COMPETITIVITÀ, INNOVAZIONE,
INTERVENTO PUBBLICO IN ECONOMIA
di Franco Astengo
Il
nodo della presidenza della Cassa Depositi e Prestiti sta assumendo l’aspetto
di una vera e propria “questione dirimente” all’interno dello schieramento di
governo.
In
ballo pare esserci la volontà della maggioranza Lega-M5S di tentare (riassumo
semplificando sulla base di letture giornalistiche) di utilizzare la CDP (5
miliardi di depositi postali) quasi come una “Nuova IRI” o meglio come una “IRI
4.0” per sviluppare una nuova stagione di intervento pubblico in economia,
inaugurata con l’acquisizione del 4,9% di Telecom attuata per fermare la
scalata di Vivendì e che proseguirebbe con l’acquisizione della maggioranza della
super-dissestata Alitalia. Sarebbe il caso, a questo proposito, di ricostruire
accuratamente la storia dell’IRI, almeno nel secondo dopoguerra: non
mancheranno occasioni in questo senso. Per adesso, invece, sarà il caso di
limitarci all’idea di intervento pubblico in economia così come questo potrebbe
essere proposta nell’attualità. Attualità molto diversa da quando il tema fu
proposto (e bloccato) all’epoca del primo centrosinistra e dell’avvio del
“miracolo economico”.
Il
quadro generale di riferimento oggi è tracciato, da un lato dalla strategia dei
dazi da parte degli USA e dalla continuità delle regole di “austerità” dettate
dall’UE, a fronte di una complessità del mercato internazionale che presenta
fortissimi squilibri strutturali anche da parte di quei paesi che si ritenevano
emergenti e che avrebbero dovuto funzionare da nuovi riferimenti complessivi. Si
tratta di fattori decisivi che ci richiamano a una necessità di un livello
strategico tale attraverso il quale fronteggiare questa fase di fuoriuscita
dallo schema della cosiddetta “globalizzazione” così come questo fenomeno si
era evidenziato nell’ultimo decennio, a livello planetario. L’Europa impostata
su di una logica strettamente monetarista è ancora in una situazione di deficit
(che appare a prima vista incolmabile) sui rispettivi piani nazionali e
subisce, forse più di altre parti del mondo, l’impatto di questo stato di cose
e si trova di fronte alla contesa tra identità e globalismo (ben oltre il tema
dei migranti, dominante soltanto per i media e sul piano propagandistico dell’ultradestra
nazionalista). Intanto, mentre si verificano questi imponenti spostamenti di
capitale, la condizione materiale dei lavoratori peggiora e la situazione
economica complessiva dell’Unione Europea appare in una situazione di
arretramento complessivo sicuramente non certificata dalle percentuali di
crescita o di decrescita del PIL dei rispettivi Paesi. L’Italia si trova in una
situazione d’incapacità di difesa del proprio residuo patrimonio economico
soprattutto perché si trova di fronte ad uno specifico intreccio perverso tra
politica ed economia che finisce con il paralizzare scelte di fondo che
sarebbero necessarie, soprattutto dal punto di vista dell’intervento del
pubblico sia sul piano degli investimenti che della gestione in un quadro
complessivo d’insufficienza grave anche dal punto di vista della realtà
finanziaria(pensiamo alle difficoltà del sistema bancario, stretto anche dalla
“questione morale”) e delle infrastrutture.
Il
tessuto produttivo nazionale attraversa, da anni, una crisi strutturale che
condiziona l'economia del Paese e non si riesce a varare un’efficace
programmazione economica, all'interno della quale emerga la capacità di
selezionare poche ed efficaci misure, in grado di incrociare la domanda di beni
e servizi e promuovere una produzione di medio e lungo periodo. Appaiono,
inoltre, in forte difficoltà anche gli strumenti di rapporto tra uso del
territorio e struttura produttiva, ideati nel corso degli ultimi vent'anni allo
scopo di favorire crescita e sviluppo: il caso dei distretti industriali,
appare il più evidente a questo proposito. Da più parti si sottolinea,
giustamente, il deficit di innovazione e di ricerca.
