nel cordone
ininterrotto delle città della riviera adriatica; selvaggia nello sviluppo
disordinato e nella poca lungimiranza politico-sociale accumulata negli anni ma
anche nella segretezza (inconsapevole) di una bellezza custodita
involontariamente nel tempo: della spiaggia quasi intonsa, della campagna
dentro la città, della collina vista mare (o meglio del mare vista collina),
del contatto quotidiano di un tessuto sociale e culturale complesso perché diverso.
Una veduta marina |
A Martinsicuro ho frequentato la scuola materna, primaria,
secondaria di primo grado (per poi andare al liceo classico fuori porta, a San
Benedetto del Tronto), mi sono allenata per quindici anni in una società di
pattinaggio artistico, ho sperimentato l’incomprensione, la rabbia, la
delusione, ma anche il coraggio e la forza di credere ai propri sogni. E nelle
tante difficoltà che accompagnano qualsiasi crescita, ho incontrato la poesia,
la mia preghiera laica. A diciannove anni mi sono trasferita a Bologna per studiare
antropologia all’università e a Martinsicuro sono tornata a ventisei anni per
“fondare” una casa editrice dedita alla poesia, sarà stato un caso?
Dopo la laurea avrei preferito rimanere a Bologna. L’idea di
tornare in una periferia culturale come Martinsicuro non mi entusiasmava,
temevo che il mio sogno si sarebbe arenato. Ma è il caso di dire che l’amore ha
prevalso sulla paura e con un pizzico di sana incoscienza ho aperto ex novo la
Di Felice Edizioni e ho proposto al Comune di Martinsicuro due iniziative
culturali: il Martinbook festival (di cui ho curato le prime quattro edizioni)
e il Premio letterario Città di Martinsicuro. Una impresa culturale - quella
nella mia città - che in quasi dieci anni ha man mano cambiato la mia
percezione del territorio, facendomi scoprire e apprezzare angoli di città
prima ignorati. È il caso della Torre Carlo V con l’adiacente casa doganale,
baluardo del XVI secolo, oggi museo archeologico. Ma anche le barbute dune del
biotopo costiero, che aprono uno scenario veramente insolito e magico a chi è
alla ricerca di bellezza e di silenzio.
Martinsicuro. L'ex fornace Franchi |
Quello con la mia città non è stato un rapporto sempre facile,
ma sicuramente fecondo, una palestra che attraverso tanti sforzi ti forgia, ti
aiuta a comprendere i tuoi punti deboli e le tue risorse. La poesia va di moda
oggi (nella forma non nella sostanza), ci sono tante persone che grazie alla
facilità con cui si pubblica si sentono legittimate ad autoproclamarsi poeti.
Fortunatamente ho avuto la possibilità di conoscere presto poeti e persone di grande
esperienza culturale che mi hanno aiutata a “riconoscere”, a “distinguere”, a
non diffondere l’omologazione in un’attività editoriale che dovrebbe essere
(come qualsiasi lavoro) responsabile, basata sulla scelta e non solo sui
moltiplicatori commerciali. Proprio a Martinsicuro ho un debito morale con
Antonio Camaioni, poeta schivo e solitario, il quale è diventato una sorta di
mentore regalandomi la possibilità di pubblicare due suoi libri e ancor di più
regalandomi la fiducia nella poesia, in quella poesia che ha la forza di
costruire la realtà.
Veduta di Casablanca |
Se Martinsicuro è stata ed è la città che accompagna il mio
respiro quotidiano, ce ne sono altre - inattese - che hanno nutrito la mia casa
interiore: Reggio Calabria, Casablanca, Teramo.
Reggio Calabria, una città con una vista mozzafiato sullo
stretto di Messina e sull’Etna con i suoi sbuffi stagliati nel cielo. Una città
dove sono scesa una ventina di volte dai ventitré ai ventisei anni (mentre
studiavo ancora a Bologna) perché collaboravo con una casa editrice reggina.
Tre anni in cui ho iniziato a maturare la volontà di aprire una casa editrice
tutta mia e soprattutto si è fatta strada dentro di me la necessità di farlo senza
tradire il senso di responsabilità. Iniziavo a capire i meccanismi
dell’editoria facendo tesoro dell’esperienza di numerosi editori, iniziavo a
conoscere la marea sterminata di persone che si avvicinavano alla poesia (senza
amarla né conoscerla, solo come forma terapeutica o di “legittimazione
sociale”), a sentire il bisogno di fondare un “luogo” protetto, nel quale scegliere
la qualità.
Veduta notturna di Reggio Calabria |
Poi è arrivata Casablanca, città dove convivono modernità e
arcaicità: essa è entrata nella mia vita a ventisei anni, due mesi prima che
aprissi la casa editrice. Un viaggio al SIEL, la fiera internazionale del
libro, che mi ha fatto incontrare per la prima volta la poesia araba. Amore a
prima vista, la musica della poesia araba ha dilatato il mio orizzonte, ha
stimolato la curiosità di conoscere la poesia straniera, soprattutto di lingua
araba, un mondo vicino al nostro ma che percepiamo molto distante e soprattutto
come un blocco monolitico. E così sono tornata più volte a Casablanca, il luogo
che rinnova l’avventura, il fascino del diverso, la magia della poesia; mi ha
aperto le porte del Marocco ma anche della Siria, della Palestina, dell’Egitto portandomi
a pubblicare scrittori e poeti come Rita El Khayat, Hassan Najmi, Nazìh Abu
'Afash, Fatiha Morchid, Murad Sudani, Yousef al Mahmoud, Emad El Mohsen, Asrhaf
Fayadh e molti altri.
Teramo vista dall'alto |
Con l’apertura della casa editrice nel 2010, i viaggi si sono
moltiplicati, le città anche, ma ce n’è una che si sta facendo strada nella mia
geografia emotiva: Teramo. Capoluogo di provincia abbracciato dalle mani
perlate del Gigante Buono (Il Gran Sasso) e coccolato da tramonti di lungo
raggio, a mezz’ora di distanza da Martinsicuro, Teramo è la città dove vivo
insieme a mio marito Dino. Da sempre plumbeo e chiuso nel mio immaginario per
qualche ragione irrazionale (che lo sguardo tra i cittadini di mare e quelli di
montagna sia per natura diffidente?), è un luogo che - per molte frequentazioni
lavorative e quindi per la mia esperienza soggettiva - finora è stato un
esempio di provincialismo e di un atteggiamento che sostiene più l’erba
infestante che la pianta nutriente per quei valori su cui dovrebbe fondarsi una
società “sana”. Tuttavia, a Teramo sono immensamente grata per avermi
ricompensata con dei doni inaspettati come la conoscenza di alcune persone straordinarie,
come il romanziere e traduttore Roberto Michilli e il poeta Leandro Di Donato:
stra-ordinarie proprio perché continuare a rispondere al qualunquismo di molti
ambienti cosiddetti “culturali” con onestà intellettuale e rispetto per il
prossimo, mi sembra il solo atto rivoluzionario capace di praticare una reale resistenza.