EDUCAZIONE E
INQUIETUDINE
di Fuvio Papi
La copertina del libro |
Elena Madrussan ha
scritto un libro Educazione e
inquietudine. La manouvre formativa (Ibis, 2017) che assomiglia molto a una
ricca enciclopedia teorica che deriva dai tratti essenziali del sapere
contemporaneo, una rassegna delle difficoltà, forse inseparabili, per chi si
collochi in una dimensione educativa. Ma, al margine estremo, Elena mostra, in
questo orizzonte allieva di Antonio Erbetta (che tutti ricordiamo per il suo
lavoro), come possa riprodursi il rapporto tra esistenza e senso come “radura”
di un fare educativo. La riproposizione di questo rapporto educativo deve
sopportare le difficoltà che il sapere contemporaneo ci mostra in una pluralità
di saperi, psicologici, sociali, culturali, organizzativi. Ciascuno dei quali
l’autrice analizza con una conoscenza ricca e analitica dei problemi. Ne deriva
una esperienza vissuta della cultura contemporanea, selettiva nel modo più
appropriato, tale da comporre un disegno coerente dal quale non si può sfuggire
con “trovate” banali, ma nemmeno guardare con il tipico incanto
dell’impossibile. Il discorso, nel suo complesso, è “platonicamente” filosofico,
nulla è ridotto a tecnica pertinente a un oggetto specifico. L’educazione
interroga se stessa, e l’insieme culturale dei saggi mostra come si può discorrere filosoficamente
di educazione: un’impresa che, considerata, da qualsiasi lato ci attende nella
problematicità e non nella sicurezza.
Una
breve nota come questa non può rendere conto degli itinerari di Elena. Tuttavia
si può almeno commentare quello che dice il titolo del libro: educazione come
inquietudine. È tutto il contrario di
un titolo che dica “Teoria dell’educazione”. In questo caso l’autore della
tradizione fa due mosse: 1) parla di sé come signore della verità; 2) in realtà
è già in relazione con una forte tradizione intellettuale di cui l’educazione è
oggetto.
Madrussan,
invece, unisce “educazione” a inquietudine: non c’è processo educativo che non
sia inquieto. Poiché Elena cita Pessoa e il suo Il libro
dell’inquietudine, mi fermerò un momento su questo tema. Pessoa, ed è cosa
notissima, inventa eteronimi come personaggi viventi, autori del suo lavoro
poetico, quasi a mostrare la pluralità di relazioni possibili tra biografia e
scrittura. Ma per Il libro
dell’inquietudine, (anch’esso con il suo eteronomo) Pessoa dice che il
“diario-romanzo” (20 anni di vita) lo riguarda direttamente. L’inquietudine è
una forma della vita, sotterranea ed essenziale. Nel libro di cui ora parlo
l’inquietudine appartiene tutta a una figura culturale che nel mondo si pone il
problema educativo. Tutto il contrario del pedagogista dogmatico del celebre
romanzo di Musil.
Un
personaggio, quello che deriva dalle pagine di Elena, che culturalmente si
dissolve nella pluralità di prospettive che attraversano oggi il proposito
educativo, simili alle occasioni in cui si costruisce nel tempo l’inquietudine
che appartiene alla vita. Trovata l’analogia, troverò ora la radicale
differenza. La vita accade, la scrittura disegna; l’educazione, se si mantiene
la parola, è una fase che ha bisogno di un tempo e di un fine. E qui
l’educatore rischia: deve trovare il suo spazio, deve formare, inventare lo
scopo e il fine: è tutto l’orizzonte dell’inquietudine. Non c’è niente “più in
là”. Ad Elena potrei suggerire di soffermarsi sulla figura “educanda” che non
si esaurisce nell’inquietudine filosofica, ma impegna l’inquietudine nel fare
qualcosa nel suo mondo, anzi in un mondo che, forse, guarda a noi stessi con
un’altra inquietudine.