Ebbene,
è proprio su questo punto che appare necessario rivedere il concetto di
intervento pubblico in economia: un concetto che, forse, richiama tempi andati,
di gestioni disastrose e di operazioni “madri di tutte le tangenti”. Oggi si
tratta di riconsiderare l'idea dell'intervento pubblico in economia; non basta
(anzi appare pericolosa) l’idea di usare la CDP come salvadanaio per acquisire
quote di società già pubbliche poi privatizzate e adesso in totale dissesto. Si
evidenzia così un’assoluta mancanza di strategia.
Emerge,
infatti, la consapevolezza di dover finanziare l'innovazione produttiva: è
questo il nodo di fondo di un possibile rinnovamento della capacità di intervento
pubblico in economia. Mentre il mercato internazionale si specializzava nei
beni di investimento e intermedi, con alti tassi di crescita, l'Italia si
specializzava nei beni di consumo, con bassi tassi di crescita.
Nel
1990 (queste le responsabilità politiche vere del pentapartito) i paesi europei
erano tutti in condizione di debolezza e tutti, tranne Portogallo, Grecia, e
Italia, hanno modificato le proprie capacità tecnico-scientifiche diffuse, al
fine di agganciare il mercato internazionale. Non a caso i Paesi europei hanno
una dotazione tecnologica, costruita anche grazie al supporto e all'intervento
diretto del settore pubblico ed è questo il vero elemento di squilibrio
all’interno dell’UE mentre l'Italia è rimasta al palo nel campo
dell'innovazione rinunciando anche allo sviluppo di segmenti alti del mercato
del lavoro, nell'informatica, nell'elettronica, nella chimica, addirittura
nell’agroalimentare. Queste sono state le responsabilità dirette e comuni di
centro-destra, centro-sinistra, tecnici, larghe e piccole intese avvicendatesi
al governo del Paese tra il 1992 e il 2018. Si è così aperta l’involuzione del
sistema, fino al distacco totale di interi settori sociali e all’acquisizione
della maggioranza da parte di soggetti fondati, da una parte sul semplice
schematismo dell’odio razziale (cresciuto fortemente a livello di massa) e
dall’altro sull’improvvisazione e la pura sete di potere. Se si vuol pensare
all’intervento pubblico in economia occorre affermare con grande chiarezza che
l’approccio dato, in questo senso, alla questione di CDP è, perlomeno,
sbagliato (ci sarebbe da dire anche colpevole, perché è colpevole pretendere di
governare soltanto sulla base di slogan).
L’intervento
pubblico in economia necessita prioritariamente di programmazione e di capacità
di gestione e, in questo momento, va rivolto prioritariamente, alla capacità di
finanziamento e di regolazione verso i soggetti capaci di generare innovazione:
l'Università, in primis, L'Enea, il CNR, le grandi utilities, le
infrastrutture, al punto di far pensare a una proposta della costituzione di
un’Agenzia per la ricerca e la programmazione pubblica. Si tratta di rilanciare
un intervento pubblico in economia in grado di stabilire criteri vincolanti di
collaborazione anche con imprese miste, nel cui quadro interventi di
finanziamento siano collegati alla generazione di processi di alta ricaduta
industriale e al perseguimento di precisi obiettivi di crescita occupazionale,
nei settori avanzati e non tradizionali. Si delineerebbe così un processo lungo
e difficile, il cui presupposto dovrebbe essere quello di non affidarsi al
mercato e ai suoi meccanismi, prevedendo una capacità di intervento del
pubblico, sia sotto l'aspetto della programmazione, che della correzione degli
indirizzi generali. L’idea dell’intervento pubblico, della programmazione,
della gestione si pone naturalmente, come accennato all’inizio, in diretta
relazione con il quadro internazionale e, in specifico, con il ruolo dell’Italia
nell’Unione Europea, nella necessità di rompere la gabbia monetarista. Sarebbe
il caso di discuterne sul serio, fuori dalle improvvisazioni e dai
propagandismi